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Intervista a Philip Rylands

I capolavori futuristi del Guggenheim di Venezia raccontati dal suo direttore  

IL FUTURISMO SECONDO RYLANDS 

Aprile 1910. Dalla Torre dell’Orologio di Piazza San Marco a Venezia cadono centinaia e centinai di volantini che urlano la nuova visione dell’arte e la denuncia contro una Venezia “passatista”, con il “suo chiaro di luna da camera ammobiliata”. Le gondole? “Sedie a dondolo per cretini”. E poi lo stanco “accademismo della Biennale”, sorda, dopo sette edizioni, ai fermenti che percorrevano l’Europa. La tradizione vuole che sia il 20 febbraio la data in cui ricade il centenario del Futurismo. Cento anni dopo la pubblicazione su Le Figaro, il 20 febbraio 1909 del Manifesto del Futurismo a firma del “jeune poète italien” Filippo Tommaso Marinetti. A partire dal 18 febbraio e per tutto il  2009, la Collezione Peggy Guggenheim celebra il rivoluzionario movimento d’avanguardia che contagiò l’intera scena artistica europea, con la mostra Capolavori futuristi alla Collezione Peggy Guggenheim, a cura di Philip Rylands, direttore del museo veneziano. “Una mostra di altissimo livello ma fatta in casa grazie alle donazioni di amici, fondazioni e quindi con un bilancio inesistente” racconta soddisfatto il curatore. Ma anche un omaggio alla preveggenza di Gianni Mattioli, uno dei più grandi collezionisti del Novecento. Ed è proprio Rylands a parlarcene in occasione dell’inaugurazione.

Mariangela Maritato: Il Gazzettino di Venezia, in occasione dell’apertura della sua mostra, ha titolato, a firma di Enzo Di Martino: “Futurismo, la Guggenheim salva Venezia”, in riferimento alla mancata esposizione, per mancanza di fondi, del museo Correr… 

Philip Rylands: Non è ancora certo che la mostra al museo Correr salterà. La nostra esposizione è stata resa possibile grazie alla collaborazione con la figlia di Gianni Mattioli, uno dei più grandi collezionisti del Novecento che, invece di disperdere le opere del padre, nonostante le richieste di acquisizione arrivate da musei e Fondazioni di tutto il mondo, ha deciso di tenerle insieme per poterle esporre. Il catalogo ragionato di Flavio Fergonzi La Collezione Gianni Mattioli pubblicato nel 2003 da Skira, documenta in maniera esaustiva e approfondita i tesori di questa preziosa collezione di arte del XX secolo. Ci siamo quindi ritrovati ad avere a disposizione 15 capolavori del Futurismo, opere chiave del movimento comeMateria e Dinamismo di un ciclista di Boccioni, Mercurio transita davanti al sole di Balla, Manifestazione interventistadi Carrà, Ballerina blu di Severini, nonché tre opere futuriste appartenenti alla collezione di Peggy Guggenheim: Mare=Ballerinadi Severini, Velocità astratta + rumoredi Balla e la scultura di BoccioniDinamismo di un cavallo in corsa + case. Ma anche alcuni prestiti da collezioni private di Balla, Boccioni, Carrà e Sironi, e una recentissima donazione alla Fondazione Solomon R. Guggenheim, “Il ciclista” di Mario Sironi, del 1916, uno dei primi capolavori dell’artista.

M.M. La mostra al museo Correr è in forse per scarsità di fondi. La vostra è costata molto?

P.R. Assolutamente no. Abbiamo avuto in donazione pezzi provenienti da collezioni private e di amici del Guggenheim. Il risultato è, se vogliamo, una “mostra fatta in casa”, di altissimo livello ma che non ci è costata nulla. Il bilancio di questa esposizione è inesistente ma il risultato è notevole. Mettere insieme 4 opere di alto valore storico-artistico di  Balla è un sogno che si è realizzato con la consapevolezza che la grandezza numerica non è una virtù, ma la cosa più importante è il valore di ogni singola opera.

M.M. Quali sono le scelte stilistiche che ha fatto per l’esposizione?   

P.R. Nella sala nella quale esponiamo la collezione Mattioli, con opere di Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Gino Severini, Ottone Rosai, Mario Sironi e Ardengo Soffici, ho lasciato anche un Morandi del 1915 in stile cubista, vicino ad un “canto del cigno” di Carrà, cioè “L’amante dell’ingegnere”, un’opera del 1921. L’allestimento è stato anche un tentativo di reinterpretare le opere a nostra disposizione per trovare possibili collegamenti ed influenze facendo attenzione agli accostamenti. L’opera di Morandi e di Carrà insieme, infatti, stanno benissimo.

M.M. Ha deciso da solo di organizzare questa esposizione?

P.R. Questa mostra è stata voluta da me e da Laura Mattioli Rossi, figlia Gianni Mattioli, uno dei più grandi collezionisti del Novecento. Esponiamo infatti tutte le opere della collezione creata dal padre insieme ad altre provenienti da altrettante illustri collezioni. Per esempio, abbiamo deciso insieme di esporre anche un capolavoro di Sironi, “Il ciclista” del 1916, proveniente dalla collezione Giovanni Pandini di Bergamo che è stata donata, con nostra grande soddisfazione, alla Fondazione Guggenheim. Si tratta di un’opera chiave del percorso artistico di Sironi.

M.M. Le opere dei cinque primi protagonisti del Futurismo sono presentate come piccole personali..

