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Chi era Jason Polan, l’uomo che voleva ritrarre tutta New York

Jason Polan con il suo taccuino in mezzo al traffico umano di New York Jason Polan con il suo taccuino in mezzo al traffico umano di New York
Jason Polan con il suo taccuino in mezzo al traffico umano di New York
Jason Polan con il suo taccuino in mezzo al traffico umano di New York

Jason Polan è scomparso lunedì 27 gennaio 2020 a New York, la città che più di ogni altra cosa l’ha ispirato. Il suo ambizioso progetto era di ritrarne ogni singolo abitante, ogni singolo oggetto, ogni singolo aspetto per coglierne la quotidiana essenza.

Tra illustrazione e arte il confine è spesso sottile, così come osservazione e riflessione. Uno dei personaggi contemporanei che è stato maggiormente in grado di abitare queste dimensioni di confine è stato sicuramente Jason Polan. La sua scomparsa, avvenuta lunedì a solo 37 anni, ha certamente avuto la triste conseguenza di liberare un posto sulle sempre affollate panchine di New York. Era li che l’artista e fumettista passava molto del suo tempo, ossessivamente incuriosito dagli abitanti della sua città: li osservava da lontano per ritrarli nelle loro attività quotidiane.

Con tratto rapido, vagamente ironico, semplicemente evocativo, ha disegnato centinaia di migliaia di silhouette, situazioni, scene di vita comune della gigantesca macchina umana di New York. Una passione che gli avrebbe richiesto un’intera vita, senza probabilmente riuscire a portarlo a concludere il suo ambizioso progetto: ritrarre ogni suo concittadino. Era nato a Franklin, nel Michigan, ma si è trasferito a New York dopo la doppia laurea in antropologia, arte e design conseguita nel 2004; qui ha trovato un ambiente in grado di fornirgli un’ispirazione costante, che lo ha portato in questi anni, per esempio, a ritrarre ogni opera in mostra al MoMA o a lanciarsi in meravigliosi e folli progetti come la già citata enciclopedia dei volti della città (30.000 di questi sono stati raccolti nel libro Every Person in New York).

Polan aveva dunque promesso fedeltà alla sua città adottiva, luogo dove ottenere ispirazione e restituire arte. Sotto l’ombra dei grattacieli di Manhattan ha realizzato pagine e pagine di disegni, immergendosi anche nei suoi luoghi più rappresentativi per scarabocchiare oggetti, minerali e animali nei musei di storia naturale oppure mappe dei posti migliori dove leggere all’aperto. Ha fondato inoltre il Taco Bell Drawing Club, dove invitata gli artisti a incontrarsi nella catena di fast food per parlare e disegnare.

Polan ha esposto in diverse gallerie, ma non è mai stato interessato a entrare in modo sistematico nel mondo dell’arte istituzionale. Potremmo intendere la sua parabola in modo analogo a quella di Keith Haring – con cui riconosciamo anche una certa somiglianza anche nelle forme stilizzate -, che ha portato i suoi lavori fuori dal mondo dell’arte per immetterli con decisione nel mondo reale. Tanto che, nonostante non sia mai stato oggetto di grandi mostre o riconoscimenti ufficiali, è stato sempre molto apprezzato sia dal grande pubblico che dagli esperti (ha collaborato, tra gli altri, con Uniqlo e Marvel).

La sua linea era nervosa e eccentrica, veloce e audace. Come un vero artista di strada aspettava il momento giusto per ritrarre il soggetto giusto: dopodiché ne diventava testimone, creatore, agente sublimante. Oggi ci rimangono i suoi disegni e l’eredità di un sentimento di profondo appagamento artistico nell’incontro con ciò che, se solo guardato con più attenzione, è tutt’altro che una fugace e poco rivelante apparizione

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