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Intervista a Claudia Scarsella

Claudia Scarsella
Claudia Scarsella

Nata a Viterbo nel 1979. Vive e lavora a Milano. Claudia Scarsella è laureata in fashion design al Central Saint Martins College di Londra e in architettura al Politecnico di Milano. Ha collaborato con Alexander McQueen, Boudicca, Riccardo Tisci, tra gli altri. Nel 2010 vince il Premio Arte Mondadori, Targa Oro sezione Grafica. Le sue opere sono state esposte a Londra, Milano, Barcellona, Berlino >>

Come vedi il panorama dell’arte contemporanea oggi in Italia?
Mi interessa questa grande fioritura di progetti ibridi, intellettualmente mi diverte molto ciò che vedo. Mi piacciono soprattutto le evasioni di campo. Tra gli altri vorrei segnalare un progetto che mi sembra bello, raffinato, intelligente: la “Vendetta” di Vanni Cuoghi, proprio un bel lavoro.

– E allʼestero?
Ci sono città la cui energia sembra eterna. Per me è ancora sorprendente vedere quanto sia facile lavorare a Londra, facile incontrare persone qualificate e tessere relazioni. Lì anche le istituzioni mostrano apertura, reattività cerebrale; e il sistema funziona: gallerie e Christieʼs, atelier e Sothebyʼs, tutti sembrano collaborare.

– ArsLife è un portale che si occupa di arte e mercato e di collezionismo. Nel mondo dellʼarte contemporanea internazionale quali artisti viventi acquisteresti? Quali artisti segui con interesse?
Di Yayoi Kusama vorrei una stanza intera, di Christo tutti i collage, e anche le ceramiche di Grayson Perry. Di Nathalie Djurberg, Wangechi Mutu, Rebecca Horn ogni tanto mi chiedo: che avrà fatto oggi? Lo potrò vedere?

– Come altri artisti italiani quali: Francesco Vezzoli, Enrico David, Alice Cattaneo e Maurizio Anzeri anche tu hai frequentato un corso di studi all’estero. Scegliendo il Central St. Martins di Londra. Nel tuo caso però con indirizzo moda. In seguito ti sei laureata anche in architettura al Politecnico di Milano. In questa tua seconda esperienza di studio che differenze hai notato nei metodi di lavoro rispetto al Regno Unito? Punti di forza e debolezze di entrambi i percorsi formativi? Se dovessi dare un consiglio ad uno studente che volesse proseguire gli studi superiori dove lo indirizzeresti?

Il Central Saint Martins è una realtà a sè, anche per Londra. Quindi è unʼesperienza diametralmente opposta a tutti gli altri metodi formativi che conosco. Al Saint Martins vivi didattica senza regola, super pratica, solo progettuale, senza teoria. Lʼambiente stesso ti nutre, i tuoi compagni di corso: cinquanta nazionalità fuse insieme a vivere sogni da cucire in tempo zero. Un incredibile acquario in cui è facile perdersi. Mille rotte, nessun inquadramento, è facile meravigliosamente annegare cercando la tua cifra stilistica. Il Politecnico invece è tempio di guida accademica: orari, lezioni, moduli che al Saint Martins non esistono, al Politecnico sì e sono legge. È difficile in un ambiente del genere circoscrivere, disegnare la tua personalità progettuale; ma la teoria è preziosissima, le lezioni che segui possono essere indimenticabili. Se vuoi proprio che dia un consiglio, io direi Grand Tour, rivisitato. Tornando indietro farei il liceo in Italia, poi mi imporrei di viaggiare continuamente: per fermarmi a studiare design tra Rotterdam e Eindhoven; moda tra Anversa e Londra, dove tra lʼaltro studierei anche arte al Royal College. In tutto questo per le vacanze va benissimo lʼItalia, da mangiare a occhi pieni, ormai diversi.

