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Metafisica, Realismo Magico, Neometafisica. Cent’anni di capolavori, a Vercelli

Savinio. L'isola dei giocattoli Savinio. L'isola dei giocattoli
Savinio. L'isola dei giocattoli
Savinio. L’isola dei giocattoli, 1930

Il Museo Ettore Fico (MEF) di Torino promuove un’ampia mostra sulla pittura del Novecento, ospitata da sette sedi espositive in tre diverse città (Torino, Vercelli e Biella). Ideata dal direttore del MEF Andrea Busto, cui spetta anche la cura del catalogo, 100% Italia intende rappresentare le maggiori correnti pittoriche del XX secolo attraverso un’ampia selezione di opere tratte da numerose collezioni private. L’iniziativa appartiene dunque al genere delle ‘mostre policentriche’, che oggi sembra godere di particolare fortuna. I principali movimenti artistici novecenteschi sono ripartiti fra le sedi d’esposizione: a Biella il Futurismo è diviso tra Palazzo Gromo Losa (dalle origini sino all’indomani della Grande Guerra) e il Museo del Territorio Biellese (la stagione 1920-1944); a Vercelli lo spazio espositivo Arca (ex chiesa di San Marco) contiene le sezioni su Metafisica, Realismo Magico e Neometafisica; a Torino, invece, trovano posto al Museo Fico il Novecento, Corrente, Astrazione e Informale; la Pop Art al MEF Outside; al Mastio della Cittadella Optical, Minimalismo, Arte Povera e Concettuale; al Palazzo Falletti di Barolo Transavanguardia, Nuova Figurazione e Internazionalità.

Massimo Campigli. Due attrici
Massimo Campigli. Due attrici, 1946-7

Ci soffermiamo qui sulla sezione vercellese di 100% Italia, che in apertura vuole sottolineare, con il Ricordo metafisico della Rocca di Orvieto, la posizione di de Chirico nei primi anni Venti: un paesaggio dall’eco antica di Poussin e Lorrain, teatro di un inserto ‘classico’ come la statua greca che occupa il centro del quadro, solitaria ed estranea. La scultura abita ininterrottamente la pittura di de Chirico, e nel corso degli anni Venti e Trenta rivediamo statue antiche, o personaggi che ne evocano il ricordo, come nella Partenza degli Argonauti dello stesso 1922 e nelle figure di Dioscuri degli anni Trenta. Del pittore è perlopiù rappresentata in mostra la fase cosiddetta ‘neometafisica’ degli anni Sessanta e Settanta, ricco ripensamento delle prime prove notoriamente non estraneo a interessi di mercato, ma oggi restituito nella sua piena dignità storiografica. Il curatore della sottosezione, Lorenzo Canova, aveva già espresso, nell’occasione della mostra di Campobasso Giorgio de Chirico. Gioco e Gioia della Neometafisica (2014-15), l’opportunità di considerare tutte le stagioni del pittore un percorso coerente, mai privo di un nucleo concettuale ‘metafisico’, nel senso che la parola aveva assunto per de Chirico e il suo sodalizio. Quegli elementi che pure erano presenti nella pittura degli anni Dieci, come i biscotti (in mostra l’Interno metafisico con palla e biscotti, 1971), avendo perso del tutto la loro novità iconografica, hanno nel frattempo raggiunto quasi un connotato ‘pop art’; ritorna Il figliuol prodigo (1974), ed è ancora lui a consolare il padre come negli anni Venti, un padre qui conformato di antichi elementi architettonici, di rovine, secondo uno schema sperimentato, ma con tuba e bastone come una figura teatrale, senza il dramma degli omologhi del ’22 o del ’26; e ancora rientrano le torri, gli archeologi, Ettore e Andromaca davanti a Troia (1968), e si presenta anche un sontuoso Meditatore (1971). L’interesse per la Neometafisica è oggi vivace: buona occasione per approfondirne la conoscenza è allora la mostra in corso a Osimo fino al 4 novembre, Giorgio de Chirico e la Neometafisica, curata da Vittorio Sgarbi con Maria Letizia Rocco.

