Print Friendly and PDF

Da Gaudenzio a Fattori. Disegni antichi in mostra da Salamon a Milano

GIOVANNI FATTORI (Livorno 1825 - 1908 Firenze) NAPOLEONE III RICEVE IL DISPACCIO DELL’IMPERATRICE EUGENIA PRESSO LONATO Penna, inchiostro scuro, pennello, matita e acquerello su carta bianca , mm 465 x 369 (18 1/4 x 14 1/2 in.)

GIOVANNI FATTORI
(Livorno 1825 – 1908 Firenze)
NAPOLEONE III RICEVE IL DISPACCIO DELL’IMPERATRICE EUGENIA PRESSO LONATO. Penna, inchiostro scuro, pennello, matita e acquerello su carta bianca , mm 465 x 369 (18 1/4 x 14 1/2 in.)

16 – 31 ottobre 2013, Salamon, Milano
inaugurazione 16 ottobre, dalle 18 alle 21.30

In controtendenza rispetto a un mercato che guarda con troppa attenzione alla sola clientela straniera tralasciando di occuparsi del nostro Paese, la SALAMON, attiva da oltre sessant’anni nel mondo della pittura e grafica antica, non solo consolida le sue basi italiane, ma investe grandi risorse e ha tenuto in serbo per questo 2013 una mostra di disegni antichi con opere di straordinaria qualità, che spazia attraverso cinque secoli, dal Cinquecento ai primi del Novecento.

Si parte da un rarissimo gruppo, eterogeneo ed eccezionale, di fogli risalenti al periodo 1500 – 1560 di area piemontese, un Gaudenzio Ferrari (1480 – 1546), un Gerolamo Giovenone (1490 – 1555) che ammalia per la sua potenza espressiva e un Bernardino Lanino (1512 – 1583) di dimensioni imponenti per ammirare poi a un Domenico Fetti (1589 – 1623), il Ritratto dell’attore Francesco Andreini preparatorio per l’omonimo dipinto conservato al Museo dell’Hermitage a San Pietroburgo, un foglio con una potenza espressiva che non può che catturare irrimediabilmente lo sguardo di chi lo osserva!

Una delle tante piacevoli sorprese di questa mostra è poi il foglio di uno dei più rari pittori lombardi del primo Seicento, quell’Antonio d’Enrico, meglio noto come Tanzio da Varallo (1575 – 1633), i cui disegni sono il sogno spesso inesaudito e inesaudibile di tanti collezionisti. Quello di SALAMON è un preparatorio per una decorazione della Cappella Nazari a Novara, un foglio noto agli studiosi da molti decenni,  gelosamente custodito fino a oggi nella raccolta privata di un collezionista.

Rimanendo in territorio lombardo, ci si emoziona davanti al Giacomo Ceruti (1698 – 1767), un Ritratto di cucitrice seduta che si relaziona con il ciclo di Padernello, il più noto del “Pittore della Realtà”, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Pitocchetto. Questo è uno dei due soli disegni dell’artista, già noti agli studiosi, l’altro è conservato al Metropolitan Museum di New York.

La mostra prosegue attraverso il Settecento con un dolcissimo disegno di Gaetano Zompini (1700 – 1778), un Giovan Battista Dell’Era (1765 – 1799) pendant di un foglio conservato nel Museo Civico di Treviglio, per approdare all’Ottocento con una suggestiva Veduta del Tamigi di Giuseppe De Nittis (1846 – 1884) dai toni che non possono non rendere l’idea di come doveva essere Londra durante la Rivoluzione Industriale, quel periodo storico che ha trasformato la città britannica in una delle principali capitali economiche mondiali.

