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Jeff Sgunz a Firenze. Koons, Libeskind, Cattelan: che senso ha l’arte pubblica?

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Siamo rammaricati per gli innumerevoli, festanti, apologeti dello Sgunz *, ma il confronto tra Jeff Koons e la scultura antica è impietoso (per Koons ovviamente). La “Pluto and Proserpina” dell’americano fa l’effetto di un cartoccio, pretenziosamente dorato, buttato a caso in piazza della Signoria a Firenze, accanto ai capolavori dell’arte di ogni tempo: mancano le forme, è sbagliato il materiale, non si colgono i pieni e vuoti, da lontano difetta della “visibilità” (la “claritas” degli antichi) di cui sono invece esempio corrusco il marmo del David e dell’Ercole, il bronzo del Perseo.

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A proposito del David, simbolo da subito acclamato (1504) della forza della nuova Repubblica fiorentina: la commissione che scelse il luogo dove sistemarlo era composta da Sandro Botticelli, Filippino Lippi, Leonardo Da Vinci, Pietro Perugino, Lorenzo di Credi, Antonio e Giuliano Sangallo, Simone del Pollaiolo, Andrea della Robbia, Cosimo Rosselli, Davide Ghirlandaio, Francesco Granacci, Piero di Cosimo, Andrea Sansovino.

Al contrario, per il posizionamento insensato dell’operetta di Jeff Sgunz, un ready made, scopiazzato (dice lui) da Bernini, di cui non si comprende il valore artistico, simbolico, né civile, temiamo non ci sia stato simile consesso di menti, né alcuna discussione sulla funzione dell’arte pubblica. Anzi ne siamo certi.

La questione, più in generale, ha a che fare con il concetto di arte pubblica, con la funzione dei monumenti e delle statue, in fin dei conti con la stupidità della politica, e la fine di ogni senso civico.

Di fatto, tra rotonde stradali con sculturina annessa, installazioni, statue e varie su suolo pubblico… non si capisce bene il senso di tutto questo lavorio, che va dal concettuale (il “Fuck Off” di Cattelan in piazza della Borsa a Milano) al figurativo (la recentissima “Visitazione” di Floriano Ippoliti a Loreto) sempre con risultati mediocri, o inconsapevolmente ridicoli.

A tal proposito, sabato scorso è stato inaugurato “The Life Electric” il dono di Libeskind per Como. Dopo la “cosa” davanti all’Ambrosiana di Milano in onore di Leonardo, più una frattaglia scheletrica in ferro che un frattale, l’archistar ha bissato in munificenza con il ghirigoro specchiante nel lago (alla Anish Kapoor senza esserlo), che ha come vero, unico pregio quello di essere tutto sommato poco impattante, rispetto alle premesse che avevano preoccupato i comaschi; dopo il muro sul lungo lago ci mancavano pure gli specchi.

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Libeskind, in ogni caso, fa la figura di quei manager, avvocati, medici, architetti che di soppiatto ti allungano la plaquette di versi, credendosi appunto poeti. Libeskind è un archistar ed è già sufficiente, secondo noi, quello che fa ed erige, senza che vada regalando in giro sue “opere”.
Ma ormai la frittata è fatta a Firenze, Como, Milano, Loreto.

* “[…] Lo “sgunz” in sostanza è (o non è) un oggetto, deve massimamente tendere all’orripilante, all’informe, all’insensato (meglio se tutto insieme), deve essere il più nuovo possibile (questo è imprescindibile), deve autodefinirsi come “arte”, e avere un pubblico che pur non capendone la portata ne sostiene entusiasta il valoreOvviamente lo “sgunz” annovera storici e critici, curators e giornalisti, collezionisti e pubblico plaudente, galleristi e direttori di museo, restauratori, un nugolo neppure troppo esteso di happy few che governano quello che viene definitivo art-system. Gli storici e critici hanno elaborato una teoria, i galleristi la fanno propria, i curatori scovano la materia prima, cioè lo “sgunz”, in seguito i galleristi e i direttori dei musei la espongono, gli uffici stampa maneggiano i giornalisti amici, il mercante si arricchisce scambiandola, i restauratori se è il caso (spesso lo è) la restaurano, il collezionista ne fa incetta godendo di un beneficio sociale poiché attraverso questa neolingua si eleva rispetto al borghese grasso e al povero incolto, il pubblico generico applaude senza capire il senso. Lo “sgunz” è una fede che non prevede eterodossie, per cui i custodi del sacramento sono inflessibili: ammansiscono i fedeli in cerca di ricompensa sociale con ferrea determinazione.” Angelo Crespi in Ars Attack. Il bluff del contemporaneo (Johan & Levi, 2014)

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  • Asterico. La definizione della (s)qualifica sgunz è spassosissima. Concreta. Feroce.
    Una vetriolata in faccia che occhieggia agli happy few al governo dell’art system. Per analogia torna alla mente la celeberrima locuzione del giornalista Tom Wolfe. Quando nel 1970 pubblicò sul New York Magazine ben 29 pagine d’articolo dedicate al ritratto di una nuova genia di bipedi: i radical chic.
    Rivoluzionari da salotto. (Che Dio li perdoni) Snob dalla posa intellettualoide, vuoti d’idee e zeppi di soldi. E del resto, canticchiando la vecchia canzoncina di Liza Minelli, è il danaro che muove il mondo. Soprattutto quando mancano le idee. E di frequente pure il danaro. E allora…vai col bluff.

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