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Emilio Longoni alla GAM di Milano. “2 collezioni”

Particolare di "Studio dal vero" di Longoni (Foto: Luca Zuccala © ArsLife)

REALISMO, PITTURA SOCIALE, PAESAGGI ALPINI DI UN MAESTRO DEL DIVISIONISMO LOMBARDO

dal 21 ottobre 2009 al 31 gennaio 2010,
Galleria d’Arte Moderna – Milano

“Ricostruisco a me stesso la mia vita artistica: i miei quadri corrispondono alle vicende della mia vita e segnano le tappe dei dolori, dei piaceri da me provati nei diversi periodi della mia vita. Questa conclusione mi si presenta un giorno, nel quale, mettendo in ordine cronologico le fotografie dei miei quadri avverto in essi una continuità di pensiero.” (E. Longoni)

Estranea al caos del centro milanese, distaccata dal trambusto cittadino e immersa nel suo silenzio, Villa Reale si presenta nella sua solenne austerità ed eleganza neoclassica. Il cortile d’onore delimitato dalle 2 ali laterali accoglie il visitatore conducendolo nel proprio elegante interno: le stanze custodiscono le opere e le collezioni della Galleria d’Arte Moderna, il Museo dell’800 di Milano.

Purtroppo poco conosciuto e pubblicizzato, il Museo raccoglie capolavori del Sette-Ottocento fino ai primi anni del Novecento e ospita, fino al 31 gennaio 2010, 23 dipinti di un maestro del divisionismo lombardo semisconosciuto al grande pubblico, il milanese Emilio Longoni.

Particolare di “Studio dal vero” di Longoni (Foto: Luca Zuccala © ArtsLife)

L’esposizione offre uno spaccato dell’opera pittorica dell’artista di Barlassina. 
Nonostante gli inconvenienti di carattere tecnico che hanno portato alla chiusura della mostra il giorno immediatamente successivo all’inaugurazione adesso la collezione è visitabile presso la Sala del Parnaso, denominata così dal grande affresco datato 1811 di Andrea Appiani a centro-soffitto raffigurante Apollo tra le Muse.

4 i temi fondanti della retrospettiva:

1. Il realismo delle nature morte e la ricerca del “vero”; l’inizio della carriera artistica di Longoni e i primi capolavori come Cocomeri e Poponi del 1886 esposta a Brera l’anno successivo su cui Carlo Dossi nelle pagine romane de “La Riforma” scrive: “Non dobbiamo passar sotto silenzio […] alcune frutta di Emilio Longoni: un melone, cioè e un cocomero, che fanno entrambi voglia, salvochè il cocomero par più saporito del melone”.

Cocomeri e poponi, 1886 – olio su tela

2. Il tema dell’infanzia povera e discriminata e i ritratti di giovani figure come la fanciulla di “Studio dal Vero” e il suo tenero sorriso, sereno e quasi furbesco ma forse di più forzato e malinconico, pur sempre baciato, nelle ore pomeridiane, dalla luce del sole proveniente dalle finestre della sala del Museo che danno sui paesaggistici giardini “all’inglese” sul retro della Villa. Il bellissimo ritratto, dalla cromia che fonde i toni del rosa e del viola nell’eccezionale stesura divisionista, fu esposto con grande successo nel 1896 all’esposizione annuale della Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente di Milano; Guido Martinelli sul “Corriere della Sera” ricorda “Del ribelle, ma equilibrato Longoni […] una breve figuretta di fanciulla al sole – che è tutta luce e calore”.

