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Contemporanei italiani

Giuseppe Veneziano (al centro) davanti alla sua "Fallaci decapitata"
UN VENEZIANO IN SICILIA
Giuseppe Veneziano (al centro) davanti alla sua "Fallaci decapitata"

Altro che miracolo a Palermo. C’è (forse) bisogno di un esercito di Sante Lucie per ridare gli occhi agli orbi? Venerdì 9 gennaio sull’edizione palermitana di “Repubblica” un articolo di Paola Nicita dal titolo “I sei pittori siciliani che saranno famosi” fa un elogio a tutto campo dei nomi che saltano fuori da “Laboratorio Italia. Nuove tendenze in pittura” (anno 2007, casa editrice Johan & Levi). Un testo di Ivan Quaroni sulle “nuove” leve del panorama figurativo nazionale che, a guardare bene in giro, appaiono piuttosto vecchie e pedanti specie se ci si sofferma con attenzione sul “caso Giuseppe Veneziano”. Copia nostrana della pittura di quell’americano di nome Jeff Koons che per diventare famoso è dovuto ricorrere, oltre alle provocazioni, ad un’ampia gamma di tecniche e all’utilizzo di differenti materiali tra cui plastica, marmo, gonfiabili, metalli, ceramiche e vari altri artefici. Con opere, per inciso, pensate da Lui ma realizzate dallo staff dei suoi valenti collaboratori. A quanto pare in Italia la strada del successo cerca disperatamente la via dei saldi. Ci si ritrova così (sulle pagine palermitani di un quotidiano come “Repubblica”) a leggere di opere demenziali e fumettistiche elevate a pittura. Quasi se bastasse fare scandalo e provocazione nella scelta dei soggetti da raffigurare -rimanendo ancorati a tecniche proprie dell’illustrazione e fortemente datate- per entrare nell’ambito della ricerca artistica. Nelle opere di Veneziano, acrilici e tinte piatte  riempiono gli spazi di ombre artificiali. Una formuletta imparata a memoria e ripetuta all’infinito.

Per far parlare di sé, come giustamente ricorda la mesta Nicita, Veneziano (nato a Mazzarino, Caltanissetta, nel 1971) espose nel 2005 inuna sua mostra un ritratto di Oriana Fallaci decapitata “suscitando scandalo e condanne” presso un pubblico bigotto convinto che l’arte contemporanea coincida tout-court con l’incomprensibile o il provocatorio. Un pubblico che –grazie anche a presentazioni mediocri e approssimative- non si è mai chiesto se il siculo veneziano potesse realmente fregiarsi del titolo di artista. Per non dire di quello di pittore.

La giornalista, definisce le illustrazioni di Veneziano “cronache d’arte” come se Lenin (protagonista dell’opera “a Rivoluzione d’agosto”) o Hitler (“Il segreto di Hitler”, 2007) fossero personaggi contemporanei citati dalla cronaca, o Superman (“Ideali da Supermarket”) e Candy Candy nuovi eroi dei cartoni animati. Eppure Nicita, forse inebriata dall’ennesimo bicchiere di Passito di Pantelleria, definisce i lavori del furbetto in questione “notizie tradotte con una pittura essenziale”. Tanto essenziale che pare assente. A dire il vero uno sforzo questo presunto artista l’ha fatto: in una sua illustrazione ha genialmente pensato di impiccare Maurizio Cattelan appendendo poi la sua tela ad un albero. E si è fatto fotografare insieme a lui. Ottenendo la copertina di Flash Art, grazie all’eccitabilissimo Politi che forse dovrebbe un po’ anche “imparare a vedere” oltre che (come riesce bene) provocare. Il Cattelan di Veneziano sembra una misera iperbole del celebre “Las Meninas “ di Velazquez. Ma l’impiccagione del Cattelan impiccante appare nel complesso un’idea insulsa e per giunta declinata con una stesura pittorica senza senso. E soprattutto priva di gusto.

Ma Giuseppe ha capito che per far parlare di sé bisogna uccidere i grandi. E’ vero, lo fece anche Robert Rauschenberg con Willem de Kooning, ma con quale intensità e grazia! Altro che tavolozze da Upim e pennellate da voltastomaco.

Che dire, il mondo va così. Basta fare “notizia” e breccia nei cuori dei giornalisti e dei critici più orbi ma sulla cresta dell’onda. Veicolare messaggi forti, cercare, come dice lui, di “smascherare le verità camuffate dai media” senza badare troppo alla forma e ai materiali. Alla fine basta essere nel sistema dei media potenti ma ignoranti. Proprio dal marcio che Veneziano vuole raccontare e “smascherare”, egli ha imparato più che a emergere a stare a galla. E’ uscito con un servizio di ben quattro pagine sul numero di dicembre ‘07 del blasonato Arte (Cairo Editore), il sogno di tutti i suoi contemporanei un po’ più sfigati d’Italia, a firma di Alessandra Redaelli (un’altra cultrice della buona pittura). I testi critici su di lui sono stati (ben pagati) e scritti da Chiara Canali, Ivan Quaroni  e, addirittura, da Luca Beatrice, curatore del padiglione italiano alla prossima Biennale veneziana. Il quale, furbissimo, se l’è cavata egregiamente scrivendo: “E’ l’assalto alla diligenza degli outsider che forse non sono ancora pronti ad abbattere il sistema, ma tirare qualche calcio nel culo, quello sì..”        

Quando la giornalista di Repubblica scrive “la pittura della giovane Italia parla un po’ siciliano” verrebbe da risponderle “magari!”. Di siciliano le opere di Veneziano non hanno proprio nulla. La sua è un’espressione snaturata. Lontana anche dalla sua terra. Il suo linguaggio è un surrogato a basso costo del vecchio stile pop americano. Ma in Italia –da sempre- siamo troppo abituati a caviale di prima scelta per accontentarci di plasticose uova di lompo super-colorate acquistate nei supermercati. Eppure oggi il contemporaneo è anche un po’ questo: l’omologazione degli artisti che producono opere con lo stampino. Mere macchine guidate dal mercato. Attingono lo stile da prodotti già pronti e confezionati e lo riproducono ad oltranza.

Caro Veneziano, non me ne volere. A tesser le lodi ci pensano tutti ma io, il cappello, non me lo tolgo. Il mio giudizio, in fondo, non sarà mai tanto incisivo quanto quello del mercato. Per non parlare dei posteri che credo dimenticheranno insieme alle tue opere anche questa mia velenosa paginetta. Prosit.

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