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Antonietta Raphaël Mafai tra sogni e segni: la mostra nel ghetto di Roma

Antonietta Raphael, Autoritratto 1928 Antonietta Raphael, Autoritratto 1928
Antonietta Raphael, Sorelle Berti
Antonietta Raphael, Sorelle Berti

Dal 16 settembre al 18 ottobre 2019 Antonietta Raphaël è protagonista alla Galleria Simone Aleandri Arte Moderna. Il suo mondo di ispirazione onirica partecipa alle celebrazioni attorno alla Giornata Europea della Cultura Ebraica, che quest’anno si è celebrata il 15 settembre.

I sogni, una scala verso il cielo è il tema della ventesima edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica che quest’anno si è celebrata il 15 settembre. Il sogno come luogo o mezzo d’incontro con il divino ricorre con frequenza nella Bibbia: si pensi a quello, celeberrimo, di Giobbe ed a quelli, molteplici, di suo figlio Giuseppe, per esempio.

Ma il sogno è anche la corsia preferenziale verso quel tempio laico che con Freud si consolidò alle radici del nostro mondo psichico, l’insondabile quanto imprevedibile inconscio. E, in arte, ci rallegrano i colori delle composizioni oniriche di Marc Chagall e ci frastornano le visioni eccentriche – ideazioni o incubi? – di Soutine.

Antonietta Raphael, Ritratto di Mario 1931
Antonietta Raphael, Ritratto di Mario 1931

La Galleria Aleandri, incastonata nel Ghetto ebraico di Roma, partecipa all’iniziativa europea con una mostra dedicata ad Antonietta Raphaël (1895 ca., Kovno, Lituania – 1975, Roma) moglie di Mario Mafai assieme al quale dette vita, intorno al 1928, ad un felice sodalizio artistico che il critico Roberto Longhi chiamò, con esito altrettanto felice, Scuola di Via Cavour (ne fecero parte, tra gli altri, Scipione, Mazzacurati, Lazzaro, Cagli).

Una settantina di opere – tra disegni (soprattutto), dipinti, sculture e incisioni- fittamente disposte alla maniera delle antiche quadrerie, lumeggiano la vicenda artistica, e quindi umana, della Raphaël che, figlia di un rabbino, fuggì bambina dai pogrom russi del 1905 e viaggiò, esule, attraverso l’Europa fino a che, un sogno premonitore fatto a Nizza, la condusse nella Città Eterna, che divenne la sua seconda patria (se tralasciamo il periodo delle sconsiderate leggi razziali) e che ella adornò con i caldi colori d’oriente della sua tavolozza e con le atmosfere mitteleuropee della sua faticosa infanzia.

Antonietta Raphael, Il Tempio del Cielo a Pechino
Antonietta Raphael, Il Tempio del Cielo a Pechino

Il gallerista Simone Aleandri ci illustra sommariamente la mostra soffermandosi su un dipinto del ’58 (ca.), titolato Le sorelline Berti.

“Berti, il padre delle due bambine – ci spiega- era un suo collezionista… si tratta di un quadro inedito. Dalla linea allungata degli occhi, poi, si capisce come la Raphaël guardasse con attenzione a Modigliani…come appare evidente anche da alcuni disegni”

Quei vistosi colori zingareschi che invadono i sensi con morbida violenza sono la firma autografa dell’artista lituana. Infine, a chiudere la scena, una densa quinta notturna segnata da una timida falce di luna e agitata da una creatura teriomorfica (un burattino? Un lemure?) alquanto vispa: un topos emblematico che sembra assegnare il dipinto alla sfera del gioco o del sogno.

Antonietta Raphael, Autoritratto 1928
Antonietta Raphael, Autoritratto 1928

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