Dopo questa breve scorsa ai principali disegni esposti in mostra da SALAMON sembra che non ci sia più spazio per sorprese, il visitatore invece non può non stupirsi davanti al ritrovamento dell’imponente foglio di Giovanni Fattori (1825 – 1908). Non è solo la qualità e la dimensione del disegno (45 x 35 cm), colorato all’acquarello, o la paternità del principale esponente della pittura italiana dell’Ottocento, o la provenienza dalla raccolta Bernasconi, messa insieme da un grande appassionato e dispersa in una famosa vendita all’asta nel 1987, ma anche il fatto che l’opera documenta e illustra un episodio fondamentale per la storia moderna italiana: Napoleone III riceve il dispaccio dell’imperatrice Eugenia presso Lonato: fu proprio il dispaccio inviato al marito dall’imperatrice il 23 giugno del 1859, con il quale gli comunicava che l’esercito prussiano era sul punto di attaccare il confine francese sul Reno, ad obbligare Napoleone ad accelerare le operazioni e a predisporre per il giorno successivo l’attacco agli austriaci.

Questo avrebbe portato alla vittoriosa battaglia di Solferino e San Martino, risolutiva per l’esito, favorevole al Piemonte, della Seconda Guerra d’Indipendenza.

Il catalogo, curato da Federico Giannini, che ha dedicato quasi due anni per le ricerche interpellando specialisti da tutto il mondo, è interamente illustrato e stampato in lingua inglese, ma disponibile anche in italiano in formato elettronico, con riproduzioni di ciascun disegno e molti particolari di confronto,  aiuta il visitatore a meglio apprezzare ogni singola opera esposta fin nei suoi minimi segreti e dettagli.

Colpisce, nella scelta delle opere selezionate da SALAMON, lo stato di conservazione di ogni foglio, semplicemente descrivibile come perfetto.

________________________________

schede opere:


Giuseppe Canella

(Verona 1788 – 1847 Firenze)
Veduta del bacino di San Marco dal canale della Giudecca
Olio e rialzi di biacca su carta, 92 x 186 mm. (3 5/8 x 7 3/8 in.)

Su una distesa di mare piatto, rischiarata da una luce vespertina si stagliano i profili di una canoa, una gondola, un’altra imbarcazione più indietro e tre velieri. Nella foschia si distingue in fondo il campanile di San Marco e più a sinistra il profilo delle Fondamenta delle Zattere.

Questo foglio, dipinto ad olio su carta con dei rialzi di luce in biacca che definiscono le zone più chiare di cielo, è opera firmata del pittore veronese Giuseppe Canella. La data 1833 collima perfettamente con l’attività sia di Giuseppe che del fratello minore Carlo (Verona 1800 – Milano 1879), le cui vedute sono tuttavia improntate ad un’esattezza di visione lontana dalla natura sentimentale dell’opera qui esposta.

La vicenda della dinastia dei Canella ben rappresenta lo svolgersi di oltre un secolo di storia della pittura veneta e in particolare della pittura di veduta. Il capostipite Giovanni (1750 – 1847), architetto di una certa levatura e di orientamento classicista (suo il progetto per la parrocchiale di San Giorgio a Sanguinetto[i]), ma importante anche come scenografo, avviò i suoi due figli al genere pittorico più in voga a quel tempo presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia. Ma se per il più giovane Carlo la permanenza in laguna fu solo un fugace passaggio prima di approdare alla scuola di Giovanni Migliara all’Accademia di Brera, apprendistato questo che gli consentì di affinare le sue qualità di pittore prospettico e di maturare una freddezza di toni comune a molta pittura europea nell’età romantica (si veda la bellissima tela con Il Duomo di Milano e la Corsia dei Servi della Collezione della Fondazione Cariplo[ii]), per Giuseppe la formazione veneziana significò soprattutto il confronto con la tradizione settecentesca. Parlando di sé stesso in una memoria autobiografica Giuseppe amava definirsi un “manierista indiavolato”[iii], rispetto naturalmente ai modelli del XVIII secolo. Dichiarando di non aver avuto maestri e di non trarre ispirazione dall’osservazione del vero, Giuseppe sceglie di inserirsi in una linea che partendo da Guardi giungeva fino a Bison e a Tranquillo Orsi. Le sue vedute tendono ad una parafrasi lirica della realtà opponendosi a quelle d’impronta canalettiana di Vincenzo Chilone e della sua scuola, che ad inizio ‘800 risultavano le più apprezzate a Venezia. Non è casuale che Canella incontrò successo soprattutto come maestro d’esportazione. Nel 1833 l’artista aveva già consumato il soggiorno a Madrid e soprattutto quello di Parigi, nel quale era stato onorato addirittura di una medaglia d’oro da parte di Luigi Filippo suo grande estimatore e collezionista[iv]. L’esilio volontario presso Fontainebleau, non lontano da Barbizon dove dal 1830 si sarebbe insediata la ‘scuola’ di pittori cui si deve il grande rinnovamento del genere paesistico in Francia e in Europa, e soprattutto l’impressione che in lui suscitarono la visione diretta al Salon del 1824 dei capolavori di John Constable e tre anni dopo quella del Ponte di Narni di Corot oggi al Louvre, segnarono una svolta nella sua pittura che dopo il ritorno in Italia del 1832 si pone all’avanguardia nell’ambiente milanese e più avanti di quello fiorentino. Dipinti come quello qui esposto mostrano la sedimentazione di questi passaggi: Canella appare perfettamente consapevole di dover animare di spirito parigino (con figure di rematori che sembrano desunti dalle litografie del giovane Daumier) un genere ‘inattuale’ come la veduta veneziana. Rispetto tuttavia ai dipinti successivi, dedicati alle vedute veronesi[v] e gardesane[vi], non vi è ancora un intento storicista e nostalgico. La vita raccontata da Canella all’inizio degli anni ’30 vibra ancora del respiro dell’attualità.



