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Andy Warhol e il mito della Vespa. Pop Art in dialogo a Firenze

Andy Warhol, Ladies & Gentlemen, 1975, Gallery Hotel Art Andy Warhol, Ladies & Gentlemen, 1975

Firenze accoglie a braccia aperte l’icona assoluta della Pop Art americana Andy Warhol con una selezione accurata di 16 opere messe in dialogo con l’installazione Freedom dell’artista emergente Simone D’Auria.

Andy Warhol, Marilyn, 1981, Gallery Hotel Art
Andy Warhol, Marilyn, 1981

Dal 16 maggio al 31 dicembre 2017 la Gallery Hotel Art dà vita a un dialogo Pop che inizia dall’interno con la mostra Andy Warhol Forever e si conclude all’esterno con alcune scocche di Vespa arrampicate sulla facciata esterna dell’albergo, rivisitate da D’Auria in modo del tutto peculiare. Il progetto artistico ideato dalla Lungarno Collection, oltre ad essere un’originale riqualificazione urbana, lancia un messaggio ben specifico: essere liberi.

Chi meglio di Warhol, ha fatto in questo senso un primo passo nell’arte, rendendola anti schematica e liberandola dai canoni estetici presenti fino ad allora. L’artista americano, iniziando la sua carriera come disegnatore pubblicitario, fa arte per vendere. Da qui il concetto di consumo e di massa che emanano le sue produzioni, ritrovano un nesso con la Firenze rinascimentale. All’epoca l’industria pubblicitaria non esisteva. Esistevano le botteghe, veri e propri centri di creazione predisposti per la vendita, dalle quali Warhol trova ispirazione per i lavori futuri e per la fondazione di Factory, raduno per gli artisti di strada con intuibili talenti. In America nasce così un’idea di Rinascimento singolare, portata da Warhol: creare, vendere, consumare.

Emblematiche sono le opere in mostra come la celebre lattina della Campbell’s soup, nella versione classica del 1967 e in quella speciale creata per le olimpiadi di Sarajevo del 1984, e l’opera Campbell’s Soup Dress del 1966, vestito in carta cotone usa e getta, idealizzato come gadget e che, indossato, viene distrutto dal sudore.

Andy Warhol, Campbell's Soup Dress, 1968, Gallery Hotel Art
Andy Warhol, Campbell’s Soup Dress, 1968

Non manca poi Marilyn: due ritratti, di cui uno realizzato subito dopo la tragica scomparsa dell’attrice nel 1962, fatto a colori per ridarle vita in un’America diventata grigia dopo la sua perdita.

Andy Warhol, Marilyn Monroe, 1971, Gallery Hotel Art
Andy Warhol, Marilyn Monroe, 1971

Accanto si trova una serigrafia del ciclo Ladies and gentlemen, nel quale Warhol inizia a ritrarre i volti comuni della New York di quegli anni, prendendo come modelle anche delle drag queen del club newyorkese The Gilden Grape.

Warhol studia la gente comune e la riproduce come fossero icone leggendarie. Lo stesso fa con gli oggetti. Un esempio è la geniale Space Fruits – Frutta Spaziale dove le nature morte seicentesche sono pensate e realizzate come fossero veri e propri modelli viventi.

Come tutti i maestri di bottega, l’apprendista e assistente di Andy Warhol al Factory è Steve Kaufman, divenuto anche lui famoso negli anni Settanta per le sue riproduzioni Pop. In questa esposizione si possono ammirare alcune opere di Kaufman, tra cui una serie di tre James Dean, un ritratto argentato di Elvis Presley e un ritratto di Marilyn.

Steve Kaufman, James Dean, Gallery Hotel Art
Steve Kaufman, James Dean

Il filo rosso della Pop Art lega la rassegna di Warhol con l’inedita installazione Freedom pensata da Simone D’Auria. L’artista milanese utilizza le scocche delle vespe e le posiziona sul muro verso il cielo. La scocca è per lui simbolo di leggerezza, la vespa di libertà. Su questi scheletri di vespa sono anche riportate delle fotografie scattate dall’artista stesso di vari paesaggi del nostro Paese, per sottolineare il Made in Italy appartenente al brand protagonista, quale incarna valori di creatività e innovazione.

Simone D'Auria, Freedom, 2017, Gallery Hotel Art
Simone D’Auria, Freedom, 2017

Informazioni utili

Andy Warhol Forever – Simone D’Auria Freedom
Dal 27 aprile – 31 dicembre 2017
Gallery Hotel Art, Firenze
Ingresso libero

www.lungarnocollection.com

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