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Pensiero commosso e malinconico alla Notre-Dame in fiamme

Notre Dame di Parigi. Notre-Dame di Parigi.
Notre Dame di Parigi.
Notre Dame di Parigi.

Notre-Dame, ti ho pensato tanto questa notte. Fin dal tardo pomeriggio, quando le fiamme hanno iniziato a brillare divampando dietro al rosone, rivelando il fuoco che la cattedrale covava al suo interno. Una scintilla e subito dopo un mare caldo, distruttivo. L’ho visto salire rapido fino alle guglie, sfiorare le torri e correre lungo tutto il tetto. Lingua rossa implacabile che ha ammantato il grigio di tutta la struttura, avvolgendo il fogliame di pietra, i gargoyle che guardando il mare di persone attonite raccolte ai bordi del colosso in ginocchio avranno forse sperato di raggiungerle. Occhi lucidi all’insù per tutti i presenti, come nell’incipit di Notre-Dame de Paris di un giovane Victor Hugo, ad assistere impotenti al terribile spettacolo. Un tragico senso di impotenza ha pervaso tutti noi, immagino, nel non poter partecipare al dramma se non in maniera passiva, inabili – come gli stessi pompieri – ad arginare l’incendio che stava riportando a cenere un tempio sacro della cristianità. Ma non solo, a bruciare come un foglio di carta erano anche i nostri sogni, i nostri ricordi ancestrali.

Mi sembra di averti pensata da sempre, Notre-Dame. Anche prima di conoscerti, anche prima di vederti, ti ho sempre pensata. Da quando ho sentito per la prima volta, ancora da piccolo, il tuo nome magico: Notre-Dame. C’è qualcosa di archetipo, ne sono sicuro, nel tuo nome. La Nostra Signora, madre e regina di tutti noi, vecchia vegliarda, stregona devota che hai incantato con il suo fascino ancora prima che con la sua bellezza. Sento Sgarbi dire che li “non c’è nulla di valore” e forse ha pure ragione. Ma emotivamente e culturalmente il dramma non risiede in quello che ospita, ma in ciò che la cattedrale rappresenta. Testimonianza architettonica di secoli di storia, filo ideale che collega ogni angolo di Parigi in tutte le epoche che la Ville Lumiere ha vissuto. È la casa, la dimora della potenza evocativa della capitale francese, tappa obbligata di ogni viaggiatore e punto geografico esclamativo sulla cartina artistica di ogni appassionato.

Ti ho pensata intensamente fino a che non ti ho vista, con la tua anima condivisa da gotico e romanico. La solidità e l’aura misteriosa, le torre imperiose e le ombre ingannevoli, l’immensità della facciata e la sfumatura dei pinnacoli. Ci sei sempre stata e finalmente sei qui, davanti a me, con il grigio della tua pietra compreso tra il grigio delle nubi e il grigio della Senna. Sul sagrato un artista di strada si esibisce, ma lo spettacolo è dietro. Il portale della Vergine, il portale del Giudizio universale, il portale di Sant’Anna: tre porte per entrare dentro di te, quale scegliere? Nel dubbio mi crogiolo nella promessa che mi offri: la tua piccola imperfezione, nell’inclinarti leggermente a sinistra a causa del cedimento delle fondamenta, ti rende umana e avvicinabile, uno spiraglio nella tua impenetrabile divinità. Sento le tue campane suonare potenti e il loro eco spargersi per i tetti di Parigi misurando distanze e raccogliendo volti, che dai marciapiedi, dalle vetrine dei negozi, dalle finestre dei musei si alzano rivolgendosi al richiamo della loro Signora.

Parigi sopravvive, insieme a tutte le sue meraviglie, ma non c’è più il simbolo che le raccoglie. Ridotta a scheletro di pietra, svuotata del tuo corpo ti ho pensata scioglierti e cedere un pezzo dopo l’altro, spargendo cenere di malinconia nell’aria. Sarei voluto essere li a respirarla, per riempirmi ancora un po’ di te. Ma purtroppo ti ho sempre più pensata che vissuta e forse questo ti ha reso ancora più bella di quello che sei. Di quello che eri. Ti ho sempre pensata Notre-Dame e continuerò a farlo ora, adesso che pensarti è l’unico modo possibile per incontrarti.

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