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La forza della solitudine nei ritratti “scientifici” di Edmund Kalb, a Vienna

 

Solitario, inappartenente, ancora oggi poco conosciuto e compreso, Edmund Kalb (1900-1952) è stato un artista sui generis, che ha prodotto soltanto ritratti con un interesse fra artistico e scientifico. Il Leopold Museum gli dedica la prima esautiente retrospettiva mai organizzata a Vienna, fino al 18 agosto 2019.

«La stessa intensità e amore che provo nel disegnare le mie teste, l’ho provata anche per i pensieri che avevo scritto. Mi dispiace solo che non ci sia alcun mezzo per trascrivere e registrare un’esperienza emotiva in se stessa così com’è vissuta nel momento in cui nasce. Le persone avrebbero quindi una maggiore comprensione e una maggiore volontà di capirsi l’un l’altro».

Sta tutta in questa dichiarazione l’essenza dell’arte di Edmund Kalb, (auto)ritrattista meticoloso e ossessivo, solitario, idealista, in parte deluso dai limiti dell’esperienza umana, in parte dall’umanità stessa, che visse con amarezza i difficili e tragici decenni che traghettarono l’Europa dall’Ottocento alla modernità, attraversando due guerre mondiali, una grave crisi economica, e intravedendo i primi anni della Guerra Fredda.

Edmund Kalb, Ritratto di Alfons Fritz, 1923. Vorarlberg Museum, Bregenz. Photo Markus Tretter
Edmund Kalb, Ritratto di Alfons Fritz, 1923. Vorarlberg Museum, Bregenz. Photo Markus Tretter

A osservarlo nell’autoritratto del 1929, lo si potrebbe scambiare per un personaggio di un romanzo di Cesare Pavese, anzi, per un curioso scherzo del destino, quel volto lungo e affilato, lo sguardo intenso fisso su un irraggiungibile passato, i capelli pettinati all’indietro, potrebbe quasi assomigliare allo stesso scrittore langarolo. Al pari di lui, visse un’esistenza appartata, determinato a estrapolare dalla sua arte l’energia del pensiero umano. La sua produzione artistica, frutto di una vita essenzialmente in solitudine, si esprime quasi totalmente negli autoritratti, che a loro volta sono sintomatici di uno studio al limite dell’ossessivo dei suoi personali confini fisici e psicologici. Artista speculativo, di riflessione più che di ricerca estetica, fu naturale per lui concentrarsi sulle potenzialità offerte dal ritratto, che cercava però di unire non soltanto, com’è ovvio, alla psicologia, ma anche all’astronomia, alla matematica, persino alla fisica nucleare, un campo quest’ultimo che a seguito delle ricerche di Max Planck e Albert Einstein, nella prima metà del Novecento si sviluppò in maniera esponenziale. Portò avanti numerosi studi, anche se è ad oggi un mistero capire di cosa vivesse; è però noto che finché furono in vita, si appoggiò ai genitori.

Edmund Kalb, Autoritratto, 1929. Collezione privata, courtesy Rudolf Sagmeister
Edmund Kalb, Autoritratto, 1929. Collezione privata, courtesy Rudolf Sagmeister

Pur vicino, per certi apsetti stilistici, al meccanicismo di Naum Gabo e Alexander Rodchenko, concettualmente Kalb si concentra sulla costante trasformazione della realtà riflessa nella speculare trasformazione del soggetto, che è il protagonista assoluto dell’opera. Non ci sono infatti né sfondi di paesaggi o d’interni, né altri elementi che possano collocare il volto nel tempo o nello spazio. E sempre, del soggetto si vede soltanto il volto, fatta eccezione per alcuni studi di nudo. In termini di metafora, i suoi ritratti possono essere letti alla stregua di fotografie, anzi spettrografie, delle connessioni neurali umane, ma è sorprendente come il lato scientifico non abbia il sopravvento sulla poesia, e suoi volti non siano mere trasposizioni di dati d’esperienza, bensì appaiano agli occhi di ognuno come componimenti al ritmo di matita, acquerello o carboncino, dal sapore della tragedia greca. Pur calati nel doloroso Novecento (quasi sempre Kalb stesso, più raramente la madre o altre persone), quei volti possiedono la determinazione di Diogene, dalla vita parca e solitaria, ostinato nel cercare l’uomo; e insieme sono apparentabili al Berto di pavesiana memoria, e, in una certa misura, anche a Tonio Kröger di Mann.

