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Velázquez, Rembrandt, Vermeer e le inaspettate corrispondenze tra Spagna e Olanda

A sinistra Diego Velázquez, Francisco Pacheco. A destra Bartholomeus Jansz van Assendelft Werner van den Valckert, Portrait of a Goldsmith A sinistra Diego Velázquez, Francisco Pacheco. A destra Bartholomeus Jansz van Assendelft Werner van den Valckert, Portrait of a Goldsmith
Johannes Vermeer, View of Houses in Delft
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Velázquez, Rembrandt, Vermeer. Parallel visions traccia interessanti parallelismi tra la pittura spagnola e quella olandese. Una ricerca in divenire, che prende avvio dal Museo Nacional del Prado di Madrid e sarà in mostra fino al 29 settembre.

Come all’interno dell’opera di un pittore si rintracciano rimandi silenziosi e analogie che movimentano la composizione intonando versi, strofe e ritornelli, anche tra i lavori di artisti differenti non è impossibile scovare connessioni non esplicitate ma in ogni caso esistenti. In questo modo dimensioni distanti possono ritrovarsi improvvisamente adiacenti, inserite in un dialogo che si fa più fitto anche perchè, nella realtà, non è mai esistito. Nel corso del 1600 a contribuire alla lontananza tra Velázquez, Rembrandt e Vermeer sono stati indubbiamente gli spiriti nazionalisti dei paesi che ne ospitavano il genio: Spagna e Olanda. Le due nazioni hanno contribuito ad allontanare gli artisti nel tentativo di rafforzare le loro identità specifiche che, come spesso accade, si nutrono più sulla contrapposizione con un elemento esterno piuttosto che attraverso la valorizzazione di una caratteristica propria. Per questo Spagna e Olanda hanno sfruttato il talento dei tre pittori per affermare l’unicità del proprio carattere, sottolineando le differenze tra loro e partecipando ad oscurare le corrispondenze e le influenze che sono trascorse tra i tre.

A ristabilire la connessione tra le tre figure chiave del XVII secolo è il Museo Nacional del Prado, che superando le contrapposizioni nazionaliste pone 72 opere a confronto. La mostra Velázquez, Rembrandt, Vermeer. Parallel visions è a Madrid fino al 29 di settembre e si fregia di dipinti provenienti da diverse grandi istituzioni: il Rijksmuseum di Amsterdam, il Mauritshuis dell’Aia, la National Gallery di Londra e il Metropolitan Museum of Art di New York. Così, mentre la letteratura storico-artistica ha raccontato di solchi importanti a separare le due culture, l’attività di ricerca del museo spagnolo dimostra come queste siano soltanto fragili costruzioni politiche. Attraverso la lettura delle opere dei tre artisti emergono allora somiglianze, caratteristiche comuni, rimandi che partecipano ad un tessuto culturale più simile di quanto si potesse pensare.

A sinistra Diego Velázquez, Francisco Pacheco. A destra Bartholomeus Jansz van Assendelft Werner van den Valckert, Portrait of a Goldsmith
A sinistra Diego Velázquez, Francisco Pacheco. A destra Werner van den Valckert, Portrait of a Goldsmith, probably Bartholomeus Jansz van Assendelft

Il nero è stato, per esempio, tonalità cromatica comune degli abiti indossati dall’elite nobiliare dei due paesi – eredità acquisita probabilmente dal ducato di Borgogna, il quale ha regnato sia in Spagna che nei Paesi Bassi con Filippo il Giusto, Carlo V e Filippo II. Questa moda si è imposta per più di un secolo e ha contagiato artisti maggiori e minori, che hanno assorbito e convogliato questa tendenza nei diversi ritratti realizzati. Se questa tendenza modaiola potrebbe passare come curiosa coincidenza, più solido appare il legame che una precisa ideologia artistico-filosofica ha teso tra i due paesi. Il XVII secolo è stato caratterizzato dalla ritrattistica a tema religioso declinata in chiave umanistica. Divinità, santi e personaggi mitologici appaiono umanizzati nell’ottica di rivendicare la possibilità dell’artista di interpretare soggettivamente la realtà. Se, per esempio, in Italia e in Francia questa tendenza venne presto abbandonata, il fatto che in Spagna e Paesi Bassi gli artisti continuarono a solcarla per diversi decenni rende inopinabile il parallelismo tra i due paesi.

