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QUANDO L’ARTE CAMBIA IL MODO DI VEDERE IL MONDO

Riceviamo e pubblichiamo volentieri -come Editoriale- alcune riflessioni sull’arte di una nostra lettrice & collaboratrice. Nella speranza possano servire ad aprire e stimolare un libero dibattito sull’argomento. Perchè ArsLife deve diventare ogni giorno di più
uno spazio aperto e ventoso per tutti coloro che si occupano d’arte

Qualche tempo fa mi solleticava scrivere quello che penso liberamente sull’arte.
Ci ho messo del tempo perché sono andata a ripescare nel mio inconscio le impressioni e le idee che una certa patina di polvere, dovuta alla consuetudine, avevano nascosto alla mia parte cosciente; un po’ come quando si era soliti coprire con dei teli i mobili di una casa non abitata: sotto ci sono magari  suppellettili di pregio, ma non si possono più vedere.

Devo anche ammettere che avevo una gran paura di scrivere delle ovvietà o ancor peggio delle banalità e così prendevo tempo. Anche ora potrei correre gli stessi rischi, ma sento che devo farlo.

Proprio una frase di Vittorio Sgarbi  mi ha fatto ritornare alla mente anche il mio prof. di Lettere e Filosofia che in sostanza diceva le stesse cose: “L’ arte ha senso quando ci fa cambiare il modo di vedere il mondo”.

Sembra una cosa da poco, ma invece è la ragione per cui io ad esempio mi sono appassionata all’arte. Dopo alcune opere, che ho avuto la fortuna di vedere fin da piccola, di Giotto, Botticelli,  Van Gogh , Picasso,  Kandinskij, Klee, Fontana, Burri, Rothko, Pollock , Bacon , Kosuth e di tutti gli altri che non posso citare per ragioni di spazio, il mio vissuto si è in qualche modo trasformato e arricchito. Perché la vera arte è proprio quella che ti rende molto più ricco dentro e naturalmente non sto parlando di soldi. Anche se pure il mercato dell’arte riesce in qualche modo a contribuire a far sì che, se un artista vale, allora le sue quotazioni aumentino e quindi non credo si debba disprezzare l’aspetto economico, fondamentale per la libertà di esprimersi di un pittore.

Sappiamo che non è sempre stato così e che artisti come Van Gogh hanno avuto riconoscimenti solo postumi.

In alcuni casi purtroppo la comunicazione era carente, oppure l’ artista era in anticipo rispetto alla sensibilità generale. Infatti Picasso fu il caso emblematico di chi era sì un pittore geniale, ma anche un ottimo comunicatore e, soprattutto, dotato di una grandissima capacità di intuizione: sappiamo che fu così per le sue Demoiselles D’Avignon realizzato nel 1907. La presentazione dell’opera ad alcuni amici creò sconcerto e per anni non venne quasi mai esposta al pubblico, eccetto che in un paio di mostre. Nel 1924 la tela venne acquistata dal collezionista Jaques Doucet, su suggerimento di André Breton, ma solo nel 1937 venne venduta ad un mercante di New York e di lì a poco divenne il pezzo più prezioso del Museo d’Arte Moderna.

Cosa c’era in quel quadro per creare una tale rivoluzione? Matisse lo capì subito dopo aver visto il dipinto; si era reso conto che la sua Gioia di vivere aveva ispirato Les Demoisellles , ancor più che l’ introduzione di Picasso all’arte africana, ma intuì anche che una cosa lo rendeva rivoluzionario: lo sguardo delle donne rivolte allo spettatore coinvolto in questo modo nella scena, un entrare nella coscienza di chi guarda l’opera, il che era in piena sintonia con la nascita della Psicanalisi di Freud proprio in quegli anni. Inoltre l’ aspetto delle donne ritratte ci fa capire che da quel momento in poi la lotta contro la mimesi era iniziata.

Tutto questo però è potuto avvenire perché prima ci sono stati quadri come Le Meninas di Velazquez , l’influenza dell’arte africana e tutto il resto.

Quello che voglio dire è che un pittore non è avulso dal suo contesto storico- ambientale e proprio per questo motivo assorbe per osmosi le sollecitazioni esterne. Di questo i critici e anche il pubblico se ne rendono conto immediatamente. Un’ opera d’ arte alle volte piace per i più reconditi motivi che solo la psicanalisi o la psicologia potrebbero riuscire a svelare. Come affermava Gombrich
“Poiché la creazione artistica, qualunque essa sia, in ogni caso è un fatto spirituale, intellettuale, la scienza dell’ arte deve essere psicologia”.

Recenti studi di neuroestetica hanno rivelato che a seconda del soggetto rappresentato (paesaggi, ritratti, nature morte o altro) nel cervello si attiva un’area differente, come se ad ogni tipo di rappresentazione corrispondesse una diversa micro – coscienza. Da rilevare che i quadri astratti sarebbero gli unici che non attivano aree cerebrali sensoriali, ma vengono elaborati solo da quelle più intellettuali.

Come sosteneva il filosofo David Hume,  la bellezza delle cose esiste nella mente di chi le guarda.

Infatti studi recenti sulla fisiologia della visione confermano che si tratta di un processo soggettivo, diverso da persona a persona e da epoca a epoca.

Ecco spiegato anche il motivo per cui un movimento come la Cracking Art ad esempio, ideato con tanto di Manifesto nel 1993, stia avendo il suo momento di popolarità solo ora; oppure ancora in questo modo si riesce anche a capire il perché dell’inversione di marcia sul figurativo, che da un po’ di tempo è tornato ad essere molto apprezzato sul mercato.

Con grande umiltà, anche perché non mi piace dare consigli di solito, mi sento di dire agli artisti, soprattutto ai più giovani: respirate a pieni polmoni l’aria del vostro tempo, cercate di vivere con empatia in mezzo alla gente e vedrete che anche la vostra arte sarà compresa meglio, proprio perché avrà colto le esigenze interiori del pubblico e della critica e, grazie a questo, saprà comunicare meglio il vostro messaggio, che è quello universale, ma proprio e sempre diverso, dell’opera d’ arte di ogni epoca.

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