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Insulti e promesse. Donald Trump divide l’America e il mondo

donald trump - ArtsLife

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Dopo il megatuestday ormai non ci sono quasi più dubbi che per le prossime elezioni presidenziali americane si sfideranno Hillary Clinton per i democratici e Donald Trump dall’altra parte, nonostante molti degli stessi repubblicani siano parecchio critici nei confronti del magnate statunitense. Il fatto è che The Donald, che definisce Hillary Clinton «una cagna», tutti gli immigrati messicani clandestini «degli stupratori», e i giornalisti – bontà sua – delle persone «disgustose», cresce ogni giorno di più nella pancia dell’elettorato americano. In quell’anima tradizionalista e nazionalista che è abbastanza trasversale ai due schieramenti. Per questo è diventato un pericolo così reale che secondo l’”Economist Intelligence Unit” la sua vittoria non è più impensabile come agli inizi, ma potrebbe addirittura bloccare l’economia e aumentare i rischi per la sicurezza. Questa eventualità sarebbe una delle dieci principali catastrofi a livello mondiale, subito dopo la recessione dell’economia cinese. I media non avevano perso tempo a schierarsi negli States, un po’ com’era successo con Berlusconi in Italia. Ma adesso anche Brandon Stanton, il creatore di una delle pagine facebook più conosciute negli Usa e nel mondo, «Humans of New York», uno straordinario archivio di volti e storie della Grande Mela seguito da quasi venti milioni di persone, ha preso una posizione netta e dura: «Opporsi a lei non è una scelta politica, ma una scelta morale».

HUMANS OF NEW YORK - ArtsLife

Il giovane giornalista e fotografo lo ha fatto con una lettera acida e dura, indirizzata al magnate statunitense, che è diventata in breve tempo uno dei post più condivisi nella storia del social network, e secondo qualcuno il più condiviso di sempre, visto che ne già raccolti più di un milione di consensi oltre ai «mi piace», quando, per fare un esempio, l’abbraccio fra Obama e la moglie Michelle, dopo la vittoria del secondo mandato, ne aveva totalizzati 566mila. Anche Hillary Clinton ha cliccato un like sotto questa accorata invettiva. Stanton inizia dicendo che lui vorrebbe stare lontano dalla politica: «Non volevo certamente prendere le parti di qualcuno. Pensavo: forse non è il momento giusto. Ma mi rendo conto che non esiste un momento giusto per opporsi alla violenza e ai pregiudizi. Il momento giusto è sempre adesso». Opporsi a lui è quindi una questione morale: «Ti ho visto ritwittare immagini razziste. Ti ho visto incoraggiare con gioia la violenza, promettendo di pagare le spese legali di coloro i quali la commetteranno in nome tuo. Ti ho visto sostenere l’uso della tortura e l’uccisione delle famiglie di terroristi. Ti ho visto paragonare i rifugiati a serpenti e sostenere che l’Islam ci odia». Donald Trump, sostiene Brandon, non può essere il nostro presidente: «Non sei un unificatore. Non sei presidenziale. Sei un uomo che sta incoraggiando pregiudizi e violenza all’unico scopo di aumentare il proprio personale potere. E anche se le tue parole cambieranno certamente nei prossimi mesi, rimarrai sempre ciò che sei».

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Certo, adesso verrebbe da chiedersi se è davvero così pericoloso The Donald. Nel mega tuesday ha spazzato via ogni pronostico, resistendo imperturbabile dopo una settimana che avrebbe dovuto metterlo in difficoltà, tra le violenze nei suoi comizi e gli attacchi di tutti i suoi avversari, repubblicani inclusi, che lo accusavano di istigare solo l’odio. Ha vinto in Florida, portando a casa con la regola del «winner take all» tutti i 99 delegati, costringendo al ritiro Marco Rubio, umiliato e sconfitto nel suo Stato. E proprio in Florida un sondaggio ha reso bene l’idea di quanto sia l’appeal che Donald Trump esercita su un blocco preciso di suoi elettori, perché aveva rivelato che la stragrande maggioranza della base repubblicana non condivide le sue ricette estreme, ma lo vota lo stesso perché è uno che «dice le cose come stanno». E’ il segreto dei populisti che dicono le cose che molte persone pensano ma hanno vergogna a dichiarare, quasi sollevandoli da questo imbarazzo. Così, nonostante sia detestato da quasi tutti i media (sono 600 le televisioni in America) è diventato, secondo il “New York Times”, il candidato alle presidenziali di gran lunga più seguito dalle tv, visto che ha ricevuto addirittura il doppio del tempo dedicato a Hillary Clinton, che è seconda in questa particolare classifica. Sono le contraddizioni del sistema americano: Donald fa più share e quindi più pubblicità. E così, più lui insulta questi «disgustosi» giornalisti, più loro lo intervistano. D’altro canto, i rapporti fra di loro si erano guastati sin dall’inizio, quando il “New York Times” aveva cominciato a presentarlo avanzando serissimi dubbi sull’autenticità della sua chioma. E i capelli per qualcuno devono essere come la mamma. Lui se l’era presa a morte. Dopo, i giornali sono scesi su temi un po’ più politici e l’hanno paragonato a Mussolini e Hitler. Il problema è che non solo i democratici, ma anche molti repubblicani lo considerano come un volgare plutocrate nei panni di un aspirante dittatore, e che nonostante tutto questo lui continui ad avanzare imperterrito verso Hillary Clinton.

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Dalla sua Trump non ha solo tutte quelle caratteristiche che piacciono molto all’anima dell’America più profonda, che non vuole sentire parlare di limitazione al possesso delle armi e che approva tutte le sue sortite contro gli immigrati e il rifiuto del politically correct, ma è anche in grado, grazie alle sue capacità di autofinanziamento, di essere più libero dalle lobby e di dettare i temi della sua campagna elettorale. Oltre a questo c’è la questione del Medioriente, che lo mette in contrasto con gli intellettuali neocon repubblicani, che sono stati i più fieri sostenitori delle campagne militari in Iraq e in Afganistan. Lui ha già fatto capire a chiare lettere che ritirerà le truppe: si arrangino da soli in quei Paesi, che vinca l’Isis o qualcun’altro agli americani non interessa più. Donald Trump si è fatto portavoce di una politica isolazionista che riporterebbe gli States indietro di più di un secolo. Resta difficile da capire come potrebbe conciliare tutto questo con la sua volontà di chiedere il bando dagli Stati Uniti di una intera religione: quella musulmana, guarda caso.

E non è certo l’unica contraddizione. Il candidato che non vuole limitare il possesso delle armi è lo stesso che vuole ridurre le spese militari, così come se da una parte prevede il ritiro delle truppe dal Medio Oriente e dall’altra ha affermato, come scrive Brandon Stanton, che è giusto torturare i terroristi e uccidere i loro familiari. Come tutti i populisti spara una dichiarazione e il suo esatto contrario. Ha spaccato l’America, che era quello che voleva: tutti gli intellettuali da una parte, anche quelli repubblicani, e la pancia profonda dall’altra, con il popolo dei delusi e degli arrabbiati, di tutti coloro che la crisi economica sta spingendo ai margini dell’economia. In realtà è molto più pericoloso di quel che pensano tanti osservatori. E forse non solo per l’America. Anche per noi.

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