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Coimbra: Carlo Antunes e Agnaldo Farias raccontano la loro Biennale

Bienal de Coimbra 2019, Bouchra Khalili © Jorge das Neves

Nella capitale culturale del Portogallo è in corso fino al 29 dicembre 2019 A Terceira Margem, terza edizione della Biennale di Coimbra

Carlo Antunes e Agnaldo Farias, rispettivamente direttore e curatore capo della Biennale di Coimbra, illustrano lo spirito che anima questa importante e vivace manifestazione, lo spirito di ricerca e di “provocazione” che vi sta alla base, nel contesto di una città dinamica e affascinante.

A partire dagli ultimi dieci anni, il Portogallo è interessato da un profondo rinnovamento, sociale e culturale. Come si colloca la Biennale, in questo processo?

Carlos Antunes: I programmi del Círculo de Artes Plásticas non dipendono dalla disponibilità pubblica, che per l’arte è sempre variabile e “volatile”. Nascono invece sulla scorta della consapevolezza dell’urgenza e dell’utilità dell’arte, perché non possiamo concepire un mondo senza il pensiero raffinato e articolato che solo l’arte può imporre e rivelare. E lo facciamo non da 10 anni ma da 61 anni, dalla data della nostra fondazione. La regolamentazione del mercato, sia finanziaria che culturale, ci interessa poco. Il nostro focus poggia sull’unicità di ciascun artista e di ogni spettatore, favorendo una conversazione intima tra i due soggetti e la possibilità di scoprirsi e reinventare se stessi. Ci immaginiamo alla stregua di attori che agiscono con discrezione.

Questa del 2019 è la terza edizione. Qual è il suo scopo, quale l’idea curatoriale, quale messaggio si vuole lasciare al pubblico?

Agnaldo Farias: Per prima cosa, ho volute mettere in comunicazione la città con il suo fiume, il Mondego, partendo dal titolo di un racconto di João Guimarães Rosa. Una metafora per far scoprire una “terza riva” che conduca a una realtà interiore, quella dell’arte e del libero pensiero. Fermo restando che storicamente il Mondego è stato importante per Coimbra. La mia idea curatoriale si basa sul presupposto che l’arte fa propria l’idea di ripensare e riproporre ciò che si pensava fosse già conosciuto; mostrarlo da un altro punto di vista, prima insospettato. Jorge Luis Borges afferma che tutti i libri esistenti possono essere versioni dello stesso libro, la Bibbia.
Si può interpretare la “terza riva” di Guimarães Rosa come un riferimento allo stato di sospensione generale in cui viviamo, l’instabilità vista tra la folla, ai confini dei Paesi, nel dibattito teso tra coloro che predicono i disastri e quelli che si limitano a scrollare le spalle; l’opportunità di ridefinire le identità di tutto, contrapponendosi a quelli la cui reazione è quella di resistere alle zavorre della tradizione. Il messaggio, molto semplicemente, vorrebbe essere questo: “guardare avanti” con spirito critico.

Bienal de Coimbra 2019, Luis Felipe Ortega © Jorge das Neves

La mostra The Third Bank of the River è profondamente legata alla cultura portoghese. Ma più nel dettaglio, qual è il legame fra la Biennale, la città di Coimbra e la sua cultura?

Agnaldo Farias: L’arte contemporanea è la riva più lontana, la terza, quella della nostra sensibilità ed espressione. Che si svolga in una città come Coimbra è come un “opposizione” alla sua consacrazione come Patrimonio dell’Umanità, poiché ciò può suggerire che la città si sia fermata. Piuttosto, accade il contrario. Coimbra è ciò che è a causa dello spirito irrequieto di coloro che l’hanno costruita e abitata, e anche dell’audacia di coloro che continuano a ripensarla oggi. Fra questi, ci sono appunto gli artisti. Per cui, la Biennale vuole essere uno stimolo a continuare questo lavoro di scoperta e costruzione del futuro, curiosa e sensibile al domani, con spirito critico, come dovrebbe esserlo qualsiasi società.

Vorreste proporre un nuovo punto di vista da cui guardare la città?

Carlos Antunes: Non abbiamo la pretesa di avere la capacità di consentire nuovi punti di vista della città, figuriamoci di poterlo fare in modo strutturato. Questo è compito di altri soggetti. Nel nostro bagaglio, portiamo tutti i nostri dubbi e perplessità e modelliamo tutte le domande. La nostra non è la presunzione di detenere la verità, nessuna verità, né pensare che possiamo avvolgere gli altri in questo mantello della verità. Abbiamo una curiosità infinita e ci poniamo domande in maniera compulsiva. Questo è il metodo che consente non un nuovo punto di vista della città, ma tanti quanti sono gli sguardi. Solo il dissenso illuminato può consentire il consenso. O forse no.

Bienal de Coimbra 2019, Rita Ferreira © Jorge das Neves

Quanto è importante per l’arte essere legata all’architettura, e viceversa?

Carlos Antunes: Il motivo alla base dell’esistenza della Biennale è la classificazione UNESCO dell’Università di Coimbra come patrimonio mondiale. La Biennale – dell’arte contemporanea – è una risposta a questa nuova condizione della Polis. In effetti, è impossibile parlare della Polis senza parlare della città, del suo spazio, di ciò che la modella, di ciò che il suo territorio – necessariamente umanizzato – è, del suo paesaggio e della sua architettura. La pratica erudita dell’architettura è un potente strumento per porre domande, rivelare punti deboli e cercare soluzioni. Per tutte queste ragioni e altre che non mi vengono in mente adesso, la presenza dell’architettura in Biennale è fondamentale.

Carlos Antunes, a sinistra, e Agnaldo Farias. Courtesy Bienal de Coimbra

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