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Roma, torna all’antico splendore la Beata Ludovica Albertoni, capolavoro barocco di Bernini

L’Estasi della Beata Albertoni. Immagine dalla Soprintendenza Speciale di Roma L’Estasi della Beata Albertoni. Immagine dalla Soprintendenza Speciale di Roma
L’Estasi della Beata Albertoni. Immagine dalla Soprintendenza Speciale di Roma
L’Estasi della Beata Albertoni, immagine dalla Soprintendenza Speciale di Roma

La Cappella Paluzzi Albertoni è uno dei capolavori del barocco romano, rinato dopo venti anni grazie al restauro curato dalla Soprintendenza Speciale di Roma

Roma. Nel cuore di Trastevere, torna a splendere uno dei più preziosi gioielli del Barocco romano. Appare nella penombra della Cappella Paluzzi Albertoni come una visione mistica.

Nella Chiesa di San Francesco a Ripa Grande il restauro terminato pochi giorni fa ha riportato alla luce uno degli ultimi capolavori di Gian Lorenzo Bernini (1598-1680): l’Estasi della Beata Albertoni.

Quando lo realizzò infatti, aveva 76 anni ed è sorprendente la sua capacità nel realizzare l’altare dedicato alla Beata Ludovica Albertoni nel piccolo spazio della cappella. E nel concepire una tale visione scenografica, quasi teatrale.

L’Estasi della Beata Albertoni.
L’Estasi della Beata Albertoni, immagine dalla Soprintendenza Speciale di Roma

Il ruolo delle luci

L’intervento di manutenzione restituisce al complesso monumentale dedicato alla Santa, tutta la sua profondità prospettica, grazie al gioco delle luci delle due piccole finestre verticali  previste dallo stesso artista.

La luce infatti, enfatizza la cifra stilistica dello scultore: lasciare appena abbozzate  le parti in ombra e rifinire a lucido quelle accarezzate dalla luce, in modo da ottenere il  chiaroscuro  di un dipinto.

Questo modo di operare del Bernini è  stato confermato dagli stessi studi nell’ambito del restauro, che hanno anche dimostrato come il complesso monumentale sia stato scolpito su un unico blocco di marmo di Carrara.

Sembrano dipinti i merletti, le pieghe della veste e quel drappo ai piedi del letto dove giace la beata. Che esalta un virtuosismo tecnico che sembra andare  oltre la perfezione.

A completare la rappresentazione ‘teatrale’ dell’estasi contribuiscono anche i candidi putti che ne cantano la gloria e che dialogano con quelli del dipinto del Baciccio.

Come in altri capolavori dell’artista, architettura, pittura e scultura si fondono in una sorta di ‘teatro sacro’ incredibilmente dinamico e profondo.

È uno degli elementi che caratterizzano Bernini: il desiderio di sorprendere il visitatore, o meglio,  lo spettatore. Al fine di farlo riflettere sulla scena che caratterizza tutta la composizione. In questo caso, donare a chi osserva l’opera, la sensazione di assistere alla scena, di contemplare il mistero dell’estasi.

L’Estasi della Beata Albertoni.
L’Estasi della Beata Albertoni, immagine dalla Soprintendenza Speciale di Roma

Il restauro della Cappella Albertoni

Il restauro, costato 39.000 euro, è stato curato dalla Soprintendenza Speciale di Roma ed eseguito da Elisabetta Zatti. Come abbiamo già accennato, l’intervento ha interessato tutta la composizione monumentale: il sarcofago, i dieci cherubini in volo e la ricca decorazione in stucco dorato.

È previsto un ulteriore intervento (in questo caso di 15.000 euro) che valorizzerà il capolavoro con un impianto di illuminazione. Appositamente studiato per esaltare il candore del marmo e l’effetto chiaroscuro con le zone in penombra.

Un’altra interessante curiosità emersa durante le ricerche attinenti il restauro è la scoperta svelata dalla soprintendente Daniela Porro durante la presentazione alla stampa della fine del restauro:

“Sembra che per la realizzazione dell’opera il maestro non richiese alcun compenso: probabilmente, perché il papa Clemente X acconsentisse al ritorno nei territori pontifici del fratello dell’artista che si trovava in esilio.Una volta realizzato questo monumento, tra l’altro in pochissimo tempo, il fratello rientrò a Roma”

L’ultimo restauro risale addirittura a 20 anni fa. Come spiega Daniela Porro:

“Abbiamo operato non solo per la tutela e la conservazione di un’opera straordinaria, ma anche per la sua fruizione e valorizzazione”.

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