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Carlo Quaglia. Memorie infernali di un divino sognatore

Carlo Quaglia, Il Quirinale, 1952, olio su cartone, cm 40 x 51
Carlo Quaglia, Il Quirinale, 1952, olio su cartone, cm 40 x 51

26 novembre – 18 dicembre 2011, Galleria “Il Catalogo”,  Salerno

La storia intensa di una vita, dell’uomo prima e del pittore poi, un tuffo nostalgico in una emozionante passione che si impasta nei colori caldi e tersi, prende forma per tramutarsi in un progetto espositivo dipinto. Gli oli e disegni di Carlo Quaglia (Terni, 1903 – Roma 1970) sono tutti lì, uno accanto all’altro, affissi come piccole geometrie colorate sul cubo bianco della storica Galleria “Il Catalogo” di Salerno, nel frastuono dello struscio principale. Uno ad uno quei rettangoli ingialliti e rossicci sono singoli palpiti di un cuore pulsante, di una natura che cresce e matura, piccoli scenari di inizio secolo scorso come tessere variopinte che assieme formano il grande mosaico di una malinconica esistenza spesa per la propria e fedele amata, la pittura. Una sentita e tanto inseguita esposizione, oggi finalmente presentata dai galleristi salernitani Lelio Schiavone e Antonio Adiletta grazie all’amichevole concessione delle signore Adele e Valeria, gelose titolari del patrimonio Quaglia, nonché figlie di questo errante sognatore che tracciò con cuore e pennello i sogni più caldi e rarefatti della sua ultima isola eterna chiamata Roma, all’alba di un livido ma speranzoso dopoguerra. La serie dipinta ad olio esposta nella galleria salernitana è un ampio racconto artistico che si apre nella Terni degli anni ’20, e vibra sulla pelle di un giovane adolescente, che un po’ come tutti accresce i suoi studi, le sue passioni e i suoi doveri. Si avvicina alla musica, successivamente approda a Modena dove frequenta l’Accademia militare per poi essere eletto ufficiale (1927). Dottore in economia e commercio (1932) si appresta con regolarità al servizio militare tra Firenze e Bologna. Assegnato alla carica anche in varie località libiche, gli anni ’30 sono i momenti felici in cui si avvicina alle Arti e soprattutto alla pittura, raccogliendo colori e pennelli traspone su cartoni, fogli e tele piccoli scenari di un mondo impuro accuratamente filtrato attraverso il suo distillante congegno mentale. Però, ad un tratto, Carlo ripone la tavolozza e rimette il suo elmetto perché lo attendono mesi duri, quelli del Conflitto. Ad Agedabia gli inglesi lo catturano e trascorrerà cinque lunghi anni di prigionia alle pendici dell’Himalaya. È lì nel suo piccolo mondo buio racchiuso tra le mura alte di cemento che nasce il sodalizio con la pittura, sino agli estremi di una passione. Carlo decide: vivere per la pittura. Ma una vita sola non basta, l’uomo partorisce l’artista, una nuova luce, una nuova esistenza. Rientrato in patria abbandona definitivamente la carriera militare e si stabilisce a Roma dedicandosi del tutto alla pittura. Presso la Galleria “Il Cortile” Carlo Quaglia presenta la prima personale fissando il suo universale impegno artistico all’ombra della fiorente “Scuola Romana”, alla quale resterà stilisticamente fedele (1947).

Scheda critica
L’assunto pittorico di C. Q. è un discorso poetico, emozionale, quasi di traenza impressionistica che discute su opere di media e piccola dimensione: la formula visiva presenta una soggettistica mirata, tra il paesaggismo e la panoramica urbana dove fluidificano elementi di vario assortimento, desunti da luoghi e contesti cari al maestro negli anni di maggiore produzione. Il suo travaglio esecutivo è rapido, ma la pennellata definisce le tematiche con un nervoso letargismo nel segno. Epicentro del suo discorso estetico è una pittura assoluta, tersa, fatta di macchie e campiture, dove il contenuto cromatico vive nel suo completo stato azzerante. La perturbazione visiva, il “riconoscimento” degli elementi da parte del fruitore, avviene nei cartoni di Quaglia attraverso l’impatto su brevi e lesti tocchi di pennello che, timidamente, accennano un particolarismo di significazione (così sullo scenario compositivo si fanno luce finestroni, portali, fregi e cornicioni. Senza di essi, la Roma di Quaglia sarebbe una città diluita nel paonazzo della campitura e nel biondo della solida pennellata). Il filo rosso che collega la materia mentale del maestro con la sua romantica tecnica adottata è da ricercare lontano, nelle notti insonne, prigioniero nel corpo e nello spirito sotto l’incombente ombra nera di conflitti e distruzione, solo ed esiliato dal mondo suo. È li, in quel microcosmo interiore che quel filo rosso si annoda ad una pittura emozionale. Un passaggio obbligato nella trascendenza attraverso pennelli e cavalletto. Sul piano pittorico di C. Q. la dominante cromatica vive una lunga stagione di protagonismo. All’interno della forma, seppure nervosa a volte frammentaria, la regione estetica pullula di colori lirici, incrociando tangenti di tonalità passionali. I palazzi, le strade le vedute e gli scorci di Quaglia si riscaldano, assumendo un processo di decantazione sui rettangoli dipinti. L’acume estetico è evidente e si fa strada attraverso un reso cromatico dall’abile sensualismo: i vermigli coagulanti infiammano il sanguinolento spazio d’azione, mentre l’oro più acceso delle calure romane è uno sfavillio venuto dal cielo, che indora scorci e monumenti ed è un qualcosa di mistico, tra il sole e Dio. Utilizza spesso un telaio operativo di perimetro modico, dove la modulazione del pigmento crea un campo ricettivo dall’impeto febbrile, penetrante, mentre il groviglio caldo e fumante dei colori attira a sé l’occhio innocente con astuta strategia. Una pittura di penetrazione, dunque. La sua pittura è immersiva. L’unico dato affiorante è il dosaggio del bianco che, come isola chiara in un oceano di fuoco, illumina saliente l’intera orditura cromatica. Sulla complessità nel definire i suoi margini, basterà aggiungere che Quaglia è artista di un tempo interiore, non biologico (nelle sue opere la componente antropica è rara, talvolta completamente revocata). Il suo lavoro si applica in una cellula compositiva sognante, che vacilla costantemente in un sostrato onirico. È l’angelo dei pennelli caduto negli inferi di Roma, tra demoni urlanti, sulle piazze arse da fiamme roventi. È pronto a spiccare il volo, ma prima traccia sul suo cartone gli incubi affumicati dell’infernale città eterna. Dall’alto, da lontano, le angosce e i misteri non fanno paura. Carlo Quaglia li ha fissati lì, sui suoi lavori. Eternati come piccole, infernali memorie di un viaggio, racchiuse nel diario celeste di un divino sognatore alato.


Carlo Quaglia. Dipinti e disegni 
26 novembre – 18 dicembre 2011
(A cura di Lelio Schiavone e Antonio Adiletta)
Galleria “Il Catalogo”
Via A. M. De Luca, 14 – 84100 Salerno
Orari: martedì/domenica ore 10.00 – 12.30 / 17.30 – 20.00 (lunedì chiuso)
Ingresso gratuito
Tel. – Fax: 089 23 26 66
Info mostra: www.ilcatalogo.com / info@ilcatalogo.com

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