Studio dal vero, particolare delle mani (Foto: Luca Zuccala © ArtsLife)

3. La tecnica sperimentale e i temi di carattere politico riassunti nel capolavoro “L’oratore dello sciopero” del 1890 esposto alla Triennale di Brera nel 1891 susseguito dalle immancabili polemiche e critiche feroci. La forza dell’espressione, l’impegno sociale nel clima di lotta del popolo di fine ‘800 congiunti al taglio fotografico della tela e l’immediatezza di comunicazione del messaggio. Pompeo Bettini sulle pagine della “Cronaca”  scrisse del dipinto qualche mese più tardi: “Con uno stoico disprezzo degli effetti stabiliti il Longoni dipinse il suo Oratore dello sciopero, dove volle cavare sopra il cielo e sulla folla una energica figura di operaio ribelle. Questo quadro, che prova un’incrollabile onestà artistica, urtò molto i nervi del giurì per l’accettazione. È una seria promessa di opere più forti. Le discussioni che ha già provocato sono indizio del suo valore”.

L’oratore dello sciopero, 1890-1892 – olio su tela

 

4. La pittura di montagna, le Alpi dove Longoni si ritira e contempla ispirato la natura che lo avvolge. La serie dei ghiacciai longoniani concentra il forte impatto cromatico e la personale indagine sulla luce, le sue rifrazioni e i suoi effetti: le tele diventano stati d’animo interiori dell’artista, i paesaggi alpini il respiro dell’atmosfera. La bellezza della natura incontaminata assume un valore universale, senza tempo. Già all’epoca l’impatto di queste opere non passava certo inosservato: “Una parete occupa con tre tele Emilio Longoni, oramai giunto alla completa maturità del suo personale ingegno. Sembran tre finestre aperte nel muro, dalle quali spira fresca l’aura montanina e raggia una luce intensa […]”. (Luigi Chirtani, 1897 – dal Catalogo di G.Ginex)

Seppur breve, un intensa esposizione che denota l’altissima qualità pittorica di Emilio Longoni.

Percorrendo le sale della Galleria non si può però restare indifferenti dall’incomprensibile mancanza di valorizzazione delle opere esposte alle pareti delle sale. Un Museo così importante cui fan parte celebri pittori come Hayez, Segantini, Pellizza da Volpedo, Mosè Bianchi, Cremona, Previati, superbi scultori come Canova, Medardo Rosso, Gemito, Marchesi e Grandi, “dimentica” di affiancare ad ogni opera d’arte il cartellino  identificativo.

Quadri meravigliosi ma senza autore, dipinti stupendi ma senza titolo realizzati più o meno tra metà del ‘700 e inizio ‘900, sculture con solo la targhetta in braille (quella sul “Pescatore” di Vincenzo Gemito è pure al contrario!).
Una mancanza ricercata e voluta come spiega il Direttore della Galleria a Laura Bellomi in un articolo di qualche mese fa su Repubblica: “Stiamo facendo un esperimento scientifico: guardare il quadro senza sapere cosa rappresenta e provare ad apprezzarlo per quello che trasmette”. Un esperimento a dir poco azzardato: lasciare il visitatore a scervellare le proprie reminiscenze scolastiche o alla fantasia del pensiero creativo non è di grande utilità, anzi. Una gran confusione.
La piccola guida presente all’ingresso in cui sono riportati i dati principali delle opere non è assolutamente sufficiente ed esaustiva.

Dagli svariati commenti, proteste e consigli lasciati sul registro dei visitatori la richiesta del popolo è molto semplice: etichette e didascalie per tutti. Targhette all’altezza del contenuto del Museo, in italiano e in inglese per una città di livello internazionale come Milano e una cura sensibile che questa splendida Collezione si merita.

Commenti dei visitatori (Foto: Luca Zuccala © ArtsLife)

Un patrimonio culturale inestimabile di tutti quanti, un luogo senza tempo o che fortunatamente lo ha smarrito, lasciato a sé e alla sua solitudine comunque di gran fascino.

Fuori dalla Villa si torna alla realtà, Via Palestro, al di là della strada la siepe, i giardini pubblici di Porta Venezia, i Boschetti del Piermarini, la serie di filari di alberi paralleli cari al Parini e celebrati nelle opere di Foscolo “Le ultime lettere a Jacopo Ortis” e nei “Sepolcri”.