Edmund Kalb, Ritratto di bambino, 1938. Collezione privata, courtesy Rudolf Sagmeister
Edmund Kalb, Ritratto di bambino, 1938. Collezione privata, courtesy Rudolf Sagmeister

In quegli sguardi, come un vento di tramontana, si respira a grandi boccate la forza della solitudine, la determinazione a essere se stessi, il coraggio di affacciarsi sull’abisso già esplorato da Nietzsche. Stilisticamente, la carriera di Kalb conosce una prima fase vicina al figurativo di matrice espressionista, sulla scorta di van Gogh e Millet, databile fra il 1917 e il 1925. Nelle opere di questi anni la linea è morbida, e sono frequenti anche i ritratti di altre persone, soprattutto donne; i volti sono tracciati con l’attenzione al particolare, alla linea curva del naso o della mascella, e lo sguardo è il punto focale di volti che sono altrettante storie personali, quasi nell’ottica dello spiritualismo pittorico. Il 1926 fu l’anno di svolta, non soltanto perché lascio la natia Dornbirn per Monaco di Baviera dove intraprese gli studi accademici, ma soprattutto perché dette avvio a una fase artistica del tutto particolare, concentrata sull’autoritratto in chiave dell’Espressionismo viennese secessionista che fu proprio di Richard Gerstl e Egon Schiele; in Kalb però quest’approccio sortisce effetti molteplici: ora drammatici, ora caricaturali, ora bozzettistici, ora di divertissement estetico. Probabilmente l’impatto con la vivace, sordida, contraddittoria Monaco di quegli anni ebbe un ruolo in questa nuova direzione stilistica, ma bisogna anche considerare come Kalb in quei medesimi anni fosse s’interessasse alla fisica, alla matetmatica, all’astronomia. Nei suoi volti non si riflette più “soltanto” un individuo e la sua storia, ma proietta quel medesimo individuo – ovvero se stesso trattandosi di autoritratti -, in un universo di linee ortogonali e diagonali che richiamano le orbite delle stelle e dei pianeti.

Fu una personalità contraddittoria, come spesso accade a chi si muove su sentieri non convenzionali: pur fuggendo la vicinanza degli altri, cercava comunque la relazione, e il suo studio dell’esperanto si spiega probabilmente con l’illusione che questa lingua dà nel poter superare quelle distanze che amareggiavano Kalb. Con questa lingua, infatti, fu a lungo in corrispondenza con intellettuali da tutto il mondo. Isolato nel volontario esilio nel remoto villaggio montano di Ebnit, non espose mai al pubblico le sue opere, tanto che le centinaia dei suoi ritratti furono ritrovati dopo la sua scomparsa, accuratamente impilati in una stanza del suo appartamento.

Edumnd Kalb, Astrazione, 1938. Collezione privata, courtesy Rudolf Sagmeister
Edumnd Kalb, Astrazione, 1938. Collezione privata, courtesy Rudolf Sagmeister

Scomparve in solitudine, dopo una vita solitaria e non facile, che lo vide più di una volta in aperta lite con l’autorità costituita: sul finire degli anni Trenta scontò vari mesi di prigione con l’accusa di insubordinazione al regime nazista, e anche nel dopoguerra ebbe vari alterchi con le forze di polizia, che portarono a ripetuti arresti e infine alla sua morte prematura nel 1952.

In realtà Kalb non fu un anarchico militante che cercava lo scontro con l’autorità; probabilmente soffriva di disturbi comportamentali, acuiti dalla solitudine, ma al fondo era un uomo che nell’autorità leggeva una forma di prevaricazione; forse, al pari di Tasso, soffriva anche di manie di persecuzione, ma che l’Europa della sua epoca si stesse preparando a costruire il sistema della società di massa e del controllo delle coscienze, è un fatto. Che Kalb lo presentisse, è probabile.

Assieme a Richard Gerstl, a Klemens Brosch, ma anche Hans Hartung, Blaise Cendrars e Cesare Pavese, Kalb rappresenta l’artista-intellettuale solitario, che nel silenzio del suo studio si avventura sui sentieri scoscesi della psicologia umana, e cerca di spingere oltre il limite della consapevolezza.

Leopold Museum, Vienna
fino al 18 agosto 2019
www.leopoldmuseum.org

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