Parallel Visions mette in crisi anche l’idea che il tema della Natura Morta sia una prerogativa degli artisti olandesi, celebri per avere “l’abilità di creare molto con poco”. Sono stati invece molti i pittori internazionali, tra cui lo spagnolo Francisco de Zurbarán, a cimentarsi nella celebre espressione artistica che appare ora influenzata, più che dall’origine geografica, dalle oscillante correnti ideologiche ed estetiche che si sono alternate nelle diverse realtà europee. Oscillanti come i rapporti, ora bellicosi ora collaborativi, intercorsi tra Spagna e Paesi Bassi e culminati anche in interessanti commistioni culturali.

Per esempio alcune fonti affermano che Gerard ter Borch (1617-1681) viaggiò in Spagna e ritrasse Filippo IV, oltre ad aver affiancato il conte di Peñaranda a Münster quando quest’ultimo era a capo della delegazione spagnola che firmò il trattato di pace che ha concluso la Guerra degli Ottant’anni tra Spagna e Olanda. Sembra anche che Bartolomé Esteban Murillo (1618-1682) dipinse varie scene di ragazzi ridotti in povertà, influenzato dai dipinti olandesi che conosceva attraverso mercanti stranieri che vivevano a Siviglia. Invece, intorno al 1633-41, Filippo IV di Spagna commissionò una serie di circa 45 paesaggi per decorare il palazzo del Buen Retiro a Madrid; tra gli artisti coinvolti, tre pittori erano olandesi: Herman van Swanevelt (1603-1655), Jan Asselijn (1610-1652 circa) e Jan Both (1618 / 22-1652 circa).

Francisco de Zurbarán, Agnus Dei
Francisco de Zurbarán, Agnus Dei

Se in apertura di articolo abbiamo parlato di come il conflitto, anche ideologico e artistico, funge da ottimo costrutto identitario per un soggetto desideroso di emanciparsi da un altro, trovare un terzo polo a cui fare comune riferimento risulta invece particolarmente valido nell’avvicinare due dimensioni che si credono distanti. Così l’interesse comune di Spagna e Olanda per gli artisti italiani, soprattutto da Tiziano in poi, ha fatto si che i lori pittori sviluppassero un tratto stilistico comune. Si fa in particolare riferimento ad una tecnica piuttosto libera e sciolta che lasciava ben visibile sulla tela i segni del passaggio del pennello. Passate così profonde e intense che i critici del tempo li identificarono come i “dipinti dai grandi colpi di pennello”.

Queste alcune linee guida per leggere una relazione che è ancora in fase di analisi e costruzione. Se ritornassimo allora ad immaginare i rimandi e i tratti somiglianti fra i dipinti degli artisti spagnoli e olandesi come passaggi simili di una metaforica melodia immaginaria, ci accorgeremmo di come le note di questa sinfonia combinata siano lontano dall’esaurirsi nei suggerimenti che il Museo del Prado propone. Dunque, come una musica ha l’improvvisa abilità di presentarsi alla mente anche senza una sorgente, allo stesso modo nei capolavori spagnoli e olandesi le corrispondenze giacciono nei dettagli non ancora analizzati, pronti a risuonare nelle orecchie – o, fuori di metafora, negli occhi – di un osservatore attento.

Diego Velázquez, Il trionfo di Bacco
Diego Velázquez, Il trionfo di Bacco

*Johannes Vermeer, View of Houses in Delft (dettaglio)

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