Se non altro la meraviglia dell’autunno di colori non ha bisogno di spiegazioni ma solo un po’ di silenzio…

Giardini di Porta Venezia (Foto: Luca Zuccala © ArtsLife)
Giardini di Porta Venezia (2) (Foto: Luca Zuccala © ArtsLife)
Giardini di Porta Venezia (3) (Foto: Luca Zuccala © ArtsLife)
Giardini di Porta Venezia (4) (Foto: Luca Zuccala © ArtsLife)

 

 

Emilio Longoni. Biografia

Emilio Longoni nasce a Barlassina il 9 luglio 1859, quartogenito di Luigia Meroni, contadina e Matteo Longoni, maniscalco.
La famiglia, poverissima, arriverà a contare 12 figli. Emilio è un bambino malinconico, solitario, con frequenti crisi di pianto e smarrimento emotivo; orgoglioso, ma insicuro, si sente irriso e poco amato da fratelli e amici.

Già durante l’infanzia, trova sfogo nella sua unica “grande vera passione”, la pittura. La prima intensa suggestione visiva la prova davanti alla Madonna in trono con Bambino del Luini dipinta a fresco in S. Giulio, la parrocchiale di Barlassina. Frequenta con alterni successi la locale scuola elementare e il rimpianto di un’educazione mancata riaffiorerà in alcuni dipinti di piccoli scolari.

Durante l’adolescenza cresce l’incomprensione in famiglia e un desiderio di fuga, di dare un taglio netto e ricominciare altrove, sentimento che Longoni proverà in varie fasi della propria vita. Il padre, piegato dalla povertà, lo manda, come già i suoi fratelli maggiori, a Milano a cercare lavoro.

L’impatto con la città e con le precarie occupazioni che gli offrono è durissimo; il ragazzo è disperato e violento, ma ancora cerca aiuto nella famiglia che infine accetta di assecondarlo, trovandogli un’occupazione nella bottega di un pittore milanese di cartelloni da piazza. 
Visto il precoce talento, Longoni si iscrive nel 1875 alla scuola serale di disegno di Brera, dove conosce Giovanni Segantini; il 3 gennaio 1876 lascia i corsi serali e viene ammesso ai corsi regolari della Regia Accademia di Brera: ha sedici anni e risulta domiciliato in Via San Marco 26.

Qui è compagno di corso di Gaetano Previati, Cesare Tallone, Ernesto Bazzaro, Medardo Rosso, Mario Quadrelli, Giovanni Sottocornola e Segantini, con cui divide il domicilio. L’ambiente di Brera è culturalmente vivacissimo, tra gli insegnanti spiccano Giuseppe Bertini e Raffaele Casnedi. Longoni frequenta Brera con grande profitto e al termine del corso vanta ben tredici premi. Conosce in Accademia l’ebanista Carlo Bugatti, suo primo committente. Per Bugatti Longoni dipinge ante di mobili con nature morte ed esegue pannelli decorativi dipinti. Frequenta la Famiglia Artistica milanese, diventandone uno dei membri più assidui e fattivi. 
Le prime prove pittoriche dell’artista sono ritratti di familiari e temi di paesaggio cui si alternano piccole scene di genere e motivi di ispirazione sociale. Per Longoni questi sono anni durissimi, di estrema miseria e ai margini della società, durante i quali si guadagna da vivere dipingendo trottole, marionette, giocattoli e riproducendo ritratti da fotografia.
Esordisce nel 1880 all’esposizione di Brera con due tele dipinte a Barlassina. I suoi lavori non vengono notati e la delusione si somma alle difficoltà economiche e ad una disavventura amorosa. Longoni reagisce nuovamente con una fuga e parte per Napoli.
Qui trova un ambiente altrettanto vivace, all’avanguardia nella ricerca del “vero”. Longoni si presenta a Domenico Morelli, considerato dalla critica uno dei massimi pittori italiani, senza preavviso e senza alcuna entratura, sperando di essere accolto come allievo nel suo studio; Morelli lo fa invece iscrivere ai corsi dell’Accademia di belle arti. Longoni li frequenta in modo discontinuo, angosciato dalle difficoltà economiche, dalla mancanza di un domicilio fisso, dall’impossibilità di mantenersi con l’attività artistica. Ma l’esperienza napoletana risulta comunque formativa per l’artista che, in quei breve e tormentati mesi, elabora l’esperienza accademica braidense riuscendo a darvi un’impronta personale, dove si ritrovano echi della pittura antica napoletana, dei dipinti di Morelli e soprattutto di quelli di Antonio Mancini.