– Il collage è il medium con cui ti esprimi attualmente. Declinato sia in forma digitale che manuale, con interventi di disegno. Questa tecnica si sviluppa in maniera coerente da un modo di lavorare di quando eri studentessa di fashion design. Nel collage dʼarte così come nella creazione di moda si mescolano e si cuciono insieme stili e documenti del passato insieme a quelli futuri. In cosa trovi (se esiste) differenza nel collage di moda rispetto al collage che componi oggi? Che strada ha preso questo tuo procedimento del fare collage?

Sai, la questione è più pratica che concettuale. In moda io usavo il collage per presentare un progetto, che poi in definitiva è un prodotto. Oggi invece il mio collage è risultato dʼispirazione libera: non presento, racconto.

Nel 2010 hai vinto la targa d’oro del Premio ARTE 2010 per la Grafica con l’opera “Erotic wall 5”, apprezzata per l’eleganza anche nella presentazione finale del lavoro. Questa, così come altri tuoi collage, non trovano precedenti nel contesto attuale dell’arte contemporanea nostrana. Sono opere dal forte impatto decorativo, giocate sulle geometrie e uniformate dall’uso sapiente del bianco e nero. I collage, lineari e in un certo modo ‘freddi’, svelano solo ad una più attenta visione i particolari vitali e legati all’immaginario erotico del desiderio. L’eleganza, la simmetria e la fantasia compositiva, sviluppata attraverso il monocromo, possono evocare la creatività di Piero Fornasetti. Pensando però a precedenti a te più vicini, tra i tuoi colleghi italiani, quelli più affini ma solo a livello compositivo, sono: Eloisa Gobbo, Pietro Ruffo e Francesco Simeti. La loro ricerca segue però altri percorsi. Per questo ti domando se le tue influenze non provengano invece da un gusto d’impronta anglosassone. Come ad esempio quello dell’illustratrice scozzese Johanna Brasford o dell’artista americano Jeremyville. Quali artisti italiani e stranieri ti hanno maggiormente influenzata?

Per quanto riguarda il collage lʼinfluenza fondamentale lʼhanno avuta Hanna Höch e Raoul Hausmann, ma la mia crescita, ti devo dire, è stata più colpita da quel gran genio di Jacovitti che non da Jeremyville. Il colpo di fulmine bianco e nero lʼho provato con Aubrey Beardsley, Alastair, le foto e i costumi di Cecil Beaton: hai presente quella scena meravigliosa del concorso ippico in “My fair lady”?

Erotic Wall_05, 2010, collage, piezografia a pigmenti su cotton paper, edizione di 3, 61 x 76 cm
– Sempre parlando delle tue influenze. In una intervista del 2002 descrivevi il tuo lavoro di fashion designer come un mix di gusto italiano ed eccentricità britannica. Spesso nelle tue creazioni hai attinto alla tradizione italiana dei personaggi della Commedia dell’Arte o a quegli italiani entrati nella leggenda come la Marchesa Casati Stampa di Soncino. Rivisitando il tutto in chiave energica e grintosa, con uno spirito ribelle vicino al punk inglese. Un doppio binario: Italia – Regno Unito, da un lato la forma e la struttura classica dell’eredità italiana unita ad una franchezza e pragmaticità tutta anglosassone. Come convivono questi due ambiti così lontani?

È vero, ho vissuto per molti anni in oscillazione tra qui e lì, e certo, questa vibrazione la sento forte quando lavoro. Davanti ai miei occhi si svolge una specie di gioco: vedo nello stesso teatro, sullo stesso palco, lʼItalia delle carceri, dei camini e delle portantine (!) di Piranesi, e le carte da parati inglesi di William Morris, e le rose di Mackintosh.

