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Foucault legge Magritte: l’abitudine spaesata. Ceci n’est pas un pipe

R. Magritte, Il lume filosofico, 1936 R. Magritte, Il lume filosofico, 1936
R. Magritte, Il lume filosofico, 1936
R. Magritte, Il lume filosofico, 1936

«Il disegno di Magritte [..] è semplice come una pagina presa da un manuale di botanica: una figura e il testo che le dà nome»

Foucault, Il calligramma disfatto

Il disegno di una pipa. La scritta: “Ceci n’est pas un pipe.”. Les Trahisondes images. Ciò che, di primo acchito, rende strano questo dipinto non è la contraddizione tra l’immagine e il testo, per il semplice motivo che potrebbe esservi contraddizione solamente tra due enunciati, o all’interno di uno stesso e unico enunciato. «Ciò che sconcerta», dice Foucault, «è la necessità inevitabilmente abituale di riferire il testo alla figura e l’impossibilità di definire il piano che permetterebbe di verificare o meno il contenuto dell’asserzione».

Si constata così l’autonomia dei due elementi presenti sulla tela: da una parte la forma perfettamente disegnata, semplice ed imponente; dall’altra un testo, disposto secondo l’ordine canonico di posizionamento degli elementi, slegato da ciò che nomina. «Designare e disegnare non si sovrappongono», non hanno più nulla da condividere. La fascia di colore che separa il disegno dall’enunciato raffigura simbolicamente il vuoto e l’insormontabile distanza tra i due piani.

R. Magritte, Les Trahisondes images, 1948
R. Magritte, Les Trahisondes images, 1948

«Paragonato alla tradizionale funzione della didascalia, il testo di Magritte è doppiamente paradossale. Si propone di nominare ciò che, evidentemente, non ha bisogno di esserlo (la forma è troppo nota, il nome troppo familiare). Ed ecco che nel momento in cui dovrebbe dare il nome, lo dà negando che sia tale».

Foucault, Il calligramma disfatto

L’esteriorità dell’aspetto grafico e dell’aspetto plastico viene esemplarmente simboleggiato dal non rapporto tra il quadro e il suo titolo: «I titoli sono scelti in modo da impedire che i miei quadri vengano situati in una regione familiare, che l’automatismo del pensiero non mancherebbe di evocare per sottrarsi all’inquietudine». In un quadro, le parole e le immagini possiedono ognuno sostanza di pari dignità, non vi è predominio di una dimensione sull’altra, tanto che «la parola assume la solidità di un oggetto».

R. Magritte, I due misteri, 1966
R. Magritte, I due misteri, 1966

Svelato così il rapporto (o meglio, il non-rapporto) destabilizzante tra l’elemento plastico e l’elemento verbale, Foucault inizia ad interrogare l’opera del pittore belga per quel che riguarda un’ulteriore questione strettamente connessa: la distinzione tra somiglianza e similitudine. «La somiglianza serve alla rappresentazione, che regna su di essa; la similitudine serve alla ripetizione, che corre attraverso essa», così il saggio I sette sigilli dell’affermazione introduce il tema. Si porti la mente al celebre dipinto Decalcomania.

Indubbiamente si tratta di una decalcomania, ma quale immagine viene trasportata sull’altra? La sagoma dell’uomo è trasferita sul paesaggio marino o viceversa, il paesaggio marino sul tendaggio alla destra del quadro? Viene messa in opera una strategia piuttosto particolare: si spostano gli elementi della tela, ma nessuno di essi viene riprodotto a partire da un unicum a cui somigliano. Non vi è prevalenza di un’immagine sull’altra, ma solamente scambio di posizione.

«La somiglianza comporta un’affermazione unica, sempre la stessa: questo, quello, quell’altro, è tale cosa. La similitudine moltiplica le affermazioni differenti, che danzano insieme, appoggiandosi e cadendo le une sulle altre»

Foucault, I sette sigilli dell’affermazione

R. Magritte, Decalcomania, 1966
R. Magritte, Decalcomania, 1966

Il grande filosofo francese ha a cuore il tentativo di Magritte di liberarsi del tradizionale predominio del codice rappresentativo. Le sue analisi, infatti, non si limitano a sporadici commenti delle sue opere, bensì procedono in un serrato confronto con l’operazione concettuale apparentemente nascosta all’interno di questi “giochi pittorici”.

Ne La condizione umana II l’espediente è decisamente spiazzante: il rappresentato (il paesaggio?) ed il rappresentante (il quadro?) vengono a mescolarsi e a perdersi l’uno nell’altro. Il paesaggio non è il modello del quadro, bensì il paesaggio continua linearmente sul quadro, travasandosi da una parte all’altra dell’opera senza alcuna discontinuità.

«Su tutti questi piani slittano delle similitudini che nessun referente riesce a fissare: traslazioni senza punto di partenza né supporto».

Foucault, I sette sigilli dell’affermazione

R. Magritte, La condizione umana II, 1935
R. Magritte, La condizione umana II, 1935

Siamo costretti ad affrontare grandi stravolgimenti che destabilizzano l’abitudine. Come può il pensiero, ormai inquietato, riuscire a reinterrogarsi sul significato del “dipingere”? In Dipingere non è affermare Foucault programmaticamente mostra il distacco di Magritte dalla pittura classica. Per quest’ultima due principi costituivano i nuclei teorici fondamentali: la separazione tra elemento linguistico ed elemento plastico; l’equivalenza della somiglianza e dell’affermazione.

Il pittore belga stravolge il tutto slegando segni verbali ed elementi plastici; evitando l’affermazione, che tranquillamente poggia sulla somiglianza, fa fluttuare similitudini non affermative «nell’instabilità di un volume senza riferimento e di uno spazio senza piano». Così come il filosofo-storico deve programmaticamente «afferrare l’enunciato nella limitatezza e nella singolarità del suo evento», dice Foucault ne L’archeologia del sapere, così il pittore, dipingendo, deve saper cogliere le discontinuità di elementi simili così come essi si presentano, senza accogliere indebitamente un referente privilegiato.

Michel Foucault
Michel Foucault

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