Longoni è molto colpito dai febbrili ritratti infantili di Mancini e al rientro da Napoli dipinge una intensa serie di testine infantili. Legata all’esperienza napoletana è anche una prima serie di nature morte.
Longoni torna a Milano nell’estate del 1881, per sopravvivere fa l’imbianchino e il decoratore, nei primi mesi del 1882 ritrova Segantini, già riconosciuto dal mercato e dalla critica grazie all’appoggio della galleria Grubicy. Dipingono insieme vedute milanesi e Segantini lo presenta ai fratelli Grubicy che offrono ai due giovani di lavorare insieme, in Brianza.
Sino al 1884 i due soggiorneranno prima a Pusiano, poi a Carella: Longoni per la prima volta può dipingere con tranquillità e metodo. E qui riceve la prima importante committenza: una ventina di tele – testine e nature morte – destinate a decorare l’abitazione di un industriale lombardo.
Il tramite è Vittore Grubicy che però sigla a suo piacere le tele dei due giovani artisti, che gli arrivano non firmate dalla Brianza. Segantini ha un regolare contratto con i Grubicy, mentre Longoni si attiene a un accordo verbale. A poco a poco, Longoni si allontana sia da Grubicy che da Segantini e nel 1885 lo ritroviamo a Ghiffa, ospite di Villa Torelli.

Ghiffa è all’epoca al centro di una cultura artistica cosmopolita anche grazie alla presenza dei principi Troubetzkoy a Villa Ada. Sul Verbano Longoni incontra anche Daniele Ranzoni e l’editore e collezionista Giuseppe Treves. Sono di questo periodo le nature morte commissionategli da Giovanni Torelli, mecenate e raffinato collezionista d’arte, e dalla famiglia Treves. Ma anche questo rapporto è destinato ad una frattura improvvisa: Longoni viene sospettato di un furto avvenuto alla villa; sarà poi scoperto il colpevole, ma l’artista vive il sospetto come una profonda ingiustizia e decide nuovamente di fuggire.
Tornato a Milano, nel 1886 può finalmente affittare uno studio in Via Stella (oggi via Corridoni); è ormai considerato un artista maturo, e la carriera gli consente un’esistenza modesta ma dignitosa. Nella seconda metà degli anni Ottanta culmina e si chiude la sua produzione di nature morte, realizzate per le case dell’alta borghesia dell’epoca. Al pittore si richiedono anche ritratti: i conti Maraini, i Melzi d’Eril, i Soragna, gli Jacini, i Belgiojoso, i Resta, i Crivelli, insomma il bel nome dell’artistocrazia milanese viene effigiato da Longoni, richiesto per la sua pittura di eccellente qualità, con un’eleganza cromatica vicina al virtuosismo. Ma sarà un’immagine dell’infanzia povera e discriminata a far apprezzare l’artista da un pubblico più vasto: Chiusi fuori scuola, esposto a Brera nel 1888.