De Chirico. Interno metafisico con palla e biscotti
De Chirico. Interno metafisico con palla e biscotti, 1971

L’esposizione all’Arca di Vercelli presenta alcune testimonianze interessanti della ricerca comune che dalla fine del secondo decennio del Novecento aveva impegnato de Chirico, Carrà e Morandi nella comune condivisione di temi ‘metafisici’. Di Carlo Carrà è appunto esposta una litografia di Penelope in forma di composito manichino: è un tema del resto, quello della donna di Itaca, segnato dall’attesa e dall’aspettativa del ritorno care ai metafisici, e interpretato nel 1940 da Alberto Savinio in una chiave pienamente surrealista; Savinio è anche rappresentato da una delle sue vivacissime costruzioni (L’isola dei giocattoli, 1930), dove il contrasto tra il mare plumbeo e l’esplosione di colori dell’isola crea un effetto straniante. Ottima è poi l’opportunità di osservare un’incisione in acquaforte di Giorgio Morandi del 1928, una Natura morta articolata e precisa, varia nelle forme dei contenitori rappresentati, e insomma lontana dalle sospensioni atmosferiche e pulviscolari della sua produzione maggiore.

Gianfilippo Usellini, Le lavandaie
Gianfilippo Usellini, Le lavandaie, 1934

La mostra prosegue con una scelta di artisti rappresentativi di quel clima formale che Massimo Bontempelli aveva riassunto, nel 1927, nella definizione di ‘Realismo Magico’. Nella sottosezione curata da Elena Pontiggia appaiono intanto, tra le altre, le opere di Mario Tozzi e Massimo Campigli: le terrecotte ‘etrusche’ delle Due attrici (1946-47) di Campigli sono perfetto esempio della poetica del pittore, per il richiamo immediato alle molte analoghe composizioni. La natura morta è riproposta nei quadri di Gino Severini, Filippo de Pisis, Gigiotti Zanini (quest’ultimo tra i più legati alla metafisica), Rino Gaspare Battaini. Non manca il ritratto (Leonor Fini, Carlo Sbisà), ma è nel paesaggio che si hanno alcune testimonianze davvero preziose: l’Estuario (1931) di Cagnaccio di San Pietro, dall’acqua lucida come olio, o lo skyline romano degli Emicicli neroniani (1956), sovrastato e schiacciato dal cielo, di Fabrizio Clerici. La figura umana domina la scena sulla terrazza di Antonio Calderara (La famiglia – Dopo il temporale, 1934), artista poi destinato ad abbandonare del tutto la figurazione, ma diventa complemento nei piccoli personaggi del San Siro (1941) di Cesare Breveglieri. Gianfilippo Usellini chiude l’esposizione, con due opere molto diverse tra loro: insieme a una rivisitazione del mito di Cupido (L’amor mio verrà dal cielo, 1929) è in mostra a Vercelli Le lavandaie (1934), dove non appare alcuna scena di colore, pittoresca o popolare, ma anzi una strada urbana, la profondità dello spazio assicurata dalla prospettiva, e un’automobile in primo piano a trasportare, con le tre lavandaie e un cagnolino, i panni puliti e impacchettati a blocchi: nuova organizzazione del lavoro nell’Italia degli anni Trenta, perfettamente rappresentabile nelle forme semplici e ordinate che la poetica di questo nuovo, sofisticato, realismo sapeva offrire.

De Chirico. Ettore e Andromaca davanti a Troia, 1968
De Chirico. Ettore e Andromaca davanti a Troia, 1968

Informazioni utili

100% Italia. Cent’anni di capolavori

Biella – Vercelli – Torino

21 settembre 2018-10 febbraio 2019

Metafisica, Realismo Magico, Neometafisica

Vercelli, spazio espositivo Arca

Piazza San Marco, 1

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