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Tutto ciò che ci saremmo persi. Il MET di New York celebra i suoi artisti rifugiati

Marc Chagall, The Lovers, 1913-14 Marc Chagall, The Lovers, 1913-14
Marc Chagall, The Lovers, 1913-14
Marc Chagall, The Lovers, 1913-14

Il Metropolitan Museum of Art di New York celebra i suoi artisti rifugiati nella settimana mondiale a loro dedicata.

L’accoglienza può dare frutti inaspettati. Ed incredibilmente preziosi. Un possibile investimento a lungo termine, per i più cinici; inevitabile manifestarsi della meraviglia umana, per i più sensibili. Di certo, per tutti, occasione di riflessione attorno alla tolleranza e all’accettazione, di chi è in difficoltà ma anche e soprattutto di un semplice assunto che a quanto pare così semplice non è: nessuno differisce dall’altro, su questa terra. O almeno non lo fa quando si tratta di fuggire dalla guerra, di salvarsi la vita, di migliorarla, di lottare per avere un’altra possibilità.

Il 20 giugno si celebra questo ed altro durante la Giornata Mondiale dei Rifugiati. Festeggia in modo particolare New York, emblematica città cosmopolita; festeggia in modo eccezionale il Metropolitan Museum of Art, che tiene fede al suo spirito internazionale promuovendo con l’International Rescue Committee un’iniziativa volta a sottolineare il capitale culturale e umano che avemmo perso se ci fossimo chiusi rifiutando ospitalità a chi la richiedeva.

Piet Modrian, Composition, 1921
Piet Modrian, Composition, 1921

Il MET ha coperto simbolicamente il dipinto iconico The Lovers (1913-14) di Marc Chagall, in via temporanea tra il 17 giugno e il 20 giugno. La scelta non è ovviamente casuale: Chagall è stato uno dei 1.500 rifugiati fuggiti dalla Francia nel 1941, anche grazie agli sforzi e all’intervento di un’organizzazione che sarebbe poi diventata l’IRC (International Rescue Committee). Emigrato in America, è diventato artista ebreo per eccellenza del XX secolo. Il quadro coinvolto nell’opera di occultamento-svelamento, in un’operazione che porta alla mente la poetica di Christo, rappresenta l’immagine onirica di una tenera coppia avvolta in un bacio. Da una finestra sullo sfondo, i colori di una città russa invadono la stanza avvolgendola di un manto surreale.

Max Ernst, Gala Éluard, 1924
Max Ernst, Gala Éluard, 1924

Un’idea delicata ma eloquente che è stata prontamente seguita anche dal The Met Fifth Avenue e il The Met Breuer, che hanno deciso di valorizzare alcune loro opere in occasione di questa settimana di commemorazione attiva. Max Beckmann, Max Ernst, Ibrahim El-Salahi, Piet Mondrian, Sopheap Pich, and Mark Rothko sono tutti artisti rifugiati, giunti in America in cerca di fortuna e che all’America hanno restituito molto (e forse di più) in termini di espressione artistica.

Nel Regno Unito, l’IRC ha collaborato con la Tate per mettere in risalto opere d’arte realizzate da artisti rifugiati nelle sue quattro gallerie e con il Victoria and Albert Museum of Art and Design per celebrare gli imprenditori rifugiati che stanno rendendo più forti le loro nuove comunità avviando piccole imprese.

Max Beckmann, The Beginning, 1946–49
Max Beckmann, The Beginning, 1946–49

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