La “questione sociale” irrompe infatti nel 1880 nelle arti figurative italiane: dall’opera di Achille D’Orsi a quella di Courbet, sino agli incitamenti agli artisti di scrittori e intellettuali per un’azione politica decisa, all’uso dell’arte come strumento privilegiato di propaganda sociale. 
Longoni amplia la propria cultura, approfondendo l’interesse per la letteratura. In questo ambito è determinante l’amicizia col critico d’arte e musicologo Gustavo Macchi che lo introduce nei salotti milanesi dell’epoca, tra cui quello di Ersilia e Luigi Majno. Qui Longoni incontra Ada Negri, Alessandrina Ravizza, Sibilla Aleramo, Filippo Turati, Anna Kuliscioff.

E’ in questo clima che nel 1890 Longoni realizza alcuni dei suoi quadri più importanti: La piscinina e L’oratore dello sciopero, quest’ultimo manifesto politico del verismo sociale e incunabolo del suo divisionismo, entrambi esposti alla prima Triennale di Brera del 1891
Si tratta di opere ancora inscritte nel filone sociale, che segnano un preciso momento di maturazione dell’artista, che in questi anni allarga la sua committenza incontrando alcuni collezionisti che saranno poi veri mecenati. 
Il 1891 è dunque un anno chiave per la carriera pittorica dell’artista che, contemporaneamente alla presenza alla Triennale, espone diciotto tele all’Esposizione libera di Palazzo Broggi in Foro Bonaparte, registrando un buon successo di vendita. Nello stesso anno restituisce il prestigioso diploma di Socio Onorario della Regia Accademia di Brera, in polemica con le giurie e commissioni alla testa delle varie esposizioni nazionali. 
L’impegno politico sfocia nella collaborazione come illustratore ai periodici ufficiali del socialismo milanese, come Lotta di classe e Almanacco Socialista. 
Longoni è ormai un artista completo, nella piena maturità pittorica e culturale, rivolto ad una personalissima sperimentazione divisionista, tecnica che non abbandonerà più sino alla fine. Si fa intensa e di successo anche la sua partecipazione alle principali rassegne espositive nazionali e internazionali, tra cui, nel 1892 l’Esposizione italo-americana di Genova, le Promotrici di Torino, le Internationalen Kunstausstellung di Monaco di Baviera del 1892 e del 1905, l’Internationale Kunst-Ausstellung del 1896 a Berlino, la Universal Exposition di St. Louis del 1904. Nel 1894 rifiuta l’invito di Antonio Fradeletto a partecipare alla prima edizione della Biennale di Venezia, che sarà organizzata nel 1895, segnando così negativamente i suoi rapporti futuri con la presidenza dell’ente. 
Espone invece alla seconda Triennale di Brera, che si tiene eccezionalmente al Castello Sforzesco nel 1894, Riflessioni di un affamato, punto culminante dell’impegno sociale coniugato alla tecnica divisionista, per molti anni l’opera più conosciuta e citata dell’artista.
“Passo per il pittore degli Anarchici”, scrive Longoni nelle note autobiografiche.
Questo intenso periodo creativo coincide però con un difficile momento personale, segnato da nuove difficoltà economiche e dalla malattia e morte della madre. Sono di questi anni alcune tele di medio e piccolo formato, dove Longoni esplora “il genere”: piccoli ambienti, episodi di miseria infantile, dove i protagonisti sono personaggi a tutto tondo, la riflessione sull’infanzia rivela una profonda sensibilità.
Nel frattempo divampa anche in Italia la polemica tra verismo e simbolismo, con il prevalere della corrente simbolista, di cui Previati con la sua monumentale Maternità è stato alfiere sin dal 1891. Longoni partecipa a questo clima, conducendo la sua personalissima ricerca nell’ambito del puro paesaggio e della resa della luce. La committenza lo ricerca ora anche per la sua fama di pastellista. Il ritrovato uso del pastello avviene proprio perché più appropriato per rendere i diversi spessori della materia, la psicologia umana, le variazioni della natura.
La pittura di paesaggio, condotta en plein air nei dintorni di Milano, si fa sempre più presente nel corpus della sua opera a partire dalla prima metà degli anni Novanta. Accanto a varie prove di un simbolismo legato a fonti letterarie e musicali, Longoni si volge parallelamente all’esperienza della pittura di montagna in alta quota. 
La fuga dalla città e dai suoi temi – anche sociali – si delinea in Longoni fin dal 1895 con i primi grandi paesaggi di montagna, prima limitandosi a percorsi di mezza montagna e dal 1903 salendo oltre i duemila metri. Il richiamo della natura coincide in tutta Europa all’affermarsi della pittura di montagna come genere.
