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Post Pop: East meets West. Quando la Pop Art incontra l’Oriente alla Saatchi Gallery di Londra

Alexander Kosolapov - MALEVICH - BLACK SQUARE, 1987
Alexander Kosolapov – Malevich – Black Square, 1987

La corrente artistica della Pop Art è tra la più carismatiche e sovversive del XX secolo. Immagini sfrontate, piene di colore, che poggiano sulla ormai nascente società consumistica, riflettendola in opere molto diverse fra loro per tecnica e stile. Nonostante la Pop Art sia nata in Occidente, prima in Gran Bretagna a inizio anni ’50 e alla fine del decennio negli Usa, il suo potere comunicativo è stato tanto forte da raggiungere paesi con ideologie e stili di vita opposti a quello occidentale.

Ed è in questo contesto che si muove l’esposizione ispirata alla Pop Art con sede alla Saatchi Gallery di Londra fino al 3 marzo. Post Pop: East meets West: il famoso Occidente incontra lo sconosciuto Oriente dell’Unione Sovietica e della Cina che, forti dell’influenza Pop, la reinterpretano in chiave Political Pop e con Cynical Realism. Mentre l’Occidente è bombardato da un’eccessiva propaganda consumistica di immagini e testi, l’Oriente deve fare i conti con le restrizioni imposte dall’Unione Sovietica e con il Realismo Socialista della Cina. Sebbene le ideologie alla base siano differenti, East meets West è un incontro ben riuscito fra paesi che, accomunati dall’ispirazione Pop, comunicano fra loro attraverso le sei differenti stanze tematiche: Habitat, Pubblicità e Consumismo, Ideologia e Religione, Storia dell’Arte, Sessualità e Corpo e Mass Media.

Ilya e Emilia Kabakov - Incident in the Corridor near the Kitchen, 1989
Ilya e Emilia Kabakov – Incident in the Corridor near the Kitchen, 1989. Foto Laura Vezzo ArtsLife

Nel contesto Post Pop, gli artisti vedono l’habitat come un foglio bianco in cui ogni oggetto o decorazione è un modo per autoaffermarsi. Non esistono spazi limitati; la casa e tutte le sue stanze diventano un luogo di relazione fra natura e cemento. Protagoniste di questa sezione sono Ilya e Emilia Kabakov, due artiste concettuali nate tra gli anni Trenta e Cinquanta nell’Unione Sovietica: la loro installazione, datata 1989, Incident in the Corridor near the Kitchen (incidente in corridoio vicino alla cucina), con numerose pentole che penzolano dal soffitto di una cucina fittizia, vuole rappresentarla cucina come il cuore della casa, «come una sfera di cristallo magica» dove ogni cosa trova la sua giusta collocazione. Oltre alle Kabakov, vi sono altri artisti provenienti dalla ex Unione Sovietica e da Oriente, come Alexander Kosolapov e Leonild Sokov, che ritroveremo in quasi tutte le altre stanze della mostra. Ad affiancare le installazioni orientali, diversi lavori di britannici e americani più noti, come lo statunitense Gary Hume, il londinese Julian Opiee l’irlandese Michael Craig-Martin; artisti questi che si ripropongono più volte nel corso della mostra come rappresentanti della Pop Art occidentale di seconda generazione.

Alexander Kosolapov - Icon Caviar, 1996
Alexander Kosolapov – Icon Caviar, 1996. Foto Laura Vezzo ArtsLife

La sezione Pubblicità e Consumismo inizia, invece, con due installazioni del cinese Feng Mengbo: Taxi! Taxi! – Mao Zedong III (1994), un’opera di nove tele che formano un’immagine virtuale stile videogame, e Long March: Restart (2012), un’installazione composta da quattro console tipiche degli anni Novanta. Proseguendo, debutta un’altra coppia di sovietici, protagonista in più stanze della mostra: Vitaly Komar e Alexander Melamid, fondatori della Sots Art, o Arte sovietica anticonformista (Soviet Nonconformist Art). I loro poster Circle, Square and Triangle del 1975 e We Buy and Sell Souls del ’78, con il quale acquisirono per finta centinaia di anime, fra cui gratuitamente quella di Andy Warhol, sono estremamente rappresentativi della corrente artistica Pop, relazionata al loro contesto sociale e storico. Di seguito, alcune altre creazioni di Kosolapov, come Icon Caviar del 1996, un’opera che affianca la sacralità del cristianesimo al consumismo della società moderna. Ma a rubare la scena è ora l’opera anonima, datata 2011-12,dell’artista cinese Fang Lijun: un dipinto su tela 360×250 cm in cui una ragazzina circondata da gioielli d’oro e costose creme mostra gioiosamente tutto il suo attaccamento alla materia e al lusso estremo. Concludono questa sezione altre opere di Kosolapov, della russa Alexey Kallima, e di esponenti occidentali come l’americano Jeff Koons, che, attraverso tre differenti opere costruite su un diverso uso di palloni da basket, vuole «il ritorno dell’oggettività, dell’impatto dell’arte sulla politica come riescono invece ora le industrie, le case cinematografiche e la musica».