[i] L. Simeoni, Verona: guida storico-artistica della città e provincia, Verona 1953, p. 87.
[ii] E. Lissoni, in Da Canova a Boccioni. Le collezioni della Fondazione Cariplo e di Intesa Sanpaolo, a cura di F. Mazzocca, Milano 2011, p. 198, n. V.56.
[iii] Le poche pagine manoscritte, conservate presso la Biblioteca d’Arte del Castello Sforzesco a Milano, sono riportate integralmente in R. Bassi Rathgeb, Il pittore Giuseppe Canella (1788 – 1847), Bergamo 1945, pp. 13-17.
[iv] M. Pittaluga, Note sul pittore Giuseppe Canella, in “Antichità viva”, XI, 1972, p. 34 (pp. 34-44)
[v] F. Dal Forno, Note per un catalogo di Giuseppe e Carlo Canella, in “Verona illustrata”, 14, 2001, pp. 69-76.
[vi]Corot e Canella: la nostalgia del lago, catalogo della mostra, Riva del Garda 2008.

 

Gaudenzio Ferrari
(Valduggia 1475 ca. – 1546 Milano)
Sacra famiglia
Penna e inchiostro bruno su carta bianca; 118 x 117 mm. (4 5/8x 4 5/8 in.)

La Vergine, seduta, sostiene dolcemente sul ginocchio sinistro il Bambino, che, sportosi fuori dal grembo, viene sorretto sotto le braccia da Giuseppe.

Questo prezioso disegno, definito da sintetici tratti di penna, reca in basso a destra un’iscrizione secentesca che lo vorrebbe opera di Taddeo o Federico Zuccari. In realtà il profilo tagliente delle figure e una più evidenziata indagine sulla volumetria sono indici del fatto che ci troviamo di fronte ad un foglio più antico di almeno mezzo secolo, databile con evidenza entro il secondo quarto del Cinquecento. La tipologia dell’impianto inoltre richiama da vicino uno schema che porta i tangibili segni dell’intelligenza figurativa del più grande pittore lombardo (intendendo per ‘Lombardia’ la regione storica che si estendeva anche al Piemonte orientale, molto più ampia quindi di quanto sia oggi) del Rinascimento: il valsesiano Gaudenzio Ferrari.

Nato a Valduggia, nell’area dei Sacri Monti, Gaudenzio consuma la sua formazione di pittore e scultore a Varallo. Se è vero che l’artista era sicuramente passato per la scuola del bramantesco Gottardo Scotto e del figlio Stefano a Milano[i] e che quindi era giunto a Varallo già edotto di quanto stava maturando nell’arte italiana nel primo decennio del Cinquecento, è altrettanto tangibile come, una volta assunto l’incarico decorativo per il nascente Sacro Monte dal beato Bernardino Caimi, il suo sguardo si sia rivolto soprattutto ai maestri che incarnavano i modelli dell’arte di devozione tra Lombardia e Piemonte: Giovanni Martino Spanzotti e Bartolomeo Suardi Bramantino. Lo stile di Gaudenzio diventa dunque un aggiornamento in chiave leonardesca di moduli compositivi che tendevano all’espressione degli affetti, con forti sbalzi in primo piano delle figure, come già in Bramantino, e una ricerca di monumentalità nelle proporzioni dalla forte valenza simbolica.

