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Irene Sofia Comi: Talent Scout della nuova arte


La giovane curatrice milanese Irene Sofia Comi è ospite al Motel Nicolella

 

Ciao Irene Sofia,

benvenuta al Motel Nicolella. Spero che la stanza sia di tuo gradimento, abbiamo appena riaperto e sei la prima ospite del 2020. Ho deciso di cominciare proprio con te perché rappresenti molto bene la categoria delle nuove leve della curatela italiana contemporanea. Sei giovane, preparata e determinata (e anche estremamente seria, qui al Motel non siamo abituati a tutta questa etichetta).

Hai deciso di tuffarti in un percorso difficile ma molto sfizioso, che può portare a enormi soddisfazioni (e altrettante sconfitte).

Beh insomma incominciamo, presentati. Ti sei distinta negli ultimi 12 mesi con alcuni progetti molto particolari. Dopo gli studi hai iniziato subito a “curare” (che termine lezioso) diverse esposizioni.

con Vincenzo Simone per Openwork, a focus on painting – Pescara, foto di Pierluigi Fabrizio

A proposito che hai studiato?

Ho studiato all’Università IULM di Milano, triennale con biennio di specializzazione in storia dell’arte e pratiche curatoriali. Poi ho scelto di proseguire su un doppio versante: da una parte con il programma di formazione per giovani curatori italiani della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, dall’altra, sempre all’interno dello IULM, come ricercatrice all’interno del dipartimento di Comunicazioni Arti e Media “Giampaolo Fabris”.

All’edicola Radetzky in Darsena a Milano… che avete combinato?

Insieme all’artista Matteo Vettorello e al team di Edicola ci siamo divertiti molto. Pressione Simpatica è una mostra pensata per uno spazio molto particolare, un’edicola di inizio Novecento sulla Darsena, con vetrate su tutti i quattro lati, non accessibile ma visibile 24 ore su 24. Per questa ragione l’idea è stata quella di aprire questo luogo – che si trova in uno dei centri della “movida milanese” – verso l’esterno, anche a passanti e non addetti al settore, rendendolo il più possibile accessibile e partecipativo. Vettorello ha pensato a un progetto ad hoc per quello spazio, riflettendo sulle caratteristiche di questo luogo, la sua natura ibrida e la sua collocazione. È nata così Autoindicatore di pressione simpatica, una scultura partecipativa che, attraverso una tecnologia biometrica, è in grado di misurare il livello di empatia tra due persone. Attraverso tre differenti esercizi, da fare rigorosamente in coppia, l’ambiente di Edicola diventa così una sorta di camera sensibile in cui, per qualche minuto, poter sfruttare un macchinario come promotore di relazioni umane anziché come dispositivo d’isolamento da ciò che ci circonda. Così, in un’ottica relazionale, per la prima volta Edicola Radetzky si è aperta alla città, in osmosi con il paesaggio urbano circostante. Siamo tutti molto soddisfatti del risultato ottenuto. Il lavoro di Matteo ha suscitato un notevole interesse e l’intento del progetto è stato recepito in modo molto immediato, sia dai passanti che dal pubblico più consapevole.

Matteo Vettorello – Pressione Simpatica, curata da Irene Sofia Comi, 2019, veduta della mostra, courtesy l’artista e Edicola Radetzky, foto di Maurangelo Quagliarella

Mi raccontavi che ti sei anche impegnata in un progetto d’appartamento.

Esattamente. Il progetto, che seguo come direttore artistico, si chiama “The House” ed è stato ideato da Michela Genghini che ha deciso di ospitare mostre di artisti emergenti nel suo appartamento, una casa-studio d’architettura in Porta Venezia, a Milano. “Non è il primo progetto in appartamento!” – dirai tu, eppure questo luogo è unico nel suo genere: è vissuto nel quotidiano da una famiglia, eppure è aperto al pubblico, e per parecchie settimane! Ho puntato tutto sulla creazione di contenuto e “movimento” a cavallo tra più discipline. L’obiettivo è promuovere giovani artisti attraverso due di mostre all’anno, con un programma di eventi collaterali in grado di attivare dei dialoghi spontanei. Ho ragionato sulla natura dell’appartamento, il contesto domestico per eccellenza, creando un’atmosfera calda e accogliente. La prima mostra nel 2019 è stata I’ll be home tonight, la doppia personale di Hermann Bergamelli e Fabio Ranzolin. Una riflessione sul concetto di “domestico” come limbo tra pubblico e privato, ma anche sui retaggi simbolici e le accezioni contemporanee legate all’idea di “casa”. Per questa prima esperienza abbiamo avuto all’interno del programma di eventi collaterali due ospiti d’eccezione: la storica dell’arte e dell’architettura e curatrice Paola Nicolin e l’architetto, designer e curatore Michele Brunello. A breve, in primavera, sarà inaugurata la prossima mostra. Ti aspetto!

