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Vienna, città delle pittrici. L’ansia della modernità nell’opera di 60 artiste austriache, a Vienna

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Il contributo delle donne alla pittura moderna europea è stato cospicuo per qualità e quantità. Al Belvedere di Vienna, una mostra organica di studio sulla nascita, la formazione e la portata estetica e concettuale del gruppo delle pittrici viennesi fra l’inizio del Novecento e la Seconda Guerra Mondiale. Prima mostra di un ciclo che avrà la sua prossima fase dedicata agli anni Cinquanta e Sessanta. Fino al 19 maggio 2019.

Nella sua dirompente, spregiudicata e spesso drammatica modernità, il Novecento è stato il secolo che più di tutti ha sconvolta la società; cambiamenti radicali che si sono verificati anche in chiave sociale, uno su tutti l’emancipazione femminile che almeno in Europa mosse i primi passi agli inizi del secolo, sulla scia del movimento inglese delle Suffragette. Non si potrebbe comprendere il Sessantotto femminista senza inquadrarlo in una prospettiva storica che ha avuto anche nell’arte episodi importanti per il rafforzamento della coscienza di genere. Stadt der Frauen (La città delle donne), curata da Sabine Fellner, si inserisce all’interno di un vasto percorso museale europeo di riscoperta della pittura femminile del Novecento, che ha visto retrospettive dedicate a Lotte Laserstein, Paula Rego, Mary Swanzy, Gabriele Münter. Adesso, anche Vienna riscopre la portata di un fenomeno che nel secondo Novecento è stato in larga parte dimenticato. Sabine Fellner ha selezionate sessanta artiste che furono protagoniste della scena culturale austriaca fra il 1900 e il 1938, quasi quattro decenni di profondi cambiamenti storico sociali e politici.

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Elena Luksch-Makowsky, Autoritratto con il figlio Peter, 1901 Photo Johannes Stoll © Belvedere, Vienna

All’inizio del secolo, con la grave crisi dell’Impero Austroungarico, che entro pochi anni porterà alla sua dissoluzione, Vienna vive tuttavia una fase di splendore culturale sotto molteplici aspetti: all’avanguardia nel campo della psicanalisi grazie a Sigmund Freud, ospita anche musicisti, scrittori, architetti – da Otto Wagner a Koloman Moser – che ne hanno arricchito il volto, maestri delle arti applicate, e infine pittori: ma accanto ai più famosi Gustav Klimt, Egon Schiele, Oskar Kokoschka, Richard Gerstl, Vienna è anche la città delle pittrici. La mostra del Belvedere, pur non esaustiva delle tante protagoniste della pittura dell’epoca, ricostruisce comunque in maniera accurata la vivace eterogeneità di una scena al femminile che comprendeva figure fra loro molto diverse, dalle donne sposate a quelle più spregiudicate, dalle socialiste alle conservatrici, dalle cattoliche alle ebree, dalle più tradizionaliste alle più sperimentaliste in fatto di stile.

Quali che fossero le loro formazioni, i loro scopi, le loro idee, ognuna di esse portò nell’arte un soffio di nuova sensibilità, un punto di vista di riflessione morale su stili e concetti. Ma fu anche, in certi casi, un’irruzione in piena regola: basti pensare a Teresa Feodorowna Ries, moscovita trasferitasi a Vienna nel 1894 dove fu allieva di Edmund Hellmer, e dove nel 1896 suscitò profondo scandalo alla Künstlerhaus con la scultura Strega; se già forte impressione aveva suscitato il fatto che una donna esponesse in un campo strettamente maschile, il soggetto scelto aumentò la reazione. Con titolo che evoca misteri, sensualità e tentazioni, che rimanda alle persecuzioni subite dalle donne nei secoli passati da parte della Chiesa, ma soprattutto con uno stile che al realismo affianca un violento erotismo, l’opera non passò inosservata, e aprì una crepa nelle convenzioni di genere del mondo dell’arte viennese.

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Fanny Harlfinger-Zakucka, Toys, 1918 © Belvedere, Vienna

Si comprese, anche con un certo disappunto non privo di timori, come le donne avvertissero l’urgenza di raccontare il loro corpo ma anche il loro animo, dimostrando le proprie ambizioni e capacità ma anche liberando una voce che per troppo tempo aveva taciuto. Nonostante la chiusura dell’Accademia, molte pittrici ebbero comunque la possibilità di formarsi all’estero, ad esempio Helene von Taussig, Lilly Steiner, Helene Funke frequentarono scuole d’arte parigine negli anni Dieci del Novecento, dove ebbero modo di assorbire la lezione dei Fauves; per chi invece non aveva la possibilità di recarsi all’estero, oltre strada delle lezioni private c’erano i corsi della Scuola di Arti Applicate, dell’Accademia Femminile (tuttavia non particolarmente qualificante), e, a partire dal 1897, la Scuola d’Arte Femminile, fondata dal pittore Adalbert Franz Seligmann, conscio delle differenze di opportunità che esistevano, per gli uomini e le donne, nel mondo accademico artistico.

