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Quello che i social non dicono – The Cleaners, un viaggio dietro le quinte del web

Quello che i social non dicono – The Cleaners, dalla Silicon Valley a Manila, un viaggio dietro le quinte del web

Chi si nasconde dietro Facebook e Google? Quando postiamo i video e le foto sui nostri smartphone e personal computer dove finiscono? È davvero un algoritmo a decidere ciò che vediamo? Quello che i social non dicono – The Cleaners dopo il passaggio al Sundance Film Festival arriva anche nei cinema italiani, dal 14 al 17 aprile con I Wonder Pictures.

Un viaggio dietro le quinte del web, un documentario con toni da thriller che passa dalla Silicon Valley ai grattacieli delle Filippine. Dalle interviste ai guru del web ai comizi di Trump, dallesulle scrivanie colme di pc che utilizziamo ogni giorno nei nostri uffici fino ad arrivare a Zuckerberg e alle strade piene di teste chine sugli smartphone. E poi ci sono loro, i Cleaners, gli spazzini del web che guardano, giudicano, salvano e cancellano i nostri contenuti sul web.

Quello che i social non dicono – The Cleaners è un’indagine sul ruolo dei social network e dell’informazione, e su come un semplice like o una foto possano condizionare vite ed esistenze. Senza rendercene conto.

Dove si colloca esattamente, all’interno dei social, il confine tra il controllo dei media e la libertà incondizionata? Inizialmente i network di social media come Facebook, YouTube e Twitter reclamavano la creazione di una comunità globale che superasse i confini geografici ed economici. Recentemente, però, questi network hanno dovuto affrontare una sfida minacciosa per quell’ideale universale di comunicazione.
La propaganda terroristica e le opinioni radicali hanno una tale capacità di permeare i social media da riuscire ad alimentare dinamiche politiche estreme e veri e propri genocidi, tanto che sono state create leggi e linee guida per censurare i contenuti controversi.Mentre nella Silicon Valley vengono promulgate le leggi per i contenuti consentiti, la capitale mondiale di content moderation è la città di Manila, nelle Filippine. Decine di migliaia di giovani, qui, vengono assunti come spazzini digitali e durante le dieci ore di turno lavorativo selezionano centinaia di migliaia di immagini e video preoccupanti.
Il documentario scava nelle vite di cinque di questi moderatori di contenuti, svelando le complessità e le sfumature delle loro vite lavorative spesso traumatiche.

Ci si domanda su che basi vengano definiti i termini di “idoneità” e “contenuto appropriato” all’interno di quei palazzi filippini circondati dalle discariche digitali dove i cleaners fanno il loro lavoro. La risposta è sorprendente e allo stesso tempo si esamina in che modo le decisioni prese “sul campo” possano influenzare la vita e il sistema politico nel mondo.
La storia del film si concentra sulla relazione tra gli spazzini digitali e i loro presidenti della Silicon Valley. Esplora i valori fondamentali della più famosa compagnia di social media, Facebook, attraverso gli occhi dell’ex manager Antonio Garcia Martìnez; nel frattempo ottiene una visuale unica delle sfide poste dalla censura attraverso una lunga intervista con Nicole Wong, ex Direttore Legale dei Prodotti in Twitter e ex Vice Presidente in Google. L’ex design ethicist di Google Tristan Harris sottolinea, inoltre, i meccanismi interni delle piattaforme che diffondono sdegno e odio attraverso il design.Inoltre, algoritmi o codici generati da computer hanno l’obiettivo di tenere a bada il dibattito che si alimenta sui siti dei diversi social anche se non sono sviluppati in maniera tale da eseguire il lavoro efficientemente. Tutto ciò è dimostrato brutalmente da Airwars, una società che documenta i crimini in Siria. La compagnia ha scoperto che più di un centinaio di video che documentavano l’attività militare in quel Paese venivano automaticamente rimosse da Youtube eliminando, così, le prove stesse dei crimini di guerra.

Il dibattito tra censura e libertà di espressione è complesso e lo si può osservare in due casi: quelli dell’artista americano Illma Gore e di SABO, artista di strada di Los Angeles. La rimozione da Facebook del suo dipinto contro il governo Trump ha sollevato preoccupazioni attorno alla censura artistica e politica così come il problema attorno al controllo del contenuto online.

Quello che i social non dicono racconta anche la storia sul ruolo che Facebook ha giocato nella crisi dei Rohingya in Myanmar. I Rohingya sono considerati la minoranza mussulmana più perseguitata nel mondo (da una falange di buddisti particolarmente violenti) ed è stato rivelato come esista una profonda connessione tra fake news, diffusione dell’odio attraverso Facebook e massacri, oltre che il dislocamento di centinaia di migliaia di persone. Di questa vicenda parla Il venerabile W., ottimo documentario di Barbet Schroeder (Inserzione pericolosa, Il mistero Von Bulow) uscito da poco in sala con Satine Film.

 

QUELLO CHE I SOCIAL NON DICONO
THE CLEANERS
di Hans Block, Moritz Riesewieck
Al cinema dal 14 al 17 aprile 2019

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