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Il potere dei re. Tra cosmologia e politica: una riflessione sul concetto di potere e regalità

Il potere dei re. Tra cosmologia e politica

Il potere dei re. Tra cosmologia e politica

Il potere dei re. Tra cosmologia e politica: Marshall Sahlins e David Graeber forniscono interessanti chiavi di lettura su un argomento fondamentale per le società umane, la regalità

In Il potere dei re, tra cosmologia e politica (Raffaello Cortina Editore, 2019) Marshall Sahlins e David Graeber affrontano un argomento denso e complesso, quello della regalità. Il libro è composto da sette saggi che analizzano in modo approfondito le origini e le caratteristiche fondamentali della regalità, in un contributo che non si configura come riepilogativo, ma ricco di nuovi spunti di riflessione e direzioni di studio.
Il potere dei re, tra cosmologia e politica riprende alcune tesi antropologiche (principalmente quella sull’origine divina della regalità di A.M. Hocart), ampliandole e proponendole entro un più grande quadro di lettura.

La regalità è una delle forme più durature di governo umano […] e per la maggior parte della storia umana la tendenza è stata a divenire più comune”.
Al contrario di ciò che si potrebbe presumibilmente pensare la regalità non è affar del passato. L’analisi delle caratteristiche della regalità può rivelare le strutture profonde della monarchia e, perciò, della politica. Il volume, che si concentra sulle forme tradizionali – “premoderne” – della regalità, non è solamente un’archeologia delle antiche forme di governo: può dire – e dice – molto sulle modalità di acquisizione e mantenimento del potere, rivelando come il concetto di regalità possa essere utile per comprendere e analizzare i fenomeni politici odierni:

Anche quando i re vengono deposti la struttura legale e politica della monarchia tende a sopravvivere loro, come dimostra il fatto che tutti gli Stati moderni sono fondati sul principio curioso e contraddittorio della “sovranità popolare”, secondo cui il potere detenuto dai re esiste ancora, ora semplicemente dislocato in un’entità chiamata “il popolo”.

Il potere dei re ruota attorno ai principi essenziali di formazione della regalità, e nonostante i contributi contenuti nei saggi non collassino in una teoria unificata, vi è un punto di vista comune che lega i saggi: far saltare il confine tra politico e rituale.

Il lavoro di Sahlins e Graeber scardina la percezione comune del simbolico come un fenomeno indipendente e prodotto dall’uomo sulla realtà preesistente. Il processo potrebbe essere paragonato a un altro importante contributo della disciplina antropologica alla comprensione delle caratteristiche precipue dell’umanità e della sua evoluzione, ovvero la presa di distanza dall’idea di sequenzialità tra evoluzione organica/evoluzione culturale. Queste, in proposito, le parole di Francesco Remotti contenute in Antropologia Culturale (pp. 17-18, Raffaello Cortina Editore, 2018):

La cultura appare sì come qualcosa di esterno rispetto agli organismi individuali, ma essa interviene ben prima che l’evoluzione organica produca l’uomo quale esso è attualmente. […] non è più pensabile che l’evoluzione culturale prenda piede soltanto dopo che l’evoluzione organica ha prodotto l’uomo attuale […] [questo] comporta pure il rifiuto dell’ordine gerarchico e sincronico di un “sotto” (base organica) e un “sopra” (sovrastruttura culturale). […] la cultura non interviene a cose fatte sul piano organico, bensì si innesta direttamente nell’evoluzione organica quale sua componente imprescindibile.

