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Il ritorno dei drughi. Arancia Meccanica in scena all’Eliseo

foto_Arancia Meccanica

Crudeli, di un’ultraviolenza nuda e cruda che sa di ossa rotte come gambi di sedano spezzati, rivoli di “salsa rossa” e denti estratti come gemme da una miniera: l’Eliseo osa e porta in scena, fino al 15 maggio per la regia di Gabriele Russo, il ritorno dei drughi, in una rappresentazione teatrale psichedelica e accattivante. Proprio come la immaginò lo stesso Burgess.

Divisa nuova, ferocia di un tempo. Hanno lasciato a casa tute bianche, sospensori e bombette di Kubrickiana memoria; ora indossano giacca e cravatta, accessori in pelliccia, occhiali nerd e scarpe flou. Si fanno sempre di “latte più”, nella gestualità sparato endovena da pendenti bozzoli che ricordano le opere di Ernesto Neto.

Luci stroboscopiche scandiscono il ritmo delle loro risse, folli e gratuite, sulle note del genio di Ludovico Van. Cosa avranno nel “gulliver” questi ragazzi che tanto somigliano a quelli di cui, oggi, si legge sui giornali? Benestanti, colti… spietati, nella consapevolezza che per apprezzare il bello – epicureo – si può (si deve?) essere anche, totalmente, amorali. Dormono in letti di pesante cemento, di piombo come le loro anime, che si librano leggere, invece, solo sotto l’effetto di acidi e anfetamine. Sottofondo di melodie disturbanti, che alienano, in sincopati rintocchi d’acciaio (meccanici), o frusciano come carte o squarciano come canti di sirene (musiche di Morgan).

Eppure il pubblico da questo susseguirsi di eventi vuole starne fuori, intimorito quasi dall’essere chiamato in causa in una rabbiosa escalation che di umano ha ben poco. Un acquario è la vetrina, la basculante camera (oscura, è il caso di dirlo) attraverso la quale assiste, impotente, al primo brutale stupro, allestito in uno slow motion degno della settima arte, che come un involucro plastico di lattice si allontana, man mano, allo sguardo per tingersi, rimpicciolendosi, d’amaranto.

Alex (un sinuoso Daniele Russo) e i suoi ritengono di aver il compito, su questa terra, di superare ogni limite e lo faranno fino a spingersi ad un immotivato quanto liberatorio omicidio, che condurrà il protagonista alla cura finale. Ed è qui il punto, il fulcro di tutta la vicenda. Quando entra in atto la riabilitazione forzata, la terapia shock in grado di redimere il peggiore dei delinquenti.

Contrasto tra Stato e Chiesa, tra opportunità e libertà di scelta che solleva l’irrisolto quesito: meglio essere malvagi genuini o retti per via di uno scientifico lavaggio del cervello? Scrutato dall’occhio clinico di camici bianchi, Alex ci fa quasi pena: ogni cellula del suo corpo, ogni neurone è shakerato, scosso nel profondo dagli avvolgenti e lunghi tentacoli della medusa in fibra ottica (la macchina) capace di effettuare la conversione senza pentimento. La nemesi è vicina: terminato il trattamento, soffrirà nella misura in cui ha causato sofferenza, con l’aggravante di dover sopportare l’insorgere di indigeribili conati al minimo accenno delle sacre sinfonie dell’idolatrato Ludovico Van.

Supplizio che sosterrà per poco perché, anche se la cura ha raggiunto l’obiettivo, gli interessi del mutante vento politico sono cambiati: Alex deve ritornare esattamente come era prima. Sarà ancora violento, amorale, spietato, codardo, uno dei delinquenti della peggior specie e, finalmente, potrà godere della nona di Beethoven e, in particolare, dello “scherzo vivace”, colonna sonora dei suoi crimini più efferati.

È questo il momento di urlare, squarciare il sipario, come l’affondo di un fendente, gridando in un non-luogo, fatto di non-persone, fluttuando, appeso a dei fili, a molti metri dal suolo, che lui, sì, “è libero”, prima di scomparire inghiottito dall’ombra più cupa. E poi? E poi il tonfo, lo schianto illuminato e senz’appello della sua stessa sagoma che, infrangendosi sul palco, si de-compone in mille pezzi. Restano i frammenti di un autentico inno alla distruzione, in cui la libertà è quella dei fantocci che il potere – burattinaio e unico detentore di tempi e modalità – inesorabilmente, annienta.

ARANCIA MECCANICA – regia di Gabriele Russo

dal 26 aprile al 15 maggio 2016
di ANTHONY BURGESS
con DANIELE RUSSO, SEBASTIANO GAVASSO, ALESSIO PIAZZA,
ALFREDO ANGELICI, MARTINA GALLETTA, PAOLA SAMBO, BRUNO TRAMICE

regia GABRIELE RUSSO
musiche MORGAN
scene ROBERTO CREA
costumi CHIARA AVERSANO
disegno luci SALVATORE PALLADINO

Teatro Eliseo
Via Nazionale, 183
00184 Roma
Tel. 06–83510216
biglietteria@teatroeliseo.com
www.teatroeliseo.com

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