– Portando come esempio il tuo lavoro del 2010 “Desiderio di provare il piacere di lui”. Opera selezionata lo scorso settembre da Bruce Livingstone per la rubrica “Art we love this week” della Saatchi online. Ecco, partendo da questo collage vorrei esprimere il mio personale disaccordo riguardo al parallelismo tra la tua ricerca espressiva e l’opera di surrealisti come Man Ray e Max Ernst o presunti tali come Pierre Molinier. Lo trovo un discorso limitante. Ammetto che le tue creazioni si rifacciano a tecniche spesso impiegate dalle Avanguardie Storiche della prima metà del Novecento ma io vedo un percorso più rigoroso, di impianto logico e razionalista più simile al costruttivismo di Aleksandr Rodčenko come anche ai fotomontaggi di Lazlo Moholy-Nagi del Bauhaus. Nell’ambito della scuola tedesca i tuoi collage rievocano molto lo stile e la sensibilità compositiva di Marianne Brandt. Pensi che il tuo lavoro porti con sé una forte impronta femminile? Che la meticolosità e la cura del dettaglio che metti nelle tue creazioni non possa prescindere dall’essere donna?

Beh, lʼinfluenza che Molinier ha avuto sul mio lavoro mi sembra piuttosto evidente, la riconosco. Quanto agli altri aggiungo anche i fotomontaggi di Halsman: tra lʼaltro è interessantissimo il lavoro che fanno sulla donna sia lʼuno che lʼaltro. Marianne Brandt invece è un accostamento per cui ti ringrazio, lei è una star alla Josephine Baker, per me. Le linee di forza che governano i suoi collage sono le stesse del metallo dellecaffettiere, bellissimo. Mi piace molto il suo rigore, e questo è un tratto anche del mio sentire di donna. Non so se sia una caratteristica femminile assoluta, posso dirti che per me la cura del dettaglio è quasi ossessiva, e vivo la precisione come un dovere, una spinta imperativa che ha guidato tutta la mia vita.

– Arslife.com è un portale che si occupa di mercato dell’arte. E’ impossibile pensare nel mondo attuale ad un’opera d’arte senza un pubblico, senza un committente o un acquirente. Tu nel tuo lavoro sei andata oltre. Alcuni dei collage che hai realizzato nel 2009 (“Erotic wall” e “Moon wall”) li hai moltiplicati creando motivi in serie, stampandoli su tessuto e su carta da parati. Così da trasformare l’ambiente in cui viviamo in unʼopera dʼarte. Come è nata questa idea e come si è sviluppato questo progetto di ‘arte accessibile’? Hai in mente altri progetti simili?

Il fatto è che io non progetto la ripetizione separatamente dallʼoriginale. Il pattern che deriva da un lavoro è la sua naturale liberazione macroscopica, o il suo naturale respiro fuori cornice. Altrettanto naturale è stato identificare come applicazione dei pattern il tessuto e la carta da parati: ti ho già detto quanto sia stato importante per me studiare il lavoro di Morris e Kusama. Oggi so che non solo case e ambienti possono essere espressioni dʼarte (chiaramente oltre il loro valore architettonico), ma anche oggetti che usi e consumi. Trovo affascinante lʼidea che, acquistata unʼopera, si possa decidere di appenderla e preservarla, come elemento di collezione, oppure si possa scioglierla dalla cornice e usarla. Chiamo questo progetto “Soft Art”, ecco la dichiarazione dʼapertura che troverai sul mio sito tra qualche giorno: “You can live in my art, you can dress yourself with the soft part of my art. You can be mecenate, art collector, and/or a super elegant cooker. this is a piece of soft art you can use”. In questo caso ho immaginato una stampa su canvas in edizione limitata, che puoi incorniciare, oppure usare in cucina. Rai 1 ha già mostrato unʼanteprima. Devo lavorarci ancora qualche giorno, mi saprai dire cosa ne pensi. Un altro progetto, per rispondere in modo diverso alla tua domanda, è “Produce Life”: una serie di pattern che mi è stata commissionata in Medio Oriente. Adesso sto lavorando alla loro applicazione su tessuto per unʼedizione limitata, e contemporaneamente alla realizzazione di pezzi unici di incredibile, e antichissima, manifattura italiana.

– Questi nuovi pattern pensati per i tessuti presentano differenze rispetto ai precedenti lavori. I pattern che hai trasformato in carta da parati nascevano dal collage e dalla sua stessa simmetria. Invece in questi, pensati per i tessuti, intervengono elementi direttamente presi dalla realtà: un tessuto, con le sue trame e i suoi decori è moltiplicato nelle tue geometrie. Come nasce questo lavoro? Come lo hai sviluppato? E dove verrà presentato?