Coadiuvato nell’impresa dalla pittrice Olga Prager, Seligmann offrì anche una cattedra di paesaggio e natura morta a Tina Blau, viennese ma formatasi a Monaco di Baviera. I suoi corsi ebbero molte allieve entusiaste, così come accadeva per quelle istituzioni aperte alle donne; la maggior parte proveniva da famiglie borghesi sufficientemente liberali da non ostacolare le ambizioni artistiche delle proprie figlie. Faticosamente, si stavano creando i presupposti per l’affermazione di una scena pittorica femminile, che ebbe una prima ufficialità con le numerose collaborazioni alla rivista Ver Sacrum organo ufficiale della Secessione, e nel 1901 si formò il primo gruppo di sole donne, le Acht Künstlerinnen (Otto Artiste), fondato da Olga Wisinger-Florian e Marie Egner: comprendeva pittrici, scultrici, grafiche, disegnatrici, e con la eterogeneità portò all’attenzione del vasto pubblico il potenziale artistico delle donne, che guardava sia alla tradizione sia all’avanguardia.

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Helene Funke, Natura morta con pesche, 1918 © Belvedere,Vienna

La già citata Tina Blau fu una delle pioniere della pittura femminile viennese, e la prima a uscire dal dilettantismo per intraprendere una carriera di respiro anche internazionale. Formatasi fra gli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento, rimase affascinata dall’Impressionismo e sulla sua scia si mossero, fra le altre, la Wisinger-Florian, la Egner, Leontine von Littrow e Emilie Mediz-Pelikan. Distinguendosi dai francesi, produssero opere intrise di nordica malinconia ed espressero il meglio nella ritrattistica, dove alla pennellata pastosa si affiancava uno studio psicologico dei soggetti, prettamente femminili. Ma, come accennato di sopra, si avvertiva l’urgenza di raccontare le donne dal loro stesso punto di vista. Si ravvisano echi letterari che rimandano alle protagoniste dei romanzi di Stefan Zweig o Arthur Schnitzler.

Accanto alla corrente legata alla tradizione, se ne sviluppò un’altra interessata all’avanguardia, dall’Espressionismo tedesco al Cinetismo (versione austriaca del Futurismo italiano), oltre a frequentazioni del Surrealismo e del Simbolismo. Fra le protagoniste più attive, Broncia Koller-Pinell, Fanny Harlfinger-Zakucka, Frieda Salvendy, Helene Funke: dalla natura morta all’intimità dei giochi infantili, dai paesaggi alle scene domestiche, lo stile muove dal tardo Impressionismo di Gauguin e dall’Espressionismo tedesco, e la nota naturalistica è sempre venata di inquietudine e irrisolta tensione.

Dall’altra parte, come accennato, le frequentazioni dell’avanguardia, con i geometrismi di Elisabeth Karlinsky, Erika Giovanna Klien, mentre Friedl Dicker e Mariette Lydis spingono all’estremo la drammaticità della Neue Sachlichkeit di ascendenza tedesca. Opere dalle quali emerge un sensuale sentimento materno, una determinata volontà di affermare la grandezza morale dell’animo femminile che nei secoli ha molto sopportato, e contribuito alla vittoria di cause importanti per l’umanità, anche se in maniera nascosta, senza ottenere particolari riconoscimenti. La missione delle pittrici viennesi, forse inconsciamente, è anche questa, ovvero affermare un’intera coscienza.

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Helene Funke, Nude Looking in the Mirror, 1908-1910 © Belvedere, Wien Photo Johannes Stoll © Belvedere, Vienna

Il 1908 fu un’altra data importante, quando alla Kunstschau presieduta da Klimt, sui 179 artisti invitati, un terzo erano donne; fu questo il riconoscimento su larga scala dei tanti talenti femminili presenti a Vienna. Sull’onda di questo successo, nacque due anni dopo l’Associazione Austriaca delle Artiste Viennesi, la cui prima mostra registrò ben 12.000 visitatori. Anche nel campo dell’incisione non mancarono le epigone di Max Klinger e Ernst Ludwig Kirchner, intense narratrici della crisi sociale degli anni Venti, sulla scorta di quanto stava accadendo anche in Germania.

Questa intensa stagione si concluse però in maniera assai drammatica: nel 1938, l’Anschluss condotta dal governo nazista legò l’Austria alle tragiche sorti belliche tedesche, ponendo fine, di fatto, alla vita civile del Paese. Poiché molte pittrici erano ebree, le loro opere furono disperse o distrutte, e alcune di esse che non riuscirono a fuggire, o non vollero farlo, furono deportate nei campi di sterminio dove perirono: Helen von Taussig, Marianne Saxl-Deutsch, Friedl Dicker, furono fra queste. Ci vorranno anni, anche dopo il 1945, per uscire dall’incubo che aveva distrutto l’Austria e l’Europa. Ma il seme gettato nei decenni precedenti non era andato disperso, e anche nel secondo Novecento continuerà a produrre nuove generazioni di donne artiste, formatesi sull’esempio e l’esperienza di coloro che le avevano precedute aprendo nuovi sentieri di libertà sociale.

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Olga Wisinger-Florian, Bouquet of Wildflowers, c. 1906 ©Belvedere, Vienna

Informazioni utili

La città delle donne. Pittura femminile a Vienna fra il 1900 e il 1938

Museo Belvedere, Schloss Belvedere, Prinz Eugen-Straße 27, Vienna

Fino al 19 maggio 2019

www.belvedere.at

*Nella prima immagine: Helene Funke, Dreams, 1913 Photo Johannes Stoll © Belvedere, Vienna

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