Jeff Koons
Jeff Koons – Three Ball Total Equilibrium Tank, 1986. Foto Laura Vezzo ArtsLife
Inga Svala Thorsdottir & Wu Shanzhuan - Showing China Its Best Sides, Thing's Right(s), 1995 & Feng Mengbo - Long March: Restart, 2012
Inga Svala Thorsdottir & Wu Shanzhuan – Showing China Its Best Sides, Thing’s Right(s), 1995 & Feng Mengbo – Long March: Restart, 2012. Foto Laura Vezzo ArtsLife

Di grande impatto visivo è anche la prima stanza della terza sezione, Ideologia e Religione, che si apre con alcune opere di artisti già visti in sale precedenti. Lenin tiene per mano Topolino, che a sua volta tiene per mano Gesù. Hero, Leader, God (2007) è un’opera scultorea in resina rossa dell’artista Alexander Kosolapov che, con sarcasmo e blasfemia, chiede allo spettatore di decidere chi, fra i tre, sia l’eroe del secolo, chi il leader e chi Dio. Si prosegue con la Bandiera Rossa (1983) di Komar e Melamid e Il Dollaro e il Martello (1989) di Leonid Sokov.

Alexander Kosolapov - Hero, Leader, God (2007)
Alexander Kosolapov – Hero, Leader, God (2007). Laura Vezzo ArtsLife

E’, invece, opera di un artista cinese originario di Taiwan, Mei Dean-Mei, la divertente installazione Confucius’s Confusion (2003): un tappeto non finito su cui è ricamato il volto della guida spirituale, la cui lunga barba penzola come fili non ancora intrecciati.

Mei Dean-E - Confucius's Confusion, 2003
Mei Dean-E – Confucius’s Confusion, 2003. Foto Laura Vezzo ArtsLife

A caricare l’ambiente di sentimento e sacralità pop, intervengono le opere affiancate di Anatoly Osmolovsky e Sergey Shutov; il primo con l’opera Bread Series 1 and 3 (2007) applica alla parete fittizie immagini sacrali che sarebbero in realtà semplici fette di pane. Rivolta verso queste, Abacus (2001), un’installazione di undici robot meccanici ricoperti da lenzuoli neri che simulano donne islamiche nell’atto di preghiera. Se, a questo punto, lo spirito ribelle della Pop Art non si fosse ancora impossessato di voi, ci pensa la particolare opera di GuWenda, United Nations – Man and Space (1999-2000), a lasciarvi senza più parole: questa incredibile installazione è, infatti, costruita interamente da capelli umani, che, intrecciati e lavorati a dovere, compongono numerose bandiere del mondo. Il messaggio di GuWenda è chiaro: non è il mondo che permette agli uomini di esistere. Sono gli uomini che creano il mondo.

Shutov - Abacus (2001). Foto Laura Vezzo ArtsLife
Shutov – Abacus (2001). Foto Laura Vezzo ArtsLife
Gu Wenda, United Nations – Man and Space (1999-2000)
Gu Wenda, United Nations – Man and Space (1999-2000). Foto Laura Vezzo ArtsLife

La sezione dedicata alla Sessualità e al Corpo è, invece, anticipata da un’opera dello statunitense Paul McCarthy, Spaghetti Man (1993), un manichino mezzo uomo e mezzo lupo-pupazzo con un lungo membro di silicone. La sua opera, afferma l’artista stesso, «ha lo scopo di mostrare la paura di non riuscire più a distinguere un essere umano in carne ed ossa da un manichino di plastica», paura a cui l’attuale società ci ha ulteriormente avvicinati. In questa sezione, oltre ad alcune opere degli artisti Gary Hume e Julian Opie e ad altre dal gusto pornografico e provocatorio, è possibile trovare anche Il Paradiso Perduto dell’Eterosessualità (2009) dell’artista cinese Hou Chun-Ming: sette blocchi di legno in cui vengono rappresentate differenti situazioni sessuali.