Mesi fa, ad Amman, ho avuto accesso a unʼimportante collezione privata di abiti e tessuti antichi di tradizione beduina, giordana e siriana. Parlando con questa magnifica signora collezionista e gallerista, ho pensato sarebbe stata unʼesperienza artistica irripetibile avere lʼoccasione di restituire contemporaneità a quel patrimonio di colori e geometrie. Ogni museo, ogni collezione può esser letta come deposito monumentale oppure come centro propulsore del tempo e dellʼarte: io considero la memoria come unʼemozione da costruire. Quindi ho iniziato a lavorare sui materiali, un mondo infinito di simboli e ricami; chiaramente lavoravo su scansioni e foto, non ho scucito niente! Ma ho la libertà di scegliere dettagli, tagliare e coprire, disegnare nuove linee, insomma di farne dei nuovi collage. Il risultato mi emoziona tanto, questo progetto è veramente ambizioso; è già stato presentato su carta sia ad Amman che a Riad e le reazioni sono state fantastiche. Credo mostrerò unʼanteprima del lavoro alla prossima Biennale di Roncaglia, ma il risultato completo di questa ricerca verrà presentato lì, dove lʼispirazione è nata. Nei prossimi mesi, appena tutto sarà pronto. Ti saprò dire.

"Produce life_03”, pattern unit: 25 x 63 cm

– Fashion designer, architetto e ora artista. Questi precedenti percorsi formativi hanno sicuramente influenzato la tua ricerca artistica, ne esiste però un terzo: la danza. Strada intrapresa all’età di 4 anni e che in anni recenti ti ha portato alla performance. Echi dell’arte della danza, delle sue coreografie si ritrovano anche nei tuoi pattern che si ripetono simmetrici e armoniosi come in una composizione delle Zigfried follies. Quanto peso hanno i tuoi studi di ballerina nella tua ricerca attuale?

Danzare per me è fondamentale: la mia anima si nutre così. La danza è uno di quei momenti preziosi in cui riesco a sentire il mio corpo armonico e sano, felice. E poi scolpisce, non solo influenza, il mio lavoro. Perchè è equilibrio, matematica, è il regno delle simmetrie apparenti ma disciplinate. È imperativo di perfezione.

– Il collage sin dai tempi delle Avanguardie storiche era un mezzo per portare la realtà nel quadro e allo stesso tempo far entrare lo spettatore nella composizione. Citando una riflessione dell’artista inglese Martin Maloney < […] mi piace la tecnica del collage perché permette salti di colore, pattern e texture che non sarei in grado di fare con il pennello. Fa diventare viva la pittura >. Tu con i tuoi ultimi lavori ti sei spinta oltre. A differenza dei precedenti, questi hanno unʼimpronta molto più intimista e personale, infatti sono dei ritratti. Biografie raccontate attraverso oggetti ed elementi che richiamano persone specifiche. Nella composizione sono sempre presenti, come nei collage dedicati al desiderio, i pattern in bianco e nero che però in questi nuovi lavori si sovrappongono a ritagli colorati creando un effetto di disturbo che all’occhio suggerisce un effetto di movimento. E’ come se le immagini uscissero dalla scena e si proiettassero in tridimensione verso lo spettatore. Come descriveresti questi ritratti? Li percepisci diversi dalle opere precedenti. Cosa ti ha portato verso questa ricerca?

Sentivo fortissimo il bisogno di raccontare persone e vita con il mio alfabeto: questo è stato un passaggio molto importante per me. Immaginavo ritratti, cioè racconti, vibranti dʼenergia vitale. Volevo fosse leggibile lʼelettricità che muove ogni fibra. Vedi, tanta parte della mia produzione è il risultato del pensiero di me, della ricerca di me: nei ritratti esco da me. Naturalmente cʼè un cambiamento formale netto: sto introducendo il colore, come anche in “Produce Life”, sto sperimentando una nuova pratica narrativa.

