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L’Ultimo Leonardo, di Pierluigi Panza: alla scoperta dei misteri del Salvator Mundi

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nuovo libro di Pierluigi Panza: L'ultimo LeonardoLa storia, gli intrighi e i misteri del Salvator Mundi di Leonardo, il quadro più costoso del mondo nel nuovo libro di Pierluigi Panza: L’ultimo Leonardo

L’ultimo Leonardo è il titolo del nuovo libro di Pierluigi Panza, uscito per UTET a fine agosto. Il volume ricostruisce le complesse vicende che hanno visto protagonista una delle opere d’arte più chiacchierate degli ultimi anni, ad oggi sicuramente la più cara: Il Salvator Mundi attribuito a Leonardo Da Vinci.
Avrebbe potuto intitolarsi anche, in maniera più che appropriata, “Il primo Salvator Mundi”. Attorno a questa piccola tavola, battuta all’asta da Christie’s 15 novembre 2017 per il prezzo record di 450 milioni di dollari, c’è da dipanare difatti una fittissima matassa fatta di copie, studi, restauri, passaggi di proprietà e momenti oscuri degni della trama di un thriller.
Sembra però che quello (fino a prova contraria, per ora) leonardiano sia servito da modello per una fortunata e ricca pletora di allievi, copisti e incisori. Questo ha fatto sì che di Salvator Mundi di Leonardo nel corso degli anni se ne siano susseguiti più di uno.

Colpisce, ad esempio, tra i vari pareri citati quello di Jerry Saltz (critico d’arte del New York Magazine, tre volte nominato al Pulitzer) che definisce l’opera battuta da Christie’s come «un’impostura […]. Il dipinto è talmente morto» scrisse, «inerte, verniciato, lurido, ripulito e ridipinto così tante volte che sembra contemporaneamente nuovo e vecchio». E come scrive Panza, a commento, «quella tavola era diventata un palinsesto di possibilità, su cui scienza del restauro ed esperti potevano riscrivere e ricancellare la storia di Leonardo».

A guardarlo come era ridotto prima del restauro, in effetti, si capisce quante possa averne passate questa “povera” opera d’arte. In una foto del 1912 lo vediamo quasi completamente ridipinto in viso, con modifiche anche sul globo e parti della veste. Il fondo poi, risulta sverniciato e riverniciato svariate volte nel corso della sua tribolata storia. L’aureola? Raschiata. Salvator Mundi 1912La storia di questa piccola tavola è scarna di documenti (alcuni a volte in contrasto tra loro) e Panza ne ricostruisce le vicende partendo dal primo avvistamento certificato, quello alla corte di Carlo I d’Inghilterra, contestualizzando vicende storiche e ipotesi per le quali un’opera di Leonardo, un centinaio di anni dopo la sua morte, si ritrova in Inghilterra. Da questo punto fermo (ma non fermissimo) l’autore torna a ritroso sulla biografia leonardesca per capire quando inserire la realizzazione di un’opera di questo tipo nel corpus delle produzioni del genio toscano, che di dipingere sembra non avesse poi molta voglia. È una scrittura riccamente documentata, che unisce in maniera perfetta il ritmo di un romanzo all’autorevolezza di una tesi.

Dall’Inghilterra del ‘600, quella degli Stuart, la storia del Salvator Mundi poi si complica parecchio, per quasi un secolo, ad un certo punto, sparisce pure, per poi apparire doppio, triplo, declassata a opera di allievo (Boltraffio? Salai? Cesare da Sesto?).
L’originale è quello del Museo Diocesano di Napoli (ex collezione de Ganay), sentenzia qualcuno (Joanne Snow-Smith e Pedretti, ad esempio – non certo gli ultimi arrivati), ma è un Cristo così arcigno che di leonardesco ha ben poco, già così a colpo d’occhio.
Per altri quello “vero” è (stato) quello del Museo di Houston, che in effetti è un bel Cristo, ma anche in questo caso di ben lontano degli esiti della pittura e della poetica di Leonardo. Adesso l’opera è esposta come “di autore fiammingo del ‘700”.

Episodio a parte per l’esemplare di Caprotti. Non di Salai (allievo, sodale e amante di Leonardo, all’anagrafe Gian Giacomo Caprotti), ma di Caprotti l’ex patron di Esselunga. L’imprenditore aveva comprato a suo tempo un esemplare bruttarello di Salvator Mundi nella speranza che post-restauro potesse essere attribuito a Leonardo, ma…

Destino diverso invece per la tavola da 450 milioni di dollari che dopo il restauro di Dianne Dwyer Modestini è stato attribuito a Leonardo dai maggiori studiosi, italiani e internazionali (nessuno dei quali però ha firmato alcuna autentica – ci dobbiamo quindi fidare sulla parola).

La penna di Panza non lesina annotazioni pungenti, tra le righe il sarcasmo scorre copioso, e cercando di far luce su un giallo storico artistico come quello del Salvator Mundi riesce anche a illuminare il lettore su alcuni meccanismi che oggi dominano il mercato dell’arte.
L’importanza di questa opera d’arte in sospeso tra fede e mistero (religiosi, ma non solo) non trova sua nell’aggiudicazione record il suo capitolo finale, ma prosegue. Come era entrata in possesso di un oligarga russo dal passato di assassino (poi scagionato…)? Chi l’ha comprata? Gli Emirati Arabi Uniti per il Louvre Abu Dhabi ok, ma tramite chi? E perché? E cosa c’entra il Qatar in tutto questo?

Pierluigi Panza, scrittore, storico d’arte e giornalista. Professore all’Università Statale e al Politecnico di Milano, ha scritto cinque romanzi, tutti editi da Bompiani, e numerosi saggi di Storia dell’arte. Scrive per il “Corriere della Sera”.

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