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Intervista a Elio Fiorucci

Milanese, classe 1935, ha aperto il suo primo negozio, nel 1967, vicino San Babila, proponendo le ultime tendenze londinesi e newyorkesi. Ha creato uno stile nuovo e rivoluzionario, segnato dall’immagine dei due angioletti, che ha fatto epoca tra i giovani durante gli anni Settanta e Ottanta. Andy Warhol scelse la vetrina del suo store di New York per il lancio del giornale “Interwiew” e  Keith Haring ridipinse e trasformò, in due giorni, pareti e mobili della sua boutique di Galleria Passarella, per poi vendere le opere all’asta. Oggi realizza la linea Love Therapy.

Quando incontri Elio Fiorucci nel suo studio, la prima cosa che ti colpisce, a parte il sorriso perennemente stampato sulle labbra, è la foto di un pollaio dietro la sua scrivania.

Scusi ma lei trae ispirazione dalle galline per le sue creazioni?

Anche. Animali, paesaggi, un bel paio di occhi, un campo pieno di fiori. Il bello sta nella semplicità.

Si sente un contadino, insomma, come diceva a Andy Warhol.

Esattamente. Lui affermava sempre: “ i miei colori sono le luci di New York” e io gli rispondevo: “i miei quelli delle campagne”.

Ho capito: non vi capivate

Tutt’altro. Scoprii che eravamo molto più simili di quanto pensassi la prima volta che m’invitò a cena. E lui apriva raramente le porte della sua casa agli altri.

E come andò la cena? Lei era imbarazzato?

Moltissimo. Mi aspettavo un’abitazione modernissima, piena di opere contemporanee, invece sa cosa mi trovai?

Un pollaio anche lì?

Un collezione di quadri dell’Ottocento, con degli splendidi paesaggi e una scultura di una capra.

Polli o capre, non ci ero andata lontana. Certo che lei ne ha conosciuta di gente strana. Chi è personaggio che l’ha influenzata di più?

Tutti. Ho avuto la fortuna di lavorare con dei geni, da Ettore Sottssass, Andrea Branzi e Franco Marabelli che disegnarono il mio negozio di New York, alla scultrice Amalia Del Ponte che realizzò, nel 1967, quello di Milano che fece epoca tra i giovani. Senza dimenticare l’architetto Alessandro Mendini.

E quella Maripol che disegnava le croci per Madonna? Anche lei un po’ fuori dalle righe

Persona eccezionale. E’ stata la curatrice, l’art director del mio negozio di New York. Siamo molto legati professionalmente. Lei ha curato tutta l’immagine di Madonna ai tempi di Like a Virgin.

Una Madonna che avete fatto esibire in sordina per la festa per i 15 anni del suo negozio di New York, come fosse una cantante di serie B. Errore imperdonabile, non trova?

Errore non dipeso da noi, che non c’entravamo nulla con la scelta dei cantanti. Poi allora Madonna non era così famosa.

Ma era già una cavalla pazza

Tutt’altro: una grande professionista, dedita al lavoro, molto seria e precisa. Una donna dalla grande personalità, che fece innamorare anche Basquiat.

Ma Basquiat non era gay? Cambiamo argomento, forse è meglio.  Lei si definisce né uno stilista, né un designer, ma un innovatore. E quale sarebbe stata la sua grande innovazione?

Quella di rendere la moda eclettica, fondendola con arte, architettura, musica, per celebrare la gioia di vivere, di cui le generazioni di un tempo sentivano il bisogno, dopo anni di imposizioni nell’educazione e nello stile.

La moda di per sè, è eclettica, non mi sembra una grande innovazione

Oggi è eclettica, un tempo non lo era. Era pura creazione di abiti. L’unica grande  stilista del passato che ha apportato un tocco di innovazione è stata Coco Chanel. Il mio è stato un marchio che ha fatto storia, soprattutto a Milano, con negozi rivoluzionari, dove echeggiava musica rivoluzionaria, frequentati da gente rivoluzionaria.

E nei vestiti cosa c’era di rivoluzionario?

L’espressione della modernità, gli abiti che esaltano il corpo e la femminilità. Pensi soltanto a un paio di jeans o calzoncini indossati da una bella ragazza con un bel sedere.

Ho capito, lei disegna soltanto capi per belle ragazze con un bel di dietro. E per le meno dotate dalla natura?

Ho realizzato e realizzo abiti che stanno bene a tutti, senza distinzioni. Poi, certamente, sta a chi li indossa il compito di valorizzarli.

Colleziona arte?

No, non la colleziono, ma amo l’arte e soprattutto i particolari e la natura.

Certo, si riferisce a capre, galline e fiori. Può definirsi un mecenate visto che ha lavorato a stretto contatto con degli artisti?

Non propriamente mecenate, ma sono orgoglioso di aver finanziato, insieme a Maripol, il recupero di un documentario su Jean Michel Basquiat.

Oggi che gli anni Ottanta sono lontani e se ne è perso lo spirito, la moda ha ancora una funzione rivoluzionaria?

Non si è perso lo spirito di quell’epoca, anzi lo stiamo ritrovando grazie a Internet che è una macchina che cresce e unisce talenti.

 

Lei allora è un appassionato di web e tecnologia.

Purtroppo non so usare il web.

Allora che parla a fare?

Parlo perché conosco la potenza della Rete. Un mio amico, per esempio, è riuscito a contattare e coordinare a distanza un gruppo di artisti dell’Oceano Indiano. Internet ti permette di esplorare ogni parte del mondo e questo è un toccasana per la curiosità umana. La curiosità stimola il cambiamento e le rivoluzioni.

Fortunato e privilegiato. Perché si definisce così? 

Perché ho sempre lavorato divertendomi e l’ho fatto in maniera spontanea. E perché, ripeto, ho avuto la fortuna di incontrare personaggi meravigliosi che mi hanno insegnato tanto.

Sarà per questo che Elio Fiorucci ha sempre il sorriso sulle labbra. E, a dispetto degli anni che passano, anche per un’eterna ragazzina come Madonna, lui è rimasto sempre uguale…

Ps: vedere, per credere, le foto dell’inaugurazione del suo negozio di New York scattate quaranta anni fa.

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  • Come non ricordare la sua moda, piena di vita di colore, diversa da qualsiasi altra . Credo che sia stato l unico a saper cogliere cio che i ragazzi ai tempi degli anni 70 volessero , libertà di espressione e quel tocco di originalità che distingueva la sua moda. Quando si entrava da Fiorucci era come mettre le ali e volare nel mondo .

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