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Liberate Il Quarto Stato di Pellizza !

Il cielo smarrito...

“Gli scioperanti in vetrina”

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“Il Quarto Stato” al Museo del Novecento colpito ovunque dai riflessi (Foto: Luca Zuccala © ArtsLife)

“Il Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo al Museo del Novecento ossia come soffocare la potenza espressiva di un quadro in una gabbia asettica. Un loculo nero progettato su misura chiuso da una teca di cristallo che specchia il mondo di fronte. E tanti bei saluti al quadro. Sbattuto lì, di lato, prima di addentrarsi nelle sale (o prima di mangiare da “Giacomo all’Arengario” se invece si ha fame) tra gli inebrianti azzurrini della rampa d’accesso elicoidale. Usato come immagine da copertina per attrarre visitatori (o turisti affamati).
E “Il Quarto Stato” divenne “Gli scioperanti in vetrina“. Che brutta fine. E che pessima vetrina. Dita unte e impronte di fronti spiaccicateci sopra. Riflessi e riverberi da sfidare nelle posizioni più assurde per captare qualcosa al di là della teca. E come si fanno a cogliere pennellate e pure cromie scientificamente dosate in queste condizioni (per non parlare delle tinte del cielo praticamente impercettibili)? E la divisione del tono, la scomposizione luminosa, l’atmosfera, i personaggi, la costruzione e la composizione della tela, l’incombere del popolo nel suo insieme che avanza. Come si fa in questo loculo?

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Il cielo perso nei riflessi… (Foto: Luca Zuccala © ArtsLife)
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…un particolare del quadro (e del riflesso) (Foto: Luca Zuccala © ArtsLife)

Com’è possibile ancora vedere una simile opera in un simile posto?
Non esiste una motivazione sensata per giustificare quella deprimente collocazione in quel disordinato e inadatto contenitore novecentesco (con orribili scale mobili modello Rinascente). C’entra poco o nulla col percorso espositivo (la data, 1901, è l’unica cosa che sa di Novecento anche se il quadro viene iniziato dieci anni prima), non c’entrano tema e contesto sociale, non inaugura le avanguardie. Così passato “Il Quarto Stato” entri nella prima saletta del museo con Modigliani, Picasso, Mondrian, Matisse, Klee. Logica espositiva non pervenuta. Poi il Futurismo che ci azzecca qualcosa, certo, ma allora perché non mettere un Balla o un Boccioni divisionisti?

Che pena vederlo ridotto così. Prima libero e silenzioso assaliva il visitatore che varcava la prima stanza del piano superiore di Villa Reale (al massimo davano fastidio qualche raggio di sole dalle finestre e il parquet che scricchiolava nella sala). Ora, un po’ diorama un po’ ornamento, relegato in una insulsa nicchia di cristallo con meno spazio di quello che aveva prima. Non c’è spazio per noi per vedere e percepire qualcosa del quadro. Non c’è spazio per loro, i lavoratori, e per l’opera di esprimersi compiutamente, la potenza dinamica della massa in cammino s’infrange sul vetro come del resto le nostre fronti sul lato opposto.

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Panoramica dell’allestimento (Foto: Luca Zuccala © ArtsLife)

Finalmente Boeri ha deciso di spostare la tela. In autunno probabilmente dopo un approfondimento/mostra sull’opera con gli altri quadri a stesso soggetto di Pellizza. Un trasloco che avverrebbe sempre all’interno del Museo che dovrà adattarsi e attenersi alla gratuità. Si pensa all’atrio dell’Arengario. Una soluzione a metà.

(Aspettando scettici la ricollocazione del quadro una considerazione: Se alla Gam non torna più, a Palazzo Marino non c’è spazio e qua appare palesemente sconclusionato, una sala completamente dedicata alla tela a Palazzo Reale?)