“Racconto di G_primo”, 2011, collage, mixed media: disegno a mano e stampa digitale su carta da lucido applicata su piezografia a pigmenti su cotton paper, edizione unica, 25 x 18 cm


– Anche tu come molti altri artisti hai un sito internet che presenta il tuo lavoro (www.claudiascarsella.it), pensi che ormai avere un portfolio in rete, una finestra sempre aperta, sia imprescindibile? Che vantaggi ti offre il world wide web?

Ti rispondo proponendoti un argomento su cui sto ragionando da un poʼ, a proposito della visibilità, della necessità di costruire e tutelare un proprio spazio editoriale: intendo uno spazio che generi senso e proponga contenuto. Il mondo e il mercato dellʼarte contemporanea impongono spesso, soprattutto agli artisti giovani, lʼautoproduzione. Contemporaneamente mi sembra entrato in crisi il modello stesso della galleria dʼarte. Le gallerie hanno sempre garantito ai loro artisti tre cose: reperibilità (dove si trovano le opere?), credibilità (e garanzia: lʼopera è vera o falsa?), visibilità (promozione, partecipazioni a collettive, esposizione in fiere). Ecco, senza agitare riferimenti a Mecenate o allʼImperatore Adriano, che si  sentiva responsabile della bellezza del mondo, io stimo molto i galleristi che sentono responsabilità nei confronti degli artisti e li supportano, anche, per esempio, perchè magari li mettono in condizione di realizzare unʼopera molto costosa in termini materiali. Sono meno convinta, girando un poʼ la tua domanda, siano imprescindibili quando si propongono essenzialmente come spazi di stoccaggio e compravendita, senza visione, ripeto, editoriale. A quel punto il mondo della rete si presenta come un mondo meritocratico, competitivo, certo, ma pieno di opportunità. Senza contare, tornando ai punti che elencavo prima, che Google garantisce reperibilità anche se non vuoi; la credibilità è garantita da premi, aste, mostre, oltre che dallʼartista stesso; la visibilità, oltre che dal lavoro incredibile che svolgono molti bravi curatori, attraverso il web non solo è possibile, ma ampia, e ti espone al pubblico in modi che non riesci neanche a prevedere. Io poi considero il mio sito uno spazio dʼincontro, di confronto: ho aperto un blog per questo. Spero mi aiuti a non sentire la mancanza di quei Cafè Guerbois in cui gli artisti, le ricerche, i dubbi, le sensibilità sʼincontravano, e ricchezza di scambio intellettuale veniva servita ogni sera insieme a un pastis. Cʼè un passaggio meraviglioso a questo proposito tra gli scritti di Monet, sai benissimo di cosa parlo.

– A cosa stai lavorando al momento? Progetti per il futuro?
Vorrei immaginare il mio lavoro su porcellana, e su seta. Ho già i brividi.

Premi

2011 Italia. Premio Internazionale Bice Bugatti – Giovanni Segantini. Partecipa con “Desiderio di riuscire a

contenere” e “Desiderio che sia il momento giusto”.
2010 Italia. Premio Arte Mondadori. Targa Oro, Premio per la Grafica con l’opera “Erotic Wall_05”. Esposto al

Palazzo della Permanente, Milano.
2001 Regno Unito. “Curvaceous”, Victoria and Albert Museum, Londra. Finalista.
2001 Regno Unito. “L’Oreal Colour Trophy”. Vincitrice per la categoria Beige Chic.

Mostre
2011 “Art@Area”, Areadocks, Brescia
2011 “Corpi Esposti”, Galleria Barbara Frigerio, Milano
2010 “Desire: a life sentence”, Galleria Barbara Frigerio, Milano (mostra personale)
2010 “Live Soundtracks vs. Pasolini”, Barcelona (Spagna)
2010  Lucas Carrieri Art Gallery, Berlino (Germania)
2009 “LUNA e l’altra – the art side of the moon”, Colossi Arte Contemporanea, Brescia
2003 “Moda e identità”, Spazio Extè, Milano

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