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Tra spiritualità e misticismo. Tutta la potenza evocativa della scultura indiana in mostra a Mendrisio

Bodhisattva Maitreya, Gandhara, II – III secolo d.C., scisto grigio, 88 cm Bodhisattva Maitreya, Gandhara, II – III secolo d.C., scisto grigio, 88 cm
Gaja Lakṣmī, India settentrionale, V secolo d.C., terracotta, 30 cm
Gaja Lakṣmī, India settentrionale, V secolo d.C., terracotta, 30 cm

Fino al 26 gennaio 2020 nel Museo d’Arte di Mendrisio, nonché ex convento dei Serviti, è possibile fare un viaggio nell’India Antica, grazie a capolavori del collezionismo svizzero. La selezione, ad opera del curatore e archeologo Christian Luczanitas, prevede settantasette sculture divise in nove sezioni, che articolano la triade religiosa tipica dell’antica arte indiana: buddismo, induismo e giainismo.

Da quarant’anni il Museo d’Arte di Mendrisio ospita rassegne dedicate a “culture lontane ma affini”, dall’arte giapponese a quella africana, fino al classicismo greco-romano. Questa volta l’ex convento di Serviti apre le porte a una straordinaria esposizione di scultura indiana, distribuita su un arco di tempo di quattordici secoli (dal II secolo a.C al XXII secolo d.C), che ci restituisce a pieno la sintesi tra misticismo e spiritualità.

Pārvatī, Tamil Nadu, XI sec. d.C., bronzo (lega di rame), 37,5 cm
Pārvatī, Tamil Nadu, XI sec. d.C., bronzo (lega di rame), 37,5 cm

Il curatore del museo svizzero Simone Soldini ci spinge a riflettere sulle pratiche di incontro, scontro e appropriazione avvenute nel panorama artistico europeo nei confronti dell’antica cultura indiana. Sebbene in tarda data – solo a partire dal novecento – e in misura minore rispetto al mondo africano, l’influenza del regno di Śiva sull’arte occidentale non mancò di farsi sentire, a tal punto che Oscar Schlemmer (1888-1943) parlò in una sua lettera del 1922 di un vero e proprio “culto dell’India”. A differenza di altri miti, quello indiana si sviluppò in modo capillare, invadendo una moltitudine di campi del sapere: dalla filosofia alla letteratura, dal teatro alla danza e alla musica, fino, ovviamente, alle Arti Visive.

Un momento di svolta coincide sicuramente con la fondazione nel 1879 da parte dell’industriale, viaggiatore e umanista Étienne Guimet (1836-1918), dapprima a Lione e poi a Parigi, di uno dei più importanti musei d’arte orientali a lui intitolato. Da qui Gustave Moreau (1826-1898), Paul Cézanne (1839-1906), André Derain (1880-1954), Ernst Ludwig Kirchner (1880-1938), Alberto Giacometti (1901- 1966) – di cui è esposto in mostra un bozzetto di Budda – e tanti altri iniziarono a considerare il dato estetico, più che quello archeologico, della cultura indiana.

Incappai per caso nelle pitture rupestri indiane di Griffiths a Dresda. L’opera mi mandò in visibilio. Temevo che non sarei mai stato in grado di uguagliare l’incredibile unicità della rappresentazione, con quella monumentale serenità della forma. […] Copiai molte illustrazioni solo per acquistare uno stile tutto mio e cominciai a dipingere quadri di grandi dimensioni”.

L’impressione provata da Kirchner fu sicuramente frutto del suo punto di vista eurocentrico ma anche, più banalmente, della sua curiosità per quelle forme tanto pacate e sensuali da lasciarlo senza fiato.

Architrave di un portale, Mathura, fine I – inizio II secolo d.C., arenaria rossa, 25.5 x 100 cm
Architrave di un portale, Mathura, fine I – inizio II secolo d.C., arenaria rossa, 25.5 x 100 cm

L’intento della mostra rimane comunque, oltre a quello di rendere omaggio ad artisti europei ed esporre materiale di possibile ispirazione per le pratiche contemporanee, quello di rendere accessibili le mille sfaccettature e stratificazioni della cultura indiana. Con il termine “indiano” il curatore Christian Luczanitas non si riferisce soltanto alla nazione odierna, ma intende tutto il grande triangolo del subcontinente indiano, includendo quindi gli attuali stati del Bangladesh, Pakistan e Sri Lanka, fino ai territori alle pendici dell’Himalaya.

Gaṅgā, dea del fiume, India centrale, fine VIII – inizio IX secolo d.C., arenaria rossa 46 cm
Gaṅgā, dea del fiume, India centrale, fine VIII – inizio IX secolo d.C., arenaria rossa
46 cm

La mostra è divisa in nove sezioni, che pur essendo supportate da schede storiche-cronologiche, sono dichiaratamente tematiche. Le sculture, illuminate da un impianto LED di ultima generazione che permette la malleabilità della luce, si ergono su piedistalli grigiastri dipinti e mano.

Tutti i capolavori soverchiano per l’abbondanza e l’esuberanza dei dettagli, diversificandosi sia per il tratto espressivo, sia per l’utilizzo di disparati materiali. L’india vanta un patrimonio artistico estremamente ricco e variegato, sebbene siano arrivati fino a noi solo i reperti realizzati in materiali durevoli, per la maggior parte in pietra.

