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Charlie don’t surf

Apocalypse Now, come molti sapranno, nasce dalla fusione di due progetti: una pellicola militante immaginata da Francis Ford Coppola intorno alla follia della guerra del Vietnam (chiusasi allora da non più che una manciata di anni), e una trasposizione di Heart of Darkness (Conrad) su cui andava ragionando John Milius.

Insieme alle figure memorabili del film – l’idolo Kurtz interpretato da Marlon Brando, anzitutto – da ricordare è anche il personaggio collettivo Charlie, il cui nome (oltre ad appartenere al conradiano capitano Marlow, che Coppola e Milius non potranno chiamare che in altro modo: così Martin Sheen sarà Ben Willard) risponde all’uso abbreviato di Victor Charlie, che sta per Viet Cong nei codici militari americani. Se ne potrebbero seguire i destini, fuori del cinema, attraverso la celeberrima battuta del colonnello Kilgore (Robert Duvall), che ad un certo punto, deciso a fare surf nei pressi di una base nemica, dice al soldato dissenziente «Charlie don’t surf!».

Battuta rimbalzata un po’ ovunque, sino a finire su felpe e T-shirt, in alcuni casi accompagnata dall’icona di Charles Manson, secondo uno schema ironico non so se postmoderno ma sicuramente cinico. Primi vennero i Clash, intitolando Charlie don’t surf una traccia del disco del 1980 Sandinista!: il ritornello diceva

Charlie don’t surf and we think he should
Charlie don’t surf and you know that it ain’t no good
Charlie don’t surf for his hamburger Momma
Charlie’s gonna be a napalm star.


Da un punto di vista grammaticale i Clash, come Kilgore e come l’esercito americano, utilizzano Charlie in qualità di nome collettivo: «Charlie don’t surf». Il verso però continua con un «he should» che ha l’effetto di ridurre Charlie a individuo. La transizione viene data per acquisita da Maurizio Cattelan, che nel 1997 (il titolo dell’opera è sempre Charlie don’t surf) fa di Charlie un ragazzino e della battuta di Kilgore un imperativo (l’ausiliare don’t rende ora la seconda singolare dell’imperativo, appunto): un imperativo discutibilmente pedagogico, reso dalle mani inchiodate al banco di scuola più o meno al modo del messia crocifisso dei cristiani.

Una simile individuazione e caratterizzazione di Charlie è ribadita dal gruppo toscano dei Baustelle con Charlie fa surf, canzone compresa nell’album del 2008 Amen (peraltro dopo aver intitolato Cuore di tenebra un brano del 2005, in La mala vita, dove di nuovo di conradiano non rimane nulla):

Charlie fa surf. Quanta roba si fa.
MDMA. Ma ha le mani inchiodate.
Se Charlie fa skate, non abbiate pietà.
Crocifiggetelo. Sfiguratelo in volto
con la mazza da golf. Alleluja, alleluja.

L’individuazione era, in nuce, già all’origine, effettivamente. Charlie corrisponde ai “negri” di cui parla Conrad attraverso Marlow, con la differenza che utilizzando un nome proprio per una massa ignota, oltre che anonima, si innesca un processo (quello dell’individuazione, proprio, della reductio ad unum) che dà l’illusione della conoscenza. Più o meno ciò in cui consistono alcune mistificazioni, assai fruttuose nel nostro paese, di specie politica e religiosa. Amen.

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