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Lisbeth Salander sotto processo al Manzoni di Milano

Il 26 novembre al Teatro Manzoni di Milano è andato in scena il secondo appuntamento di “Personaggi e Protagonisti”.

Quest’ultimo è il format ideato da Elisa Greco che mette sotto processo personaggi di grande rilevanza politica e sociale. In quest’occasione è stata messa sotto processo Lisbeth Salander protagonista del romanzo “Uomini che odiano le donne”.

L’analisi di questo caso è servita per trattare la violenza degli uomini contro le donne, dei modi legali, ma non sempre efficaci, attraverso cui queste possono tutelarsi e dei modi non legali mediante cui spesso devono ricorrere, com’è ricorsa la Salander, per proteggere la loro vita. A presiedere la corte, il simpatico giudice Fabio Roia. Nei panni del pubblico ministero il puntuale avvocato Luca Poniz mentre a difendere Lisbeth Salander, quest’ultima interpretata da Barbara Stefanelli, l’integerrima e agguerrita avvocata Laura Cossar. Tra i testimoni per la difesa figurano Diana De Marchi e Stefano Dominella, mentre tra quelli per l’accusa l’avvocata Paola Boccardi e la giornalista Sara Loffredi. Nel cast troviamo il perito d’ufficio Guglielmo Gulotta e lo studioso Luca De Michelis. Come sempre alla fine del dibattimento la decisione finale è spettata al pubblico che ha votato determinando il verdetto.

Il processo è iniziato con il presidente del Tribunale Fabio Roia che ha elencato i capi d’imputazione. Lisbeth è accusata di omicidio, aggravato dall’avere commesso il fatto con sevizie e crudeltà. La donna ha cagionato la morte di Bjurman, suo convivente, dopo che l’uomo all’interno dell’abitazione della donna l’apostrofava volgarmente per l’ennesima volta con epiteti quali “sei una Troia”, “una puttana”, “vali meno di una merda” a “la prossima volta che mi guardi ti ammazzo”.

La Salander ha tramortito l’uomo utilizzando una suppellettile da cucina, poi l’ha colpito ripetutamente alla testa e all’addome provocandogli profonde lesioni e una forte emorragia che hanno provocato il decesso. Prima che l’uomo morisse, ha infierito con un coltello da cucina sul suo corpo scrivendo la frase: “Io sono un sadico, un verme e uno stupratore”. In tal modo la donna si riferiva a tutte le condotte illecite attuate dalla vittima in danno dell’imputata. Infatti, prima di quel giorno, l’uomo l’aveva ripetutamente obbligata ad avere rapporti sessuali utilizzando strumenti di coercizione, arrivando persino a versarle liquido bollente sul corpo. Inoltre l’aveva sottoposta a maltrattamenti con percosse, umiliazioni e privazioni temporanee della libertà. Queste condotte non erano mai state denunziate dalla donna.

Il Pubblico Ministero non ritiene applicabile l’esimente della legittima difesa stante l’assenza di una proporzione tra l’offesa ricevuta (parole) e l’azione realizzata dall’imputata. L’avvocata Paola Boccardi che interpreta uno dei due testimoni dell’accusa sostiene che “il motivo per il quale la donna ha attuato quelle azioni, ovvero l’avere precedentemente ma non in quel momento subito umiliazioni e percosse, non è un esimente ai fini dell’accertamento della responsabilità. Quello che importa ai fini dell’accertamento è la colpa, ovvero la coscienza e la volontà di porre in essere la condotta”.

Inoltre aggiunge che “la legge italiana prevede una protezione ma deve essere richiesta attraverso una denuncia. Chi raccoglie la denuncia suggerisce alla donna che cosa chiedere come protezione soprattutto se c’è un pericolo. Gli strumenti esistono ma è necessario attivarli”.

L’avvocato della difesa cerca di fare riflettere la Boccardi sul fatto che spesso malgrado ci siano delle misure cautelari, queste non riescono efficacemente a proteggere la donna soprattutto in virtù della durata del processo e del fatto che sono misure temporanee. Perciò se nella teoria esistono i mezzi, poi nella pratica spesso questi non consentono di salvare le vittime di violenze. Il consigliere del Comune di Milano Diana Alessandra De Marchi, che si occupa attivamente dei diritti delle donne, asserisce che sono state 900 le donne intercettate e aiutate dal comune negli ultimi mesi. Di tutte queste sono 345 le vittime di mariti violenti. Spesso chi subisce violenze perde il senso della realtà e non capisce quando la situazione è di pericolo oppure no. Inoltre molte si vergognano di quello che hanno subito e non riescono a denunciare. Infine il giudice chiama a testimoniare un noto esperto della mente umana, il professore Guglielmo Gulotta.

Il presidente del tribunale gli chiede se la stratificazione di violenza bestiali può giustificare un atto come questo e autorizzare una legittima difesa. Secondo il professore, l’accumulo vale per l’attenuante della pena ma nel caso della legittima difesa non è accettato. Inoltre esistono degli studi che dimostrano che quando abbiamo un trauma complesso, la sua elaborazione è più difficile. È possibile in questi casi che il soggetto non riesca a elaborarli. La neuroscienza dimostra queste situazioni. Ciascuno di noi elabora lo stress in modo differente. Tuttavia lo psicologo ritiene rilevante il fatto che la risposta dell’imputata non si è limitata all’uccisione. Infatti, ha continuato la sua violenza ancora e ancora malgrado ormai non corresse più alcun pericolo perché l’uomo era già morto o quasi. Quindi Gulotta si domanda se questa è una situazione di vendetta oppure d’incapacità da parte della donna di controllare le proprie azioni. La domanda da porci è: “Era in grado di non fare quello che ha fatto?”. Se fosse stata incapace, allora non si tratterebbe più di verificare la sussistenza della legittima difesa ma l’imputabilità della responsabile del crimine.

Che la donna abbia attuato una condotta crudele appare evidente; tuttavia c’è da chiedersi quanto quella condotta è esito di un sistema giudiziario incapace di agire tempestivamente ed efficacemente per tutelare la vittima di violenze e non renderla talmente fuori di sé da farle compiere atti come quelli analizzati lungo il processo. Quasi sicuramente in un processo vero la difesa avrebbe cercato di dimostrare l’incapacità di intendere della donna sostenendo la non imputabilità. Oppure sarebbe stato possibile cercare di dimostrare la sussistenza della legittima difesa putativa, ma in questo caso sarebbe difficile dimostrarla, perché la donna non si è limitata a uccidere l’uomo ma l’ha continuato a torturare anche dopo il decesso. Non è un caso semplice, tutt’altro. Sicuramente non si può nascondere la grande responsabilità che in questi casi ha lo Stato.
Secondo voi Lisbeth Salander è colpevole oppure innocente?

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