In Italia dà avvio al genere Filippo Carcano, seguito tra gli altri da Dell’Orto, Delleani, Filippini, Ciardi che espongono pascoli d’alta quota, paesaggi innevati, ghiacciai, allontanandosi dall’approccio di Segantini, per il quale il paesaggio d’alta quota fungeva da cornice per composizioni a tema simbolico con figure allegoriche. 
Il primo soggetto longoniano d’alta quota è del 1903. Da qui l’artista comincia una ascensione costante sui ghiacciai del Bernina e del Disgrazia, nelle valli dell’Engadina e di Poschiavo, in Valfurva e al pizzo Tresero, oltre la Val Chiavenna e al passo dello Spluga. Dipinge moltissimo, rimanendo in quota per mesi, spesso da solo negli alpeggi, protetto da un paravento/baita in legno portatile. Rientrato in città, da quegli studi prendono forma i dipinti di grandi dimensioni destinati alle esposizioni e ai suoi mecenati e collezionisti. Longoni produce così le grandi tele d’alta quota in cui l’osservazione e la resa del paesaggio, unite alla completa padronanza dei principi del divisionismo svolgono il dato naturalistico in simbolo, la bellezza della natura incontaminata in valore universale, senza tempo. 
Con pitture d’alta montagna Longoni ottiene due prestigiosi riconoscimenti: la medaglia d’argento all’esposizione universale di Saint-Louis del 1904 e, per il grandioso dipinto Il Ghiacciaio, il premio Principe Umberto a Brera nel 1906, che però clamorosamente rifiuta insieme alle seimila lire abbinate, con un atto di protesta contro tutte le accademie e di coerenza nella modalità della sua partecipazione all’Esposizione del Sempione, dove aveva preventivamente dichiarato che il suo lavoro non avrebbe concorso al premio. 
Quando Boccioni arriva a Milano nel 1907, descrivendola con entusiasmo, nei dipinti di Longoni la città sparisce e l’artista si rinchiude nello studio a dipingere grandi ghiacciai, dopo mesi passati sul Bernina.
Muta anche il modo di procedere pittorico: si concentra sul paesaggio, inteso più come luogo mentale per lo studio delle vibrazioni del colore e della luce. Dapprima esegue dal vero, dipingendo su tele a grana sottile, facilmente trasportabili arrotolate anche in quota, fissate solo a lavoro finito, in studio, su un supporto di robusto cartone. Quindi rielabora, sempre in studio, solo il dipinto che considera più adatto ad una versione di grandi dimensioni. 
Dopo il gran rifiuto del 1906, Longoni si allontana dalle esposizioni braidensi, ripresentandosi solo nel 1908 e nel 1916 e 1918.
Le sue opere si possono però vedere, se non nel suo studio dove raramente egli acconsente di ricevere visitatori, alla Permanente e alla Famiglia Artistica di Milano, alle Biennali di Venezia e Roma. 
Nel 1913 Longoni espone a Roma alla mostra annuale della Società Amatori e Cultori di Belle Arti: proprio con questa esposizione si apre una nuova stagione pittorica per l’artista. La forma inizia a dissolversi nella polverizzazione del tocco divisionista, si annullano i contorni, i volumi e il chiaroscuro in un infinito variare delle vibrazioni luminose. Oltre a ciò esiste solo l’astrazione, ma Longoni, uomo profondamente dell’Ottocento, non supera questa soglia. 
Nel 1915 in piena guerra Longoni accetta di ricambiare l’amore della giovane Fiorenza De Gaspari, conosciuta nel 1911, poco più che ventenne, nel salotto Majno. Fiorenza sarà una presenza amorevole e costante nella vita dell’artista, accompagnandolo nel dopoguerra in Valtellina, dove si fermano alcuni mesi ed effettuano varie escursioni a bassa quota. 
L’ultima mostra dove acconsente di presentare le tele più recenti è quella romana del 1921 per il cinquantenario di Roma capitale, invitato tra gli ultimi divisionisti viventi. Ma Longoni non vuole più esporre. Dal 1927 il Sindacato regionale fascista di belle arti stravolge le regole delle esposizioni braidensi, e nel 1928Longoni rifiuta l’ultimo invito alla Biennale di Venezia. Anche il collezionismo sta cambiando: il maestro resta estraneo agli interessi del collezionista di Ottocento italiano formatosi negli anni Venti, attento al mercato delle aste, abile negli scambi e non più in diretto contatto con gli artisti. Longoni stesso tenta sino alla fine della sua vita di tenere sotto controllo il collocamento dei suoi dipinti e così farà la vedova alla sua morte. Ne consegue che l’artista sia conosciuto solo in un ambito di ristretto, raffinato collezionismo. 
Alla fine degli anni Venti si presentano i primi sintomi della malattia e Longoni e Fiorenza si sposano. Dipinge sino agli ultimi giorni della sua vita. Il paesaggio è ormai del tutto smaterializzato, si moltiplicano gli effetti di atmosfere dense, in cui la luce filtra a fatica rendendo imprecisi i volumi e le forme. I risultati sono di altissimo livello pittorico, e unici nel panorama della pittura internazionale del tempo.