Il sesso, infatti, secondo Chun-Ming e gli altri artisti Pop Art di seconda generazione, sarebbe una semplice necessità fisica: «Come si ha la necessità di mangiare, l’energia sessuale è qualcosa con cui l’uomo ha a che fare per una vita intera».

Sui Jiangao - Dying Slave e Discolobus, 1998
Sui Jiangao – Dying Slave e Discolobus, 1998. Foto Laura Vezzo ArtsLife

La quinta sezione, che ha come tema la Storia dell’Arte, si apre con due opere dell’artista cinese Sui Jianguo, che ha reso in chiave Pop due icone dell’arte classica: il Discobolo di Mirone e lo Schiavo Morente di Michelangelo. Entrambe datate 1998, le due statue in fibra di vetro riprendono esattamente le originali, con l’aggiunta degli abiti: «Per assecondare l’approccio realistico richiesto dall’Accademia Cinese, sono arrivato ad una soluzione “pop”. Prendo un oggetto o una forma e ne intensifico la presenza fisica per renderlo un oggetto totemico». Vitaly Komar e Alexander Melamid non abbandonano nemmeno questa sezione: con L’Origine del Realismo Socialista Nostalgico (1982-3), infatti, promuovono un’arte classica contaminata dal realismo Pop.

Robert Gober - Urinal, 1985
Sokov – Fountain, 2006. Foto Laura Vezzo ArtsLife

Stesso discorso anche per la scultura di Leonid Sokov, Incontro fra due sculture (Lenin e Giacometti) del 1990, opera in bronzo che affianca due figure iconografiche opposte. Appartenente al gruppo russo pop Blue Noses è, invece, l’opera composta da 19 fotografie, raggruppate sotto il nome de La supremazia della cucina (2005-6), in cui i protagonisti degli scatti sono insaccati e fette di pane. Dopo una parte dedicata alle ricostruzioni di orinatoi pop, come quelli dell’americano Robert Gober e di, ancora una volta, Kosolapov e Sokov, la sezione conclude con Komar e Melamid e la loro Serie Post Art (1973): una collezione di capolavori di loro più noti predecessori quali Warhol e Lichtenstein, «come se fossero sopravvissuti a guerre, cataclismi naturali e lavori di restaurazione».

Leonid Sokov - Meeting of Two Sculptures, 1990
Leonid Sokov – Meeting of Two Sculptures, 1990. Foto Laura Vezzo ArtsLife

Ultima, ma non per importanza, la sezione dedicata ai Mass Media, che, se per l’Occidente rappresentavano, come anche oggi, uno svelto veicolo per la comunicazione pubblicitaria, in Oriente erano invece uno strumento perfetto nelle mani dei regimi totalitari per progredire il proselitismo iniziato. Qui, oltre ad alcune opere del famoso Keith Haring, stupisce un’installazione in particolare del russo Oleg Kulik. Deep in Russia (1997) è un’opera macabra e interattiva: lo spettatore deve, infatti, avvicinarsi al deretano di una mezza mucca di dimensioni reali e guardare nel buco all’altezza della coda. All’interno del ventre della giumenta si trova un feto con le sembianze di Lenin che, ruotando su se stesso, tiene in mano un altro piccolo embrione, un altro Lenin.

L’esposizione, nonostante la mancata associazione didascalia-opera che ne rallenta la fruizione, è un incontro riuscito fra Paesi che, ancora oggi, hanno ben poche cose in comune. E’ una mostra che ben inquadra la potenza comunicativa dell’arte, ieri come oggi.

Oleg Kulik - Deep into Russia, 1997
Oleg Kulik – Deep into Russia, 1997. Foto Laura Vezzo ArtsLife
Oleg Kulik - Deep into Russia, 1997. Foto Laura Vezzo ArtsLife
Oleg Kulik – Deep into Russia, 1997. Foto Laura Vezzo ArtsLife
Keith Haring - Untitled, 1982
Keith Haring – Untitled, 1982. Foto Laura Vezzo ArtsLife

 

INFORMAZIONI UTILI

POST POP: EAST MEETS WEST
Saatchi Gallery – Londra
26 November 2014 – 3 March 2015
10am-6pm, 7 days a week, last entry 5:30pm

Admission is free to all exhibitions.
Saatchi Gallery will be closed between 4th to 10th March inclusive due to show change.

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