Print Friendly and PDF

Gli eroi americani che salvarono i monumenti siciliani dalle bombe

“Trapani! Trapani, non vedi?” esclamò il capitano Edward Croft Murray, guardando dal suo finestrino, a bordo di un aereo alleato che per la prima volta sorvolava la città siciliana. Seduto accanto a lui, il maggiore Lionel Fielden, ancora non del tutto sveglio e con i suoi pensieri alla vicina Tunisi da cui erano da poco partiti. “E lì, sotto di noi – Fielden scrisse tra i suoi appunti – una mezzaluna di case bianche con i tetti color rosso ruggine che si affacciano sul mare, dove un alto campanile diffonde il suono delle sue campane, che attraversa morbido l’azzurro dell’acqua. Nessun paese al mondo ha, per me, la bellezza mozzafiato della Sicilia.”

Da questa storia prende vita il film The Monuments Men (Monuments Officers: gli Ufficiali dei Monumenti), che sarà presentato in Italia il prossimo 13 febbraio e che vuole celebrare l’opera di quegli ufficiali che furono soprannominati: “Venus Fixers” (salva Venere o aggiusta Venere), ed oggi riportati nel grande schermo da: George Clooney, nelle vesti del George Stout un direttore di museo e Matt Damon che interpreta James Rorimer, un rinomato studioso di arte medievale.
Un cast d’eccezione che ripercorre le avventure di un’unità ombra delle Forze alleate che, con imprevisti e colpi di scena, si muoveva durante le azioni di combattimento della seconda guerra mondiale, in un inaspettato paese-museo con lo scopo di tutelare e recuperare il patrimonio culturale in una Europa controllata dai nazisti.

La storia ebbe inizio nell’autunno del 1943, un paio di mesi prima dello sbarco in Sicilia del 10 luglio, dove 180.000 soldati alleati iniziarono la campagna italiana. I due ufficiali inglesi furono assegnati al Governo Militare Alleato per i Territori occupati “AMGOT”, per riprendere il controllo del territorio italiano. Edward “Teddy” Croft Murray nella vita civile era un direttore presso il British Museum di Londra, apparteneva al settore delle Belle Arti e archivi (MFAA) una sezione operativa all’interno AMGOT. Con il compito di salvaguardare i monumenti e le opere d’arte dagli attacchi bellici. Croft Murray, viene descritto da Fielden, come un uomo dallo sguardo scintillante in una grande faccia che era attaccata ad un corpo dalle proporzioni quasi disordinate, ma non avrebbe mai smesso di ringraziare Dio per averlo mandato.

L’entusiasmo di Fielden però non era condiviso da gran parte degli alleati, che con molta ironia, li avevano paragonati a dei “vecchi signori militari in vacanza”. Ma gli Ufficiali dei Monumenti, che si distinguevano per una particolare stranezza bellica, erano tutti principalmente: storici dell’arte; architetti; artisti; archeologi e archivisti. Tutti elementi che, agli occhi di molti soldati, non erano adatti per nulla a muoversi in un teatro di guerra così importante. Il gruppo in Italia era costituito inizialmente da due uomini, ma il loro numero ben presto raggiunse le 27 unità. Tra cui il capitano Mason Hammond, professore di latino ad Harvard, e il tenente Perry Cott, vice direttore presso l’Art Museum di Worcester in Massachusetts.

Il principio di salvaguardare le opere d’arte dagli attacchi bellici, era senza precedenti. Frutto di una idea che venne a degli esperti e curatori dei musei associati americani, che fu subito abbracciata dal presidente Roosevelt, che costituì la prima Commissione americana per la protezione e salvataggio dei monumenti artistici e storici nelle aree di guerra. La commissione, in stretta collaborazione con il Ministero della Guerra, forniva le mappe di città e dei luoghi dove si trovavano significativi monumenti e siti religiosi. Le loro importanti informazioni servirono per meglio far conoscere il territorio ed istruire l’equipaggio, evitando così il più possibile inutili bombardamenti in quelle particolari zone. In Gran Bretagna, il primo ministro Churchill seguì l’esempio americano e fece nascere a sua volta un comitato parallelo che iniziò ad essere operativo nella primavera del 1944.

Le due unità speciali, inglesi e americane, avevano anche il compito delicato di ricognitori per riferire in merito ed anche portare i primi soccorsi ai tesori d’arte ed ai loro edifici danneggiati, istruivano le truppe sui patrimoni culturali italiani.