All’evoluzione del linguaggio pittorico corrisponde, come sempre, un personalissimo adeguamento sperimentale della tecnica riuscendo, con l’ausilio di un procedimento tradizionalmente riservato ai restauratori trasformato in uno straordinario strumento del suo linguaggio poetico, a fondere i colori puri e divisi, in un linguaggio di pura luce.
Ai rari visitatori che accoglie nel suo studio, l’artista confessa che i suoi quadri non sono mai finiti: continua a elaborarli, tocco dopo tocco, per moltissimo tempo, ossessionato dalla profondità della visione. Ripete che bisognava andare oltre la tela, immaginare di essere nel paesaggio, al di là della superficie dipinta. 
Longoni porta, da solo, alle estreme conseguenze – sono infatti nel frattempo scomparsi Segantini, Pellizza, Sottocornola, Previati, è emigrato Pusterla, ha abbandonato l’attività Grubicy – quelle esperienze – verismo e divisionismo – che avevano avuto una comune matrice teorica.
Nel giugno del 1932 le condizioni di salute dell’artista si aggravano, muore a Milano il 29 novembre dello stesso anno. E’ sepolto al Cimitero Monumentale, accanto a Fiorenza.

 

(Biografia tratta dal saggio introduttivo di Giovanna Ginex nel Catalogo Ragionato di Emilio Longoni, edito da Federico Motta nel 1995)

INFORMAZIONI UTILI

Titolo: Emilio Longoni. 2 Collezioni

Curatrice: Giovanna Ginex

Sede: Galleria d’Arte Moderna – Via Palestro 16, Milano

Date: Dal 22 ottobre 2009 al 31 gennaio 2010

Orari: Tutti i giorni 9.00-13.00 e 14.00-17.30. Lunedì chiuso

Info – GAM: tel. 02.76340809 – 02 76004275
Ingresso gratuito

Catalogo edito da Skira

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