Matteo Vettorello – Pressione Simpatica, curata da Irene Sofia Comi, 2019, veduta della mostra, courtesy l’artista e Edicola Radetzky, foto di Maurangelo Quagliarella

Perché hai deciso di occuparti di arte contemporanea e in particolare di fare la curatrice? Quali sono i tuoi punti di riferimento? C’è qualcuno che ispira il tuo lavoro, qualche mito nel cassetto?

È una domanda difficile. Credo che sia un po’ come chiedere da dove viene la propria personalità! Dunque, vediamo… Sono attratta dall’arte da sempre. Mi piace pensare che tutto parta da un legame familiare, un incontro tacito e fuori dal tempo. Ricordo ancora le prime mostre visitate da bambina, Picasso e Caravaggio. Poi l’interesse per l’arte contemporanea: un mondo sempre nuovo, che attiva la propria ricettività e porta a una ricerca continua. Al di là delle fascinazioni, quando ho pensato più nel concreto al mondo dell’arte, mi sono sempre vista nel ruolo di curatrice. Quel che mi appassiona è rendere realtà concreta un’intuizione, potermi sbizzarrire grazie alla libertà delle parole nel leggere un’opera – un organismo così autonomo e attivo al tempo stesso – e attraverso un dialogo con lo spazio poter restituire al pubblico un universo altro, parallelo a quello ordinario, che faccia nascere delle domande e ci renda più consapevoli di ciò che ci circonda, permettendoci di averne una visione più strutturata e profonda. Il tutto ovviamente attraverso tanta ricerca. Mentirei nel dire che ho un modello, una metodologia curatoriale figlia di Tizio o Caio. Ogni volta tutto si sviluppa soprattutto in dialogo con il contesto, come sua naturale estensione, tenendo in considerazione la storia e la funzione di quel che si definisce, ormai con un certo abuso, “contenitore”. Certamente siamo tutti “figli di”, ci sono per me punti di riferimento sia nel mondo strettamente teorico e curatoriale (Warburg, Barr, Malraux, Lyotard, Lippard, Didi-Huberman, Obrist). Guardando a un panorama culturale più ampio, penso di essere ispirata da ogni cosa. Ma forse non è una risposta soddisfacente? Sono influenzata da una combinazione di riferimenti alti e bassi, dalla più alta filosofia all’esplorazione del nostro vissuto quotidiano, fino a mondi più commerciali. Penso che ciascuno debba trarre ispirazione dalla teoria, dal passato e dai grandi della storia, ma debba farlo per sviluppare un proprio punto di vista. In questo modo, forse, potremo finalmente non tendere a un’omologazione di pensiero che è “preda dei venti”, direbbe il buon Battisti.

Dove credi che andremo a finire con la giovane arte nei prossimi anni? Tu che collabori con tanti under 30, cosa stai vedendo in giro di valido? Voglio almeno 5 nomi. E sapere se si tratta di pittura, scultura, video, digitale o altro. 

Non mi sento di sentenziare né di predire il futuro. Nel collasso attuale dell’inseguimento di mode ed estetiche passeggere, e dell’assumersi poco rischio nell’innovare (e nell’innovarsi), vedo al tempo stesso molto di valido e molto da scartare. Posso però dire che sono molto fiduciosa si chiarificherà presto un momento meno caotico, quantomeno a livello estetico-visivo, all’interno del quale si possono individuare determinate tendenze. Ritengo si tratti di stilemi, e non di stili. Magari ne riparleremo. Per il discorso sugli under 30, ai di là di chi si è già parlato, così su due piedi ti nominerei Matteo Montagna con il quale ho da poco concluso la mostra Cuore Selvaggio, Federico Cantale, Giuliana Rosso, Stefano Giuri e Irene Fenara. Da tenere d’occhio anche la vicentina Martina Camani e la giovane pescarese Lucia Cantò. Chi ti nomino lavora con più linguaggi, senz’altro c’è una preponderanza di scultura, ma anche performance, installazione, fotografia e pittura. Credo che il concetto di singolo mezzo espressivo con cui esprimersi sia ormai superato. Questo, ovviamente, ad una sola condizione: che l’opera realizzata rientri non solo nell’ambito del “sapere” ma anche del “saper fare”.

Matteo Montagna – Cuore Selvaggio, curata da Irene Sofia Comi, 2019, installation view. Courtesy dell’artista e Current, Milano.

Sono molto felice di averti avuto mia ospite. Ora, che cosa bevi? No analcolico please che gli ultimi ospiti eran tutti astemi. Che tristezza. 

Seria forse sì, ma astemia non direi! Per me un margarita senza troppo sale, grazie.

 

 

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