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Ettore Spalletti, artista trasparente. “Intervista” dalla mostra al Musée National de Monaco

Ettore Spalletti, Ombre d’azur, transparence, Nouveau Musée National de Monaco, Villa Paloma Ettore Spalletti, Ombre d’azur, transparence, Nouveau Musée National de Monaco, Villa Paloma
Ettore Spalletti, Ombre d’azur, transparence, Nouveau Musée National de Monaco, Villa Paloma
Ettore Spalletti, Ombre d’azur, transparence, Nouveau Musée National de Monaco, Villa Paloma

Trenta opere di Spalletti allestite in sette ambienti sui tre piani di Villa Paloma, lussureggiante sede – assieme a Villa Sauber – del NMNM. Immagini e video

Già, “intervista”, con le virgolette. Perché la notoria, quasi proverbiale riservatezza di Ettore Spalletti arriva in certi momenti a farsi ritrosia, tanto da fargli disertare la preview per la stampa della sua mostra appena inauguratasi a Villa Paloma, lussureggiante sede – assieme a Villa Sauber – del Nouveau Musée National de Monaco. Lasciando a bocca asciutta i tanti giornalisti che aspettavano per scambiare qualche parola con quello che qualcuno definisce il più grande degli artisti italiani viventi. Ma qualche fortunato – incluso chi scrive – aveva già avuta l’opportunità di incontrarlo la sera precedente, nella ristrettissima informale cena in un elegante e appartato ristorante monegasco. Riuscendo – complici qualche piatto di Foie Gras e più di qualche bicchiere di Cheval Blanc, magistralmente scelti dal curatore e anfitrione Cristiano Raimondi – a compiere qualche passo nel mondo di questo signore ironico e ridente nell’aspetto ingannevolmente burbero, elegante e ancora bello nei suoi 79 anni, timido e modesto ma pur sicuro della forza di quel che ha fatto e fa, e che può raccontare agli altri. Regalando rarefatte perle, che anche quando sono autobiografiche poi ti rendi conto che aprono inaspettati squarci sul suo lavoro: “Vivo e lavoro volentieri nella dimensione di un piccolo paesino”, sussurra, riferendosi al suo Cappelle sul Tavo, pochi chilometri da Pescara. “Fino a quando era vivo mio padre, lì io ero semplicemente ‘il figlio di Spalletti’. Oggi mi chiamano Ettore, ma nessuno sa che faccio il pittore. E questo per me è bellissimo, riesco a sentirmi trasparente”.

Cristiano Raimondi, curatore della mostra di Ettore Spalletti, Ombre d’azur, transparence, Nouveau Musée National de Monaco, Villa Paloma
Cristiano Raimondi, curatore della mostra di Ettore Spalletti, Ombre d’azur, transparence, Nouveau Musée National de Monaco, Villa Paloma

Trasparente, come i suoi azzurrini che vedremo l’indomani nelle sale di Villa Paloma, che vorrebbero essere vetri aperti ora sul mare, ora sul cielo, o i suoi rosa, cristalli che non cambierebbero mai un’aurora. “Mi arrabbio quando qualcuno mi chiama Maestro”, torna poi scherzosamente sull’onomastica. “Io voglio essere chiamato Ettore: perché usare il nome proprio per Raffaello e non per me?”. Il sincopato discorso cade sul sistema dell’arte, sull’Italia e sulle sue esperienze oltreconfine – spesso oltreoceano -, dal Kunstverein di Monaco nel 1989 al Guggenheim di New York nel 1993, alla Fundación La Caixa di Madrid nel 2000. “Noi in Italia non abbiamo importanti gallerie, né importanti musei: e comunque non esistono più musei con il ruolo che questi avevano cinquanta, o anche trent’anni fa, oggi i musei fanno lo stesso lavoro delle gallerie, solo a volte un po’ più in grande. Quindi gli artisti, per fare una bella mostra, possono solo fare dei bei quadri”.

La foto di Gianni Colombo che documenta gli esordi di Ettore Spalletti
La foto di Gianni Colombo che documenta gli esordi di Ettore Spalletti

Eccoli, i suoi “bei quadri”. Ma prima di condurci nelle sale, il curatore Cristiano Raimondi si sofferma davanti a una fotografia di Gianni Colombo esposta nella sala didattica del museo, al piano terreno. “Si tratta della prima esperienza di Spalletti con il colore puro: qui riempie di pigmento bianco le buche lasciate da due pietre sul pavimento del Bagno Borbonico di Pescara, che allora, negli anni Settanta, era uno spazio per l’arte pensato dal gallerista Mario Pieroni”, precisa Raimondi. “Può essere assunto come l’inizio di questo processo che ancora caratterizza la sua opera: ricoprire tavole di legno con un mix di pigmenti, polvere, calce, gesso, colori ad acqua, un procedimento di cui Spalletti serba gelosamente il segreto”.

E il mistero aleggia davanti a tutte le trenta opere allestite in sette ambienti sui tre piani del museo, “sublimate e rese atemporali grazie al materiale con cui sono realizzate”. Un percorso perfettamente coerente, al quale Spalletti ha lavorato intensamente assieme al curatore, per dialogare al meglio con gli spazi della villa e soprattutto con il loro rapporto con i colori e la luce, elementi nodali per la percezione delle sue religiose monadi

www.nmnm.mc

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