Per un maggiore approfondimento sul tema leggere l’esemplare articolo “Simbolo per Simbolo” di Cristiana Curti del 29/08/11

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Particolare del loculo/allestimento (1) (Foto: Luca Zuccala © ArtsLife)
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Particolare del loculo/allestimento (2) (Foto: Luca Zuccala © ArtsLife)
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Rampa elicoidale d’accesso al Museo (Foto: Luca Zuccala © ArtsLife)

 

Crediti foto: Luca Zuccala © ArtsLife

Foto e testo: Luca Zuccala © ArtsLife

 

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6 Commenti

  • …mi auguro che il “popolo” rappresentato, avanzando ancora, riesca a frantumare…la vetrina del loculo.

  • Mi permetto di aggiungere che la questione non è (solo) dove ci piacerebbe venisse messo il quadrone di Pellizza, che nessuno difese così come si fa ora quando era negletto alla GAM. Quanti andarono, infatti, a omaggiarlo e quanti si offendevano del fatto che quel magnifico museo è isolato, indifeso, diserto, abbandonato, rifiutato proprio dai suoi cittadini? Stava bene, Pellizza, alla GAM, ma quanti lo videro anche fra coloro che ora prendono parte a questa diatriba cittadina?
    E’ gravissimo, secondo me, aver così mal collocato Il Quarto Stato in un’area che conduce a un ristorante privato. Così come è gravissimo che quell’area intera sia diventata – per ricca concessione -, da pubblica che era, privata e non si fosse pensato, come in tutti i musei degni di questo nome in Europa e al mondo, soprattutto se “confezionati-di-bel-nuovo”, di installarci un bel ristoro per il visitatore pagante del Museo del ‘900.
    Lo schiaffo da sanare è proprio questo: l’indebita collocazione sia sul piano tecnico (è infame) sia sul piano “etico” (è appannaggio di quanti vanno a desinare in un ristorante che in carta pretende un prezzo non inferiore ai 70/80 euro).
    Dopo il Pellizza ricollocato, quindi, vorrei anche un bel ristorante per il Museo. Con quell’hatù sono convinta che anche il povero Arengario con tutti i suoi vetri che impediscono la visione di moltissime opere (che mi si dice della prima sala all’inizio di quella delle Colonne, dove Picasso fa a pugni con Kandinskij? O del Figliol Prodigo di De Chirico nel “ballatoio” fra le scale mobili?) ne trarrebbe giovamento.
    Soltanto due giorni fa ero a far colazione (brioche e orzo) a Ca’ Pesaro a Venezia. Città che non manca certo né di scorci da perdere i sensi né di occasioni per “cicchettare”. Molti conoscono il gradevole ristoro del Museo (in attesa del maquillage della direttrice Belli che sicuramente riporterà l’area culturale ai fasti antichi) e molti, all’ora dell’aperitivo o del pranzo, approfittano per una capatina alle sale superiori. E’ magnifico e “lussuosissimo” poter pranzare e chiacchierare in un posto silenzioso in riva al Canal Grande, con lo sguardo che non riesce a distogliersi dall’acqua scura di Venezia e dalla palazzata sontuosa con la Ca’ D’Oro della riva a fronte…
    Perché questo piccolo sforzo non è stato possibile in una Città come Milano, per il resto (e fatto salvo per il ristorante della Triennale) priva di accoglienze pubbliche di grande appeal? Perché i Milanesi e i loro (improvvidi, al tempo della ristrutturazione del Museo del ‘900) governanti non pensano mai in prospettiva, ma solo per sfangare al meglio sino al pomeriggio del giorno dopo?

    Grazie, Luca, per il link che mi onora.

  • l’immagine dei lavoratori che camminano verso gli spettatori rende bene l’idea di quanto sia stato poco felice collocare il Quarto Stato là dove si trova ora e di quanto sia invece necessario trovargli tutto lo spazio di cui ha bisogno per essere ammirato, studiato e per farsi travolgere da quella folla e da quel sentimento

  • Sono d’accordo: è assolutamente da ricollocare! Ha bisogno di una grande sala con molto spazio davanti alla tela, i lavoratori devono ‘camminare’ verso l’osservatore…

  • Scommetto, caro Luca, che fosse per te lo ricollocheresti nella Sala delle Cariatidi..

  • Effettivamente fa schifo dov’è

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