L’operazione di Sahlins e Graeber è simile: il simbolico non è costruito sulla realtà, ma agisce nel crearla. Di conseguenza il divino non è costituito sul modello di regalità, ma viceversa, è la regalità – come sostenuto da Hocart e ribadito in questo volume – che si ispira al divino per costituirsi. I re sono visti come metapersone con funzione ordinatrice per le società. Attraverso la lente del re straniero proposta da Sahlins, vengono a crearsi due poli contrapposti tra popolazione autoctona, proprietaria della terra e della produzione, e governanti stranieri portatori di un’alterità che presiede i fattori non controllabili della realtà, assumendo carattere di portale con il divino. Ma se da una parte il divino, nella persona del re straniero, è fattore ordinatore, dall’altro è anche visto come potenza distruttrice e divoratrice: per regnare il sovrano deve necessariamente portarsi al di sopra delle leggi e della morale comune. Viene a configurarsi così una “partita a scacchi” tra popolazione che cerca di controllare e limitare il potere del sovrano, e re che aspira a divinizzarsi tentando di trasformare i suoi atti di violenza arbitraria in segni di divinità.

Qui entrano in gioco i concetti di regalità divina e sacra proposti da Graeber: se la guerra viene vinta dalla popolazione, questa riuscirà a imbrigliare e limitare il potere del re in un’aura di sacralità, tramite imposizioni rituali e tabù. Il potere del re verrà limitato nello spazio e – semplificando – diverrà un feticcio. Il saggio sulla regalità Shilluk di Graeber (che riprende ed esplora l’affascinante concetto dell’uccisione del re divino di Fraezer) illustra magistralmente il processo di sacralizzazione attraverso una corposa analisi etnografica sulla popolazione Shilluk africana.
D’altra parte, se il re vince questa partita a scacchi, esso si divinizzerà, espandendo il proprio potere nello spazio e scontrandosi in definitiva con la caducità della vita umana. Qui sorgono altri paradossi e pericoli per la sovranità che vengono analizzati copiosamente nell’ultimo saggio della raccolta.

Il potere dei re, tra cosmologia e politica è un lavoro monumentale elaborato con acume e mobilitando un’analisi di dati grandiosa. In questo senso l’analisi etnografica che accompagna ogni saggio è impressionante: vengono analizzati dati etnografici che partono dall’Africa per finire in Asia, passando per l’America e la Papua Nuova Guinea.  Si rivolge soprattutto a studiosi e professionisti che sono interessati o hanno a che fare con il potere e la politica. Anche il lettore più avido di conoscenza può approcciarsi a questo testo, meglio però se già in possesso di qualche coordinata di antropologia. Il già citato Antropologia culturale o altre introduzioni all’antropologia (Pensare come un antropologo di Matthew Engelke è un’alternativa ancora più accessibile) possono essere sufficienti per orientarsi tra le dense e interessanti pagine di Sahlins e Graeber.

Da sottolineare il lavoro di introduzione di Piero Vereni (curatore dell’edizione italiana) che riesce a sintetizzare e introdurre in maniera straordinariamente chiara il lettore al vasto contributo di Sahlins e Graeber. La sua analisi coglie il punto fondamentale del volume, che ci propone – come scrive Vereni – di “aprirci alla possibilità teoretica che il simbolismo sia strutturale”. Harari, per citare un noto esempio, nel suo Sapiens, da animali a dei (Bompiani, 2014) suggerisce che il motivo fondamentale che ha permesso all’homo sapiens di avere successo nella storia del mondo è da ricercare nella nostra capacità di immaginare e creare credenze condivise grazie al pensiero simbolico. Questa capacità di creare e cementificare relazioni tra individui grazie ai miti comuni e all’immaginazione collettiva ha fatto sì che il numero di individui disposti a collaborare l’uno con l’altro crescesse in modo esponenziale.
Non è un caso che una delle strutture monumentali in pietra più antiche ritrovate, Göbekli Tepe, sia con tutta probabilità un luogo di culto. La religione e il simbolico hanno avuto – e hanno ancora – un ruolo fondamentale nella creazione delle società umane. Il potere dei re, tra cosmologia e politica sottolinea questo aspetto delle società umane e porta il dibattito su un altro livello, che può essere gravido di conseguenze per una piena comprensione degli Stati e della politica mondiale.

Il potere dei re. Tra cosmologia e politica. Marshall Sahlins e David Graeber.

 

Il potere dei re. Tra cosmologia e politica – David Graeber, Marshall Sahlins

Raffaello Cortina Editore, 2019
pp. 651

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