P.R. Esattamente. Abbiamo i capolavori di 5 firmatari del Manifesto del futurismo e di 8 aderenti al movimento. Balla, Boccioni, Carrà, Russolo e Severini sono tutti presenti con i loro capolavori all’interno della collezione Mattioli, dal 1997 ospitata dalla Collezione Peggy Guggenheim come prestito a lungo termine. La cosa più importante è però che ognuna delle opere che esponiamo è una piccola monografia di ogni artista e da sole documentano la nuova visione dell’arte.  

M.M. Di Boccioni, esponete tra le altre l’opera “Dinamismo di un cavallo + casa” (1914-15) che appartiene alla Collezione Guggenheim…

P.R. Sì, abbiamo tre opere che appartenevano a Peggy e la nostra mostra si presenta come una rara occasione per vedere esposte bentre delle quattro sculture di Boccioni: ad affiancare “Dinamismo di un cavallo in corsa + case” ci sono infatti anche “Forme uniche di continuità nello spazio” eSviluppo di una Bottiglia”. “Dinamismo di un cavallo in corsa + casa”, una scultura che presenta le inconfondibili pennellate dell’artista, è un’opera che è stata danneggiata nel tempo, soprattutto quando era di proprietà di Marinetti ed ha subito diversi spostamenti nel periodo della guerra. E’ molto delicata perché in cartone, ferro e rame. In seguito è stata restaurata ed ha subito diversi procedimenti di fusione postumi che le hanno permesso di conservarsi fino ad oggi.

M.M. In una sezione introduttiva dell’esposizione, come in una mostra nella mostra, viene messo in risalto anche l’influenza che ha avuto il Futurismo all’estero sui diversi movimenti d’avanguardia del secolo. In quali artisti è più forte questa influenza?

P.R. Ho voluto esporre un’opera di Marcel Duchamp dal titolo “Giovane triste in un treno” del 1911 per mettere in rilievo, e dare spunti di studio e riflessione, sull’ipotesi di un’influenza futurista sulle opere dell’artista francese. Dopo che Severini fece arrivare gli altri futuristi in Francia nel tentativo di sprovincializzare al massimo la loro espressione, ci sarebbe stato un incontro tra Duchamp e Boccioni che avrebbe portato alla volontà di esprimere stati d’animo e psicologici nell’arte, in particolare il sentimento della tristezza. Questo tentativo di espressione,  attraverso le linee e i colori, è stato a mio avviso caratteristico del dialogo Parigi – Milano che si era venuto a creare. L’influenza la si ritrova anche a Londra, in particolare negli esponenti del Vorticismo che avrebbero tratto ispirazione dalla retorica di Marinetti. Un esempio è Wadsworth di cui esponiamo due silografie, Cantanti di strada e La città dall’alto, recentissime acquisizioni della Fondazione Solomon R. Guggenheim. Ma altre influenze si ritrovano anche in Mario Sironi, Ottone Rosai, Frantisek Kupka e Ardengo Soffici, per fare qualche nome. Troviamo le tematiche futuriste nelle altre avanguardie del Novecento come il Divisionismo, l’Orfismo e il Cubismo. Di quest’ultima corrente, esponiamo “Al Velodromo” , un dipinto e collage del 1914 di Jean Metzinger in cui è presente il principio della simultaneità. 

M.M. Fa parte della collezione Guggenheim anche il collage di Picasso, “Pipa, bicchiere e bottiglia di Vieux Marc” con un chiaro riferimento alla rivista futurista “Lacerba”. Come mai non è in mostra?

P.R. L’opera di Picasso è stata data in prestito per la mostra sul Futurismo che si sta svolgendo a Roma. Se l’avessimo avuta a disposizione, l’avremmo sicuramente esposta.

M.M. I futuristi denunciarono lo stanco “accademismo” della Biennale di Venezia, “sorda” ai fermenti che percorrevano l’Europa. Oggi avrebbero ancora ragione?

P.R. Assolutamente no. Venezia oggi è una città aperta all’arte internazionale. L’intento di Marinetti era allora molto provocatorio. Il suo gridare “uccidiamo il chiaro di luna”,  riferendosi a Venezia, voleva dare una spinta creativa all’innovazione nell’arte ed è riuscito benissimo nel suo intento.

M.M. Il futurismo ha avuto una grande importanza per la sua innovativa visione estetica e formale nell’arte del XX secolo. Trova altrettanti stimoli innovativi nell’arte italiana contemporanea?

P.R. Tutta l’apprensione che c’è nell’arte di oggi di raccogliere ed utilizzare sempre nuove tecnologie sarebbe molto piaciuta a Marinetti. Credo che oggi, in molti contesti, ci siano più futuristi che mai soprattutto nel momento in cui l’arte si lega alla vita odierna, caratterizzata dalla velocità e dal dinamismo. C’è innovazione nell’arte di oggi e l’Italia, anche se ci sono senza dubbio mercati d’arte più forti, non ha niente da invidiare a nessuno. Ci sono nomi, come Maurizio Cattelan e Francesco Vezzoli, che con le loro opere sono riusciti a conquistare il mondo.


Capolavori Futuristi. Collezione Peggy Guggenheim Venezia

A cura di Philip Rylands
Fino al 31 dicembre  2009
e-mail: info@guggenheim-venice.it
http://www.guggenheim-venice.it
orario d’apertura: 10.00-18.00; chiuso il martedì

ingresso: euro 12; euro 10 senior oltre i 65 anni; euro 7 studenti; gratuito 0-10 anni
info: tel. 041. 2405404/415

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