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Il canto della resilienza: Helen Cammock e le sue donne in mostra alla Collezione Maramotti

Helen Cammock, Chorus 1, 2019, still del film, video HD 3 schermi. Courtesy and © Helen Cammock Helen Cammock, Chorus 1, 2019, still del film, video HD 3 schermi. Courtesy and © Helen Cammock
Helen Cammock, Chorus 1, 2019, still del film, video HD 3 schermi. Courtesy and © Helen Cammock
Helen Cammock, Chorus 1, 2019, still del film, video HD 3 schermi. Courtesy and © Helen Cammock

La Collezione Maramotti di Reggio Emilia ospita Helen Cammock, vincitrice del Max Mara Art Prize for Women. La mostra Che si può fare verte sulla figura femminile e sulla sua qualità per eccellenza: la resilienza. Dal 13 Ottobre 2019 al 16 Febbraio 2020.

Sarà per la posizione sfavorita in cui spesso la società le ha relegate, oppure per l’espansivo spirito materno che suggerisce protezione illimitata; o ancora per l’instancabile supporto e fiducia nel mondo, nonostante una conformazione fisica che da questo mondo forse qualcosa potrebbe temere. Sarà una miscela di queste ragioni – e di altre che di certo abbiamo tralasciato – a rendere la donna particolarmente idonea a incarnare il concetto di resilienza: ovvero la capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi; oppure, in psicologia, la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà.

Sulla tematica si è indirizzato anche lo sguardo attento di Helen Cammock, vincitrice della settima edizione del Max Mara Art Prize for Women e nominata al Turner Prize 2019. L’artista presenta il frutto delle sue riflessione nella nuova mostra Che si può fare, la quale dopo la prima tappa londinese alla Whitechapel Gallery di Londra (25 giugno – 1 settembre 2019) vivrà un riallestimento specifico alla Collezione Maramotti (Reggio Emilia), che ne acquisirà le opere, dal 13 Ottobre 2019 al 16 Febbraio 2020.

Nell’opera di Helen Cammock si intrecciano la narrativa femminile incentrata sulla perdita e sulla resilienza con la musica barocca composta da musiciste del Seicento, ispirazioni e racconti attraverso cui l’artista ha esplorato il concetto del lamento nella vita delle donne attraverso storie e geografie. Poetessa visiva i cui disegni, stampe, fotografie e filmati si affiancano a parole e immagini, Cammock porta avanti una pratica artistica multimediale in cui abbraccia testo, fotografia, video, canzone, performance e incisione, ed è determinata dal suo impegno a mettere in discussione le narrative storiche tradizionali sull’identità dei neri, delle donne, sulla ricchezza, sul potere, la povertà e la vulnerabilità.

Helen Cammock, Chorus 1, 2019, still del film, video HD 3 schermi. Courtesy and © Helen Cammock
Helen Cammock, Chorus 1, 2019, still del film, video HD 3 schermi. Courtesy and © Helen Cammock

Così, oltre al libro d’artista recentemente realizzato, la mostra include un film, una serie di incisioni su vinile, un fregio serigrafato e una stanza di ricerca in cui sono esposti libri e oggetti raccolti da Cammock e a lei donati durante il suo periodo in Italia (la mostra è infatti il risultato di una residenza italiana di sei mesi nel 2018, organizzata da Max Mara, Whitechapel Gallery e Collezione Maramotti). Cuore dell’esposizione è il video in tre parti che incrocia le interviste ad alcune donne dalle vite difficile e personalità forti: attiviste nel sociale, migranti, rifugiate, una suora e donne che hanno combattuto la dittatura. Così il progetto, prendendo spunto da un lamento preoperistico del 1664 della compositrice italiana Barbara Strozzi (1619-1677) – Che si può fare, appunto – rievoca la potenza delle voci femminili dall’epoca Barocca fino ad oggi. I lori contributi si alternano con brani musicali e filmati girati in Italia, restituendo al visitatore un’opera complessa da osservare anche diverse volte.

Durante l’inaugurazione della mostra, nella giornata del 12 ottobre, Cammock eseguirà la musica di Strozzi accompagnata da una trombettista jazz, facendosi così primo e vivo esempio dell’indistruttibile perseveranza della voce femminile.

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