Non appena i primi Monuments Men raggiunsero la Sicilia, intuirono subito che le implicazioni di un tale mandato si dimostrava difficile per la sua vasta portata. La campagna italiana, prevista dai comandanti alleati come un’azione veloce e rapida, invece si sviluppò in un periodo di circa 22 mesi di duro lavoro. Poiché tutta l’Italia era diventata un campo di battaglia e il trasferimento degli eserciti alleati avveniva lentamente, per gli innumerevoli capolavori d’arte, edifici storici e antichi borghi che via via incontravano nel loro percorso. Lo stesso generale, Mark Clark dichiarò con molta frustrazione <<combattere in Italia è pari a condurre una guerra “in un museo dannato”>>

I Venus Fixers lottarono per preservare i musei schivando mine tedesche e le bombe alleate. Erano equipaggiati con armi non convenzionali: guide turistiche “Baedeker”, curiosità insaziabile e gambe robuste. Anche se i loro trasferimenti era tutt’altro che adeguati, entro la fine della campagna riuscirono comunque a conquistare la penisola italiana e avviare i lavori di riparazione su 700 edifici storici.

In Sicilia, gli Ufficiali dei Monumenti riscontrarono le maggiori distruzioni, principalmente nelle città costiere, mentre l’interno dell’isola, dove si trovavano gli antichi templi greci, fortunatamente non erano stati colpiti. La città di Palermo aveva sofferto molto delle intense incursioni alleate che avevano preceduto gli sbarchi. “Spettrale” era il termine che ricorreva con insistenza nei primi rapporti dei Venus Fixers, in particolare quando relazionarono sulle chiese barocche che vennero completamente rase al suolo: l’Oratorio della Compagnia di S. Francesco di Paola (in via Candelai), la Chiesa di S. Andrea Apostolo, detta delle Vergini (in via Castellana), la Chiesa della Madonna di tutte le Grazie (in piazza Ponticello), la Chiesetta di S. Giovanni alla Guilla (in via S. Agata), la Chiesa di S. Croce (in via Maqueda) già centrata dal bombardamento del 5 aprile e la Chiesa della Madonna di Monserrato (in piazza Castello).

Per la prima volta in Sicilia, gli ufficiali MFAA ebbero la sconfortante esperienza di camminare lungo le macerie della navata della chiesa di S. Ignazio all’Olivella, messa in ginocchio dal “fuoco amico”, gli ufficiali racconteranno, che “con il cuore pesante, si muovevano tra le statue in marmo smembrate sotto un cielo blu dove una volta si ergeva una cupola riccamente decorata.”

Grazie alla magia cinematografica, sarà possibile rivivere in parte quelle vicende e scoprire come può un plotone composto da sette uomini tra direttori di museo, curatori e storici dell’arte – più avvezzi a maneggiare opere di Michelangelo che non M-1- sperare di riuscire nell’impresa. Un singolare plotone voluto dal Presidente Roosevelt, incaricato di recarsi in Germania per recuperare le opere d’arte trafugate dai nazisti per poterle restituire ai legittimi proprietari. La missione appare impossibile: le opere d’arte si trovano dietro le linee nemiche e, con la caduta del Reich, l’esercito tedesco ha ricevuto l’ordine di distruggere tutto. Ma quando i “Monuments Men” si trovano coinvolti in una gara contro il tempo per evitare la distruzione di 1000 anni di cultura, tutti mettono in gioco la loro vita per proteggere e difendere i grandi tesori dell’umanità.

Ludovico Gippetto
Extroart Palermo
Fondazione Wanted

Commenta con Facebook

  • Gentili Signori,
    ho appena finito di scrivere, tra poco alle stampe, un libro sulla ricostruzione dei monumenti a Palermo a cura del Capitano americano Hammond. Il film Monuments Men non è, pur se un bel film, tutta la storia di ciò che accadde in Italia, tranne che non vogliamo considerare la Sicilia entità a se stante. Mr. Edsel ha fatto un buon lavoro e sa vendersi bene, ma la storia negli Archivi è ben altro. Il mio volume si intitola: Mason Hammond – La guerra in Sicilia di un professore di Harvard. Cordiali saluti, Attilio Albergoni

leave a reply

*