Nella prima grande sala convivono due sezioni: Metafore poetiche e Animali Leggendari. Nell’India Antica i luoghi sacri sorgevano in prossimità di alberi, pilastri, tumuli e altri elementi simbolici. La stūpa si è proprio sviluppata a partire da un tumulo circondato da una balaustra, con l’aggiunta graduale di elementi architettonici. Alcuni esempi di essi sono presenti in quest’area della mostra, come decorazioni con spiriti e animali leggendari e pilastri scolpiti con figure dagli organi sessuali femminili e maschili rigonfi, protesi alla fertilità.

Il mitologico vyāla, India centrale, IX – XI secolo d.C., arenaria rossa, 49.5 cm
Il mitologico vyāla, India centrale, IX – XI secolo d.C., arenaria rossa, 49.5 cm

Nella sezione successiva, Tradizioni a confronto, la rappresentazione del Budda, fino ad allora delegata a luoghi e simboli legati alla divinità, rivela le sue sfaccettature umane, distinguendosi a seconda della regione di provenienza delle sculture. Le immagini della zona di Mathura, ad esempio, si distinguono da quelle di Gandhara, per quanto riguarda la capigliatura – il Budda di Mathura ha i capelli legati nella caratteristica forma di un guscio di chiocciola – e nel rapporto tra corpo e indumenti – il Budda di Pandhara indossa delle vesti coprenti che nascondono le forme del corpo.

Nel reparto Storie edificanti cogliamo a pieno la tradizione orale delle religioni indiane, e possiamo ammirare rilievi di carattere narrativo. Uno di questi raffigura un evento cruciale per il Budda, che se ne ricorderà immediatamente prima dell’illuminazione. Si tratta del bodhisattva sul punto di raggiungere a cavallo il luogo della sua prima meditazione, mentre la scena di sinistra conferma l’episodio mostrando le distese arate di un campo dinanzi al quale il Budda sta meditando.

Bodhisattva Maitreya, Gandhara, II – III secolo d.C., scisto grigio, 88 cm
Bodhisattva Maitreya, Gandhara, II – III secolo d.C., scisto grigio, 88 cm

La sezione Poteri femminili attesta, invece, l’acquisizione di grande rilevanza della figura femminile nel corso della prima metà del I millennio d.C. Se nell’induismo la posizione del potere femminile è oggetto di contesa con l’altro sesso e nel buddismo è sostituita dalla controparte maschile, con il pieno sviluppo del tantrismo (seconda metà del I millennio d.C.) compaiono numerose dee venerate autonomamente. Tra queste ultime due madri, un gruppo di divinità originariamente legato alla nascita e al benessere del bambino, e Vagisvari, la dea della parola di solito evocata contro qualche nemico.

Diramazioni Esoteriche è la sezione che indaga l’arte tantrica, difficile da definire a causa della continua trasformazione delle sue tecniche, accomunate tuttavia dal comportamento antinomico, l’uso del rituale (inclusi gli incantesimi e i diagrammi rituali), l’identificazione del credente con la divinità e l’appropriazione delle pratiche sessuali nei riti di iniziazione. Una delle opere più iconiche di questa sezione rappresenta il “Signore dalle sei sillabe del mondo”, molto popolare nelle regioni himalayane, sulla cui aureola è riportato un famoso versetto sintetico dell’insegnamento buddista:

Il Tathāgata ha affermato le cause e la cessazione
degli stati mentali (dharma) che originano dalle cause;
questo è quello che proclama il grande asceta”.

Vāgīśvarī, Uttar Pradesh, fine IV secolo d.C., terracotta, 69 cm
Vāgīśvarī, Uttar Pradesh, fine IV secolo d.C., terracotta, 69 cm

Miracoli è una sezione dedicata alla raffigurazione del Budda, scolpito in varie azioni divine come la benedizione della terra, il raggiungimento dell’illuminazione e il risveglio. A Bodhgaya quest’ultimo è ricordato in vari modi: attraverso il Budda all’interno del tempio, il trono di diamante e l’albero.

L’ottavo reparto, chiamato Coppia divina, è padroneggiato da una delle figure più affascinanti della cultura indiana: Śiva. Ricca di contraddizioni, sia estetiche sia di personalità, è spesso rappresentata nella forma di una linga, figurazione più o meno astratta di un fallo. A volte, tuttavia, include entrambe le nature sessuali e i due generi sono letteralmente scissi lungo una linea verticale che attraversa il corpo.

Divinità cosmica è l’ultima sezione, che conferma la multipersonalità di Śiva e ci colpisce per una scultura fruibile circolarmente in cui si susseguono espressioni leggermente diverse della stessa figura divina.

Nel complesso la mostra, nonostante la difficoltà di poter datare precisamente i ritrovamenti scultorei, offre una visione storicamente ineffabile, in cui emerge l’elegante manualità degli scultori indiani.

Informazioni utili

27 ottobre 2019-26 gennaio 2020

India Antica – capolavori dal collezionismo svizzero

Museo d’Arte di Mendrisio, Svizzera

http://museo.mendrisio.ch/it/mostre/al-museo-darte/india-antica.html

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