Il gruppo della Madonna col Bambino richiama da vicino la giovanile Madonna col Bambino e sant’Anna della Galleria Sabauda di Torino[ii], anche se la mitigazione delle asprezze fa propendere per una collocazione più avanti del nostro disegno, che è confrontabile in piccolo con il cartone della Madonna col Bambino del gruppo dell’Accademia Albertina (confronto), assegnato con certezza al maestro da Giovanni Romano[iii]. Lo stesso studioso aveva già messo il cartone in relazione con quelli che saranno gli sviluppi, di carattere certamente più manierato, da parte di Girolamo Giovenone, che pure guardò a studi come quello proposto. A far preferire un’assegnazione a Gaudenzio, rispetto al pur valido allievo, è il vigore sinottico del nostro disegno, con molte parti lasciate indefinite proprio per sottolineare la forza emotiva dei gesti d’affetto. L’indole raffaellesca, soprattutto della figura di Giuseppe rende verosimile una datazione ai primi anni ’30, in concomitanza con l’esecuzione dell’ancona della Madonna degli aranci in San Cristoforo a Vercelli[iv].



[i] E. Villata, in Gaudenzio Ferrari, Gerolamo Giovenone: un avvio e un percorso, Torino 2004, p. *.
[ii] Galleria Sabauda 1990 *.
[iii] G. Romano, in Gaudenzio Ferrari e la sua scuola: i cartoni cinquecenteschi dell’Accademia Albertina, catalogo della mostra, Torino 1982, pp. *
[iv] Arti figurative a Vercelli : San Cristoforo *

Giovanni Fattori
(Livorno 1825 – 1908 Firenze)
Napoleone III riceve il dispaccio dell’imperatrice Eugenia presso Lonato
Penna, inchiostro scuro, pennello, matita e acquerello su carta bianca , mm 465 x 369 (18 1/4 x 14 1/2 in.)
Provenienza:
Collezione Bernasconi, Mendrisio, Switzerland, Sale Christie’s, London, March 27, 1987, lot 349

L’imperatore Napoleone III, in divisa di ufficiale francese, sta leggendo una lettera a lui recata da un gruppo di corrieri militari piemontesi, che si distinguono dagli alleati in virtù del copricapo bianco. L’ambiente circostante manca di caratterizzazione, ma si presuppone possa trattarsi dalla zona sudoccidentale del Garda, tra le colline presso Lonato, dove si era insediato l’esercito francese nel giugno 1859, dopo la battaglia di Magenta e la conquista della Lombardia.

La ricostruzione nel dettaglio della scena presuppone si tratti di un episodio importante nella trama degli avvenimenti che segnarono la seconda guerra d’indipendenza. Probabilmente il dispaccio che Napoleone sta leggendo con preoccupazione era quello giunto da Parigi il 23 giugno, in cui l’imperatrice Eugenia lo avvertiva nella necessità di chiudere in fretta le operazioni militari in Italia per riportare l’esercito in patria, a difesa di una probabile aggressione sui confini da parte della Prussia. Proprio tale impellenza portò il giorno successivo all’attacco congiunto franco-piemontese al ‘quadrilatero’ e alla feroce battaglia di Solferino e San Martino, risolutiva per l’esito favorevole della guerra.

