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12 anni schiavo

Fresco di due BAFTA awards (Miglior film drammatico e Miglior attore protagonista per Chiwetel Ejiofor) e nove nominations ai premi Oscar, arriva anche nelle sale italiane 12 anni schiavo, terzo lungometraggio di Steve McQueen il regista inglese di Hunger e Shame.

Tratto da una storia vera, 12 anni schiavo racconta la vicenda di Solomon Northup, uomo di colore nato libero che, nel 1841, viene rapito da Saratoga e portato in Lousiana per essere venduto come schiavo. Per dodici anni, privato dei suoi documenti, della sua identità e della sua libertà, Solomon rimane nel Sud come schiavo, cambiando tre padroni in un’odissea di violenza e atrocità in cui la sua vita diventa una lotta per la sopravvivenza, alla mercé dei suoi aguzzini che lo spingono al limite della sopportazione fisica e psicologica.

Il regista era da tempo che pensava alla realizzazione di un film sullo schiavismo che avesse un punto di vista inedito rispetto fino a quanto visto fino ad ora, prima ancora di leggere l’autobiografia di Solomon Northup da cui poi è stata tratta la sceneggiatura: “Volevo fare un film sullo schiavismo ma non sapevo da che parte cominciare. Mi piaceva l’idea di partire da un uomo libero […] un qualsiasi padre di famiglia che viene rapito e ridotto in schiavitù” e continua McQueen: “mia moglie ha trovato il libro e appena aperto non l’ho più lasciato. Ero stupefatto e incantato da questa incredibile storia vera. Si leggeva come Pinocchio o una favola dei fratelli Grimm: un uomo viene strappato alla sua famiglia e trascinato in un tunnel oscuro, in fondo al quale però c’è luce“.

Scritto un anno dopo la liberazione di Northup e nove anni prima della Guerra Civile, il libro divenne un elemento chiave nel dibattito sul futuro della schiavitù; oltre a documentare per la prima volta la vita quotidiana degli schiavi e a spiegare cosa significasse essere di proprietà di qualcuno, offriva anche un quadro complesso dell’impatto morale ed emotivo che la schiavitù esercitava su tutte le persona coinvolte; ma nonostante lo scalpore suscitato all’epoca il libro in seguito è stato quasi dimenticato ed è rimasto fuori catalogo per buona parte del Novecento.

La lotta per la sopravvivenza di Solomon raggiunge il suo culmine nel rapporto con Edwin Epps, interpretato magistralmente dall’attore feticcio di McQueen: Michael Fassbender, qui nei panni di un proprietario di schiavi che acquista Solomon per farlo lavorare nei campi di cotone; un uomo violento e sadico. Come nelle precedenti opere il regista prosegue il discorso sui sistemi totali, esterni ed interni all’uomo: in Hunger il sistema carcerario e la lotta per la dignità, in Shame l’ossessione per il sesso e e in 12 anni schiavo la schiavitù e il sadismo. McQueen punta sull’elemento emotivo, facendo dei rapporti tra i personaggi, principali e comprimari, la chiave che sostiene l’impianto narrativo del film.

Grande prove per gli attori in campo: Benedict Cumberbatch nelle vesti dello schiavista “buono” si conferma uno dei volti più interessanti e convincenti degli ultimi anni, Sarah Paulson ieratica e gelosa moglie di Edwin Epps (Michael Fassbender) incarna con naturalezza un personaggio ancora più crudele delle sue compagne streghe di American Horror Story – Coven. I nuovi grandi volti del grande schermo sono quelli esplosi in TV.

La colonna sonora di Hans Zimmer -premio Oscar per Rain Man– spesso elettronica con strumenti tradizionali: “mi sembrava importante sottolineare la dimensione senza tempo di questa storia, ma senza idealizzarla. Spesso utilizzo l’elettronica per realizzare un sound estremo, radicale. Ma questa volta no, mi è sembrato importante usare strumenti tradizionali. Al centro della partitura ci sono archi, fiati e un po’ di percussioni […]. Non è una musica legata a una cultura particolare, quello che cercavo era per così dire una cultura ‘umanista’…

 Steve McQueen -già artista vincitore di un Turner Prize nel 1999 – si conferma con questa sua nuova opera uno dei registi di maggior peso per la contemporaneità donando ai posteri un nuovo grande film americano, riuscendo ad aggiornare la retorica del genere storico -in costume- portandolo a un livello più compiuto e convincente: “tutti credono di conoscere questo periodo della storia americana, ma credo che saranno in molti a restare sorpresi di quello che vedranno in questo film, come sono rimasto sorpreso io leggendo il libro“.

In sala dal 20 febbraio.

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