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Fallen Angels di Bob Dylan. L’America ha ancora bisogno di padri fondatori

bob dylan fallen angels

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Il Red Rocks Amphiteatre di Morrison, Colorado, ti toglie il fiato. Di notte ascolti i concerti con la grande roccia di lato, un frammento di canyon, che rifrange i colori del palco. Di solito le ultime striature di tramonto, nell’ovest sconfinato, sono una lingua di fuoco che si spegne tardissimo. Lo Starlight Theatre di Kansas City, invece, sembra il castello di Camelot, solo che alle spalle ha le grandi pianure. E se proprio volete sbizzarrirvi il Filene Center di Vienna, Virginia, è una meraviglia in legno immersa in un parco naturale. Lo volle cinquant’anni fa una donna intrepida e visionaria, Catherine Filene Shouse, convinta che il miglior modo per rispettare arti e natura fosse farle convivere. Vale anche per la memoria. Quella collettiva, che è la somma di tutti i ricordi personali, dell’eredità tramandata dai padri.

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Se avvicinate questi spazi teatrali al tema della memoria, è evidente che il nuovo tour di Bob Dylan, che debutterà il 4 giugno al Chateau Ste Michelle Vinery, Woodinville, stato di Washington, quindi estrema propaggine occidentale degli States, avrà il senso di una profonda immersione nelle radici del Paese. Ovviamente sostenute dall’ennesimo album, “Fallen Angels”, che segue, nella ricerca raffinata di grandi canzoni del passato, il fortunato “Shadows in the Night” pubblicato l’anno scorso. Perché partiamo da una cartina geografica, e non dal disco vero e proprio che uscirà venerdì prossimo? Perché siamo in tempo di elezioni e qualsiasi pietra scalciata, Dylan ovviamente non lo è, nasconde una possibile discussione sul futuro.

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Trump difficilmente proverà ad appropriarsi di questo nuovo lavoro, ma il fatto che Dylan lo presenti, anzi lo suoni, in posti dove la tradizione è fortissima potrebbe essere una tentazione per il tycoon. Lo sarà, probabilmente, anche per il versante opposto, i democratici, visto che undici canzoni su 12 le ha già cantante Frank Sinatra che, oltre ogni malignità sulle combine mafiose, sostenne la corsa di John Fitzgerald Kennedy nel 1960. Che la Storia si ripeta è improbabile e Dylan non è ascrivibile a questa o quella fazione. Ma resta, negli standard bellissimi di questa seconda puntata, l’impressione che l’America abbia bisogno ancora dei padri fondatori. Non necessariamente quelli arrivati alla Casa Bianca. Sono scrittori, registi, attori, cantanti, bluesmen.

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Non a caso i concerti di Dylan saranno aperti da Mavi Staples, leggendaria leader degli Staple Singers, che negli anni ’60 era stata chiesta in sposa dall’enigmatico Bob. La donna non è affatto sorpresa dalla curvatura old fashioned che ha preso Dylan, perché sa benissimo che in realtà la tradizione è sempre stata nelle sue canzoni. Qui, in “Fallen Angles”, c’è un brano, fra tutti, che spiega bene il fascino per Dylan dei vecchi standard. Si tratta di “That Old Black Magic” firmata da Johnny Mercer, il compositore di “Moon River”. Un verso dice “dovrei stare lontano ma che ci posso fare? Ho sentito il tuo nome e sono in fiamme, ardo dal desiderio e solo un tuo bacio può spegnere il fuoco”. E’ così lontano dal Dylan che conosciamo, mesmerico e allusivo? Per nulla, anzi ascoltarlo in “All the Way”, che ha fatto vibrare più generazioni femminili, riporta alle creazioni poetiche che lo hanno reso celebre, da “Just Like a Woman” a “Visions of Johanna”. Il passato non è di destra o sinistra. Dipende da come lo interpreti.

Per gentile concessione de Il Secolo XIX (14.05.2016)

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