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Considerazioni critiche sulla mostra pavese “Monet au coeur de la vie”

Claude Monet Waterloo Bridge (Il ponte Waterloo), 1900 olio su tela, 65,4 x 92,7 cm Santa Barbara Museum of Art, Bequest of Katherine Dexter McCormick in memory of her husband, Stanley McCormick

Il fantasmagorico universo delle mostre pare essere oggi sotto le spinte di un’ulteriore trasformazione. “Monet au coeur de la vie”, aperta da  sabato 14 settembre alle Scuderie del Castello Visconteo di Pavia, un luogo e una città che non sono certo l’ombelico del mondo della programmazione culturale, può comunque far riflettere. Forse non il pubblico onnivoro e talvolta acritico, ma certamente chi di mostre ne ha viste tante e curate alcune.

Questa ennesima declinazione del tema dell’impressionismo, di cui il grande pubblico pare ancora lontano dall’essere sazio e saturo, vuole presentare Monet come l’impressionista per eccellenza. Lo sottolineano nello speech d’apertura sindaco, assessore e curatore. Ma non è questo il punto. Né si vuole discutere se sia lecito, dal punto di vista storico e critico, assegnare questo primato a Monet. Gli andrebbe riconosciuto per il fatto di aver intitolato il famoso quadro del 1872 “Impression, soleil levant”, e aver così offerto lo spunto per l’etichetta data da Louis Levoy nel 1874 a quel gruppo di ribelli d’arte di una Parigi ancora accademica (che peraltro non vollero mai riconoscersi in quell’etichetta). O sarebbe l’impressionista per antonomasia per il fatto di essersi concentrato sugli aspetti tecnici del dipingere, che a ben vedere sono però teorizzati già da Eugène Chavreul in due importanti scritti del 1839 e 1864. Ma, come si diceva, non è questo il punto.

Interessa qui riflettere per capire se il modo di impostare la mostra pavese sia un trend che possa avere presa nel futuro, sia il risultato di una tendenza che qui arriva all’eccesso, o cos’altro.

La mostra, prodotta e organizzata da Alef che si è avvalsa della consulenza di Storyfactory che si occupa di “costruzione di narrazioni trasmediali attraverso la gestione strategica dei medi”, accoglie il visitatore sostanzialmente al buio. E’ concepita come una sequenza di piccole sale dove solo alcuni spot di luce puntano sulle pareti, nel caso delle stanze con le opere, e illuminate dalla luce che proviene dai video, nel caso delle stanze che ospita appunto un solo filmato.
Si alternano infatti un’infilata di salette, alcune delle quali espongono le opere (non solo dipinti, ma anche disegni o documenti come lettere o testi antichi), altre in cui il visitatore dovrebbe stare in piedi per alcuni minuti a guardare un video. Nel video compaiono le figure importanti della vita del pittore (il padre, la figliastra, ecc.), personificate però fa figure di oggi, senza ambientazioni d’epoca. La voce narrante dell’audio, richiama testi o documenti che intendono guidare il visitatore in un processo di immedesimazione. Per “indurre nel visitatore quelle emozioni attraverso un lavoro di story telling e videoinstallazioni che scandagliassero l’anima non solo di Monet, ma di ciascun uomo, e lo portassero all’emozione zero, all’emozione allo stato puro”, spiega Pietro Allegretti, presidente di Alef-cultural project management.

Ora, premesso che per quanto mi riguarda “l’emozione allo stato puro” la provo naufragando nei colori diluiti nelle ninfee e nella facciata della cattedrale, nel caso specifico, come posso perdermi nel blu di Yves Klein o nel buio dell’anima di Mark Rothko… Ciò premesso, il risultato è soddisfacente? E’ accettabile intendere una mostra come “uno spettacolo in cui i protagonisti sono le opere che devono dare al pubblico le sollecitazioni necessarie a costruire la figura di un artista, se si tratta di una monografica come in questo caso”, come scrive ancora Allegretti? E prosegue: “Non ci interessava la carrellata di opere, mai esaustiva e sempre criticabile. Ci interessava il percorso dentro l’anima di un pittore, di uno dei più grandi della storia dell’arte. Umanizzarlo. Cercare di “isolare” le emozioni che Monet è stato capace di trasformare in forme e colori”.

E’ troppo lontano l’approccio di uno storico dell’arte di formazione longhiana, per quanto fortemente impegnato sul fronte della divulgazione, per poter apprezzare una simile operazione. Il “documento di prima” è l’opera d’arte, diceva Roberto Longhi. E sul binario pavese andiamo invece sempre più lontani dall’opera, che è ciò che resta immutabile nel tempo e lo ferma. Tutto il resto sono accessori interpretativi, orpelli critici. Quando non trovate di marketing o commerciali.

Tuttavia, visto che le mostre non si fanno solo per gli specialisti, ma per avvicinare il pubblico all’arte, il responso verrà dall’apprezzamento o meno da parte dei visitatori. Con la speranza che tutto ciò non porti, invece che a un rapporto più intimo con Monet, a un vero e proprio allontanamento dal Monet della storia dell’arte, cioè dalla sua pittura.

Opere in mostra: 

Eugène Boudin
Bordeaux, Bateaux sur le Garonne
(Bordeaux, Barche sulla Garonne), 1876
olio su tela, 49,5 x 73, 6 cm
Columbus Museum of Art, Ohio:
Museum Purchase, Derby Fund 1983

 

Claude Monet
Bateaux à Etretat (Barche a Etretat), 1883
olio su tela, 65 x 81 cm
Fondation Bemberg, Toulouse -France

 

Claude Monet
Portrait de Jean Monet
(Ritratto di Jean Monet), 1872 ca.
olio su tela,42 x 33 cm
Fondation Bemberg, Toulouse – France

 

Claude Monet
La gare d’Argenteuil
(La stazione di Argenteuil), 1872
olio su tela, 47,5 x 71 cm
© Conseil Général du Val-d’Oise -F-/photo J-Y Lacôte

 

Claude Monet
Passerelle à Zaandam, 1871
olio su tela, 47 x 38 cm
Cliché P. Tournier, Musées de Mâcon

 

Claude Monet
Printemps (Primavera), 1873
olio su tela, 60,5 x 81 cm
Johannesburg Art Gallery
Donazione di Otto Beit, 1910

 

Claude Monet
Bateaux de pêche á Honfleur
(Barche di pescatori a Honfleur), 1866 ca.
olio su tela, 37,9 x 46,3 cm
Muzeul National de Artă al României

 

Claude Monet
Marine, Pourville (Marina, Pourville), 1881
olio su tela, 57 x 72,8 cm
Conservation Départemental du Patrimoine et des Museès – Abbaye de Flaran – Coll. Simonow

 

Claude Monet
Cathédrale de Rouen (La Cattedrale di Rouen)
olio su tela, 100 x 66 cm
The National Museum in Belgrade
Claude Monet
Waterloo Bridge (Il ponte Waterloo), 1900
olio su tela, 65,4 x 92,7 cm
Santa Barbara Museum of Art, Bequest of Katherine Dexter McCormick in memory of her husband, Stanley McCormick

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2 Commenti

  • Condivisibili critiche. Occhio ai refusi però.. Quando ho letto la data del celebre dipinto di Monet “impressione. Levar del sole”, mi è venuto un colpo. Monet catapultato in piena epoca Concettuale (SIC!!) Editing..

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