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Benvenuti al Grand Budapest Hotel!

The Grand Budapest Hotel, il nuovo film di Wes Anderson, dopo essere stato il titolo di apertura della 64° edizione del Festival Internazionale del cinema di Berlino e il vincitore del Gran premio della giuria, è arrivato da poco nelle sale cinematografiche italiane.

The Grand Budapest Hotel svela a mo’ di scatola cinese le sue fantastiche storie, che si scrivono (anche registicamente) sotto gli occhi dello spettatore in modo dinamico e circolare. Ideale è la scelta della divisione in capitoli per presentare tutti i protagonisti del ritrovato Aderson World, in un’ambientazione fantastica che spazia negli anni ’30, ’50 e ’80. Al centro si muovono Gustave H (Ralph Fiennes) concierge di un lussuoso albergo nella Repubblica di Zubrowka, paese immaginario d’ Europa, e il giovane apprendista Zero Moustafa. Le vite dei due sono destinate ad intrecciarsi dopo la morte sospetta della duchessa Madame D (una Tilda Swinton quasi irriconoscibile), una delle anzianissime donne a cui Gustave H soleva rivolgere premurose attenzioni. Coinvolti nelle indagini della polizia e inseguiti dalla famiglia della defunta per la lotta all’eredità, Gustave e il suo fedele garzone si ritroveranno a dover escogitare ingegnosi piani e vie di fuga. In mezzo a tutto questo correre non mancherà qualche tenerezza.

Il cast è eccellente e ricco di aficionados tra cui Edward Norton, Jude Law, Adrien Brody, Jeff Goldblum, Saoirse Ronan e gli immancabili Bill Murray, Willem Defoe, Jason Schwartzman e Owen Wilson.

I fan del regista americano troveranno pane per i loro denti: colori pastello, trovate ironiche e divertenti (come quella della società delle Chiavi Incrociate che lega in un solido e segretissimo patto di sangue i concierge di tutti i più prestigiosi hotel del mondo), visioni estetiche e maniacali fino al più piccolo dettaglio e i consueti motivi geometrici delle inquadrature e delle scenografie.

Tuttavia, questa volta manca qualcosa, forse quella carica romantica che ricordiamo bene in Moonrise Kingdom, che sotto questo aspetto risultava sicuramente più coinvolgente. Ciò che assolutamente persiste è la sua grazia nel raccontare, l’ironia e la vivacità di toni e personaggi, che accompagnano lo spettatore in questo nuovo viaggio “andersoniano”, tanto immaginario quanto affollato di riferimenti alla realtà.

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