Questo bellissimo foglio è firmato in basso a destra da Giovanni Fattori e datato 1898. Si tratta dunque di una rievocazione storica, a quarant’anni di distanza, di eventi che ormai costituivano il collante ideologico della giovane nazione. Pure un personaggio come Napoleone III, la cui figura era invisa agli italiani per aver posto fine all’esperienza della Repubblica Romana del 1849 e per aver impedito, fino alla sua caduta, l’annessione di Roma al regno sabaudo, viene rivalutato quale protagonista della stagione risorgimentale. Nell’Italia umbertina del resto era in atto quel fenomeno che gli storici (Ernest Gellner, Eric Hobsbawm) hanno definito come “nazionalizzazione artificiale”, ovvero l’indottrinamento dei ceti popolari attraverso strutture condivise, come l’istruzione elementare obbligatoria o il servizio militare, ai principi e ai miti fondativi del regno unitario.

Una circostanza inoltre rende significativa la collocazione proprio al 1898 di questo foglio, forse preparatorio per una grande tela non realizzata: due anni prima la disfatta di Adua aveva significato la sconfitta nella guerra d’Abissinia, vergogna nazionale in quanto per la prima volta l’esercito di una potenza europea era stato travolto dalle armate di un regno africano; la conseguenza di una tale catastrofe fu una sostanziale sfiducia degli italiani nei confronti della figura del re ed un allentamento della coesione e degli ideali patriottici. Avvertendo il pericolo, la corona decise di promuovere il 4 marzo del 1898 la festa nazionale per la celebrazione del cinquantenario dello Statuto Albertino. Si trattava di un’occasione per rimarcare la centralità del potere regio nel percorso dell’unificazione. Il nostro disegno è presumibile sia stato elaborato per questa ricorrenza[i].

Giovanni Fattori era stato il cantore in pittura dell’eroismo struggente dei soldati, stanchi dopo le vittorie, colui che aveva impresso nelle sue tele innanzitutto la fatica del portare avanti gli ideali di amor di patria[ii]. A fine secolo, come Giuseppe Verdi, rappresentava il retaggio di un’epoca lontana e mitica, narrata nei racconti mensili del maestro Perboni in Cuore. Normale quindi che il suo stile abbia perso l’immediatezza della cronaca dei dipinti degli anni ’60 (Carica di cavalleria a Montebello, Assalto alla Madonna della Scoperta) per assumere un’indole elegiaca. Il ‘Risorgimento senza eroi’ di Fattori si popola a queste date di personaggi dalla stessa umanità dei villani del Mercato di San Godenzo (Firenze, Galleria d’arte moderna) o dei Butteri conduttori di mandrie (Livorno, Museo Civico Fattori)[iii], quasi che la guerra fosse stato un compito che soldati e imperatori avevano svolto non per loro scelta, ma seguendo l’impronta del destino. Anche l’ambientazione, volutamente indistinta, con le zolle d’erba segnate da pochi colpi di pennello, rimarca questo passaggio. Al pittore non occorre più registrare nel dettaglio l’evento storico, bensì trasferirlo sul piano lirico e in questo senso la preponderanza del bianco nelle scelte cromatiche aumenta la sensazione di miraggio, chimera assolata di un futuro radioso, eppure già trascorso.

Il disegno esposto chiude quindi idealmente un’epoca. Non stupisce che molti interpreti della pittura del simbolismo in Italia, da Pellizza a Segantini a Michetti abbiano guardato in questi anni all’esempio del nume tutelare della stagione a loro precedente.



[i] Alla ricorrenza vennero destinate numerose lapidi in tutta Italia e in particolare in Piemonte. Ad Asti in Piazza Roma venne scoperto il monumento Alla Patria di Antonio Gerosa.
[ii] A Baboni, L’epopea risorgimentale. Le grandi tele di battaglia: 1860-1870, in Giovanni Fattori tra epopea e vero, catalogo della mostra (Livorno), Milano 2008, pp. 57-60.
[iii] R. Monti, Maturità e privilegio di Fattori, in Giovanni Fattori: dipinti 1854 – 1906, catalogo della mostra, Firenze 1987, pp. 79-82 (pp. 59-85).

_______________________

informazioni utili:

SALAMON&C
Via San Damiano 2, Milano

tel +39 0276013142
matteo@salamon.it
www.master-drawings.com

date 16 – 31 ottobre 2013
inaugurazione 16 ottobre, dalle 18 alle 21.30

orari da lunedì a venerdì, 10,30 – 13 e 15 -19
opere esposte 20

Commenta con Facebook

leave a reply

*