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Suzanna Andler, la donna più tradita di Saint-Tropez: in scena il vuoto d’amore

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Suzanna Andler è la donna più tradita di Saint-Tropez. Lo ammette candidamente lei stessa, senza battere ciglio, all’uomo che vorrebbe affittarle una casa per le vacanze. Comincia così la pièce della scrittrice e regista francese Marguerite Duras – tradotta da Natalia Ginzburg – che chiude la stagione 2016/2017 delle Manifatture Teatrali Milanesi.

Suzanna (Caterina Bajetta) è annoiata dalla vita e parla di suicidio con altrettanta noia. C’è quasi una cieca indifferenza per tutto quello che accade: scegliere una casa per le vacanze o discutere con il nuovo amante. Perfino parlare con l’amica che è stata l’amante del marito. Non c’è gelosia né rancore, forse compassione. Da qualche parte a Parigi il marito Jean è altrettanto annoiato. Non appare mai, se non come una voce, al telefono, a rimarcare l’assenza e la lontananza. Perfino l’amante è noioso, Michel (Guglielmo Menconi) è senza umorismo, “è crudele”. Eppure, nonostante, la sua freddezza  la ama. Lei inizialmente non se ne rende conto, o finge, la fine della loro storia clandestina è evocata spesso, come uno spergiuro, come se fosse necessario per non abituarsi troppo all’altro: “Avremo una storia senza importanza. Non t’immaginare che sia una gran passione”, chiosa Michel.

È una (auto)difesa:

 Suzanna: “Forse noi ci amiamo per questo amore, dove nessuno ama?”.

 Michel: “Forse noi ci amiamo”.

A smuovere le placide esistenze c’è solo il mistral, che scuote la fredda città.

La solitudine è traslata nelle strade desolate della Costa Azzurra a febbraio.

Tutto sembra stonato, interrotto verso un non-sense che riflette le meccaniche reazioni dei protagonisti. Perfino la musica che va a scatti, s’interrompe e riprende, come la luce, spenta e poi accesa, incapace di illuminare le loro tormentate esistenze.

Le didascalie si distaccano da quanto accade sul palco a rimarcare ancora di più l’inafferrabilità della realtà e la sua inconsistenza. Neppure la scenografia, piuttosto minimalista, muta nel corso del dramma.

È uno spettacolo concettuale, destrutturato, come ammesso dal regista Antonio Syxty.

È un gioco delle parti, dove il limite tra non detto e bugia finisce per generare entropia ma poi tutto torna a uno stato di vaga e statica incertezza.

Rimane solo il vuoto d’amore:

“Non sapevo che non amare potesse essere così spaventoso”.

Teatro Litta
28 GIUGNO –  15 LUGLIO
MANIFATTURE TEATRALI MILANESI
Durata: 1 ora e 40 minuti
www.mtmteatro.it

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