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Schiudi la porta Max, entra Dorothea. Ernst & Tanning, spifferi di un amore surrealista

Dorothea Tanning e Max Ernst Dorothea Tanning e Max Ernst
Dorothea Tanning, Deuxième péril
Dorothea Tanning, Deuxième péril

Mi chiedo come sia, la convivenza tra due artisti. Magari entrambi pittori, magari entrambi surrealisti. Mi chiedo come sia, proprio nella quotidianità. Si lavora insieme, nello stesso studio? Oppure no, no: meglio non contaminarsi, resistere dallo sbirciare la tela dell’altro. Perché a pensarci, in fondo, un po’, personalmente, mi spaventerebbe avere libero accesso al nucleo intimo e creativo dell’altro, stanarne inneschi e meccanismi. Avrei paura di scoprirlo terribilmente inaccessibile, lontano da me. Soprattutto se il linguaggio con cui ci esprimiamo è quello delle pulsioni, del sotterraneo, del sotterrato che emerge, del Surrealismo che indica una via oltre la ragione, che tutto sommato possiamo anche controllare.

Eppure Dorothea Tanning stessa racconta di un’ordinarietà serena, di un accompagnarsi leggero tra lei e il marito Max Ernst. Lui dei suoi quadri ha raccolto subito il successo, adepto di prima fascia del culto di André Breton. Lei ha dovuto attendere, ma dalla sua parte ha avuto una vita straordinariamente longeva (1910-2012). Anche se, a ben guardare, il primo vero grande riconoscimento istituzionale arriva solo quest’anno con la mostra che la Tate Modern di Londra le dedica, dal 27 febbraio al 9 giugno 2019. L’esibizione ne ripercorre vita e arte, esponendo un grande nucleo di opere.

Dorothea Tanning e Max Ernst
Dorothea Tanning e Max Ernst

Nel trancio di vita che condivisero mi piace pensare non ci siano state porte chiuse, ma nemmeno aperte. Le immagino socchiuse. Uno spiraglio, tra lo studio di uno e dell’altro, mentre sono al lavoro. Uno spiraglio, tra due anime comunicanti che dicevano il giusto e suggerivano molto, perdendo parti di sé che l’altro, chinandosi, raccoglieva per portarsi appresso. Uno scambio silenzioso e proficuo che ha condotto ad una vita felice e ad una fervida e delirante produzione artistica.

È questo aspetto che più mi sorprende. La capacità di rimanere allineati nella vita quando con il pennello entrambi scavavano nei sogni, tratteggiando spasmi proibiti, istinti indicibili, perversioni che dalla notte conquistano sempre più spazio sotto il sole, dilagando in quei desideri che un tempo credevi innocui. Nel confronto con il Surrealismo l’osservatore ne può uscire sconvolto, l’artista anche. Forse in questa tenebra ritrovavano la dose di instabilità necessaria per non addormentarsi.

Dorothea Tanning, Birthday
Dorothea Tanning, Birthday

Almeno così possiamo dedurre dalla folgorazione che Ernst ebbe all’inizio degli anni ’40 quando vide Birthday. L’autoritratto di Dorothea Tanning le lasciava il seno nudo, libero e provocatore come lo sguardo. Indosso un abito donato dal mare, intessuto di alghe sudicie e onde ombreggiate. Ai suoi piedi un gatto con arti volatili preannunciava che Dorothea non è una donna semplice, difficile limitarne le passioni.

L’opera non fu un compleanno, ma il giorno di nascita di un amore culminato nel 1946 con il matrimonio, suggello che esaltò le qualità di Dorothea. Se il marito proseguì nelle sue visione oniriche, forse ammorbidite e illuminate dalla placidità coniugale, lei virò verso sperimentazioni che condussero il Surrealismo lungo declinazioni inedite.

Dorothea Tanning, Nue couchèe
Dorothea Tanning, Nue couchèe

Ne sono esempio le incisioni, i fantasmi feriti del suo inconscio; ma anche le sculture, con cui insinua nella conciliante dimensione del cucire suggestioni perturbanti. Ne risultano sculture soffici ma insidiose, che trasformano in un attimo il familiare in spaventoso: avvicinano per sconvolgere, morbide ma spigolose. Come un sorriso che, non appena allentata la tensione, diventa ghigno malvagio.

Dorothea Tanning, Insomnias
Dorothea Tanning, Insomnias

In pittura trova propria espressione spingendosi, o al contrario fermandosi, nello spazio dove l’inconscio inizia a sfumare appena, ad emergere a singhiozzi. Insomnias è la grande tela con cui Dorothea “ruppe lo specchio” trovando la propria strada. In questa sua lettura surrealista le immagini si frantumano, o forse ancora non hanno avuto il tempo di formarsi. Come quando dopo un sogno ti svegli e provi in ogni modo a recuperare quel volto che hai incontrato la notte, che sei sicuro di poter riconoscere ma di cui, per quanto ti sforzi, non ti rimarrà che il profumo sbiadito.

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