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LA SETTIMANA DI ASTE LONDINESE E IL PROVINCIALISMO ITALIANO

Christie’s e Sotheby’s, dopo New York, hanno fatto un altro bottino. Ma quali sono state le indicazioni fornite da questo palcoscenico di eccellenza? La prima annotazione è che, a differenza delle vendite newyorchesi, a Londra i dipinti impressionisti e moderni (si intende soprattutto quelli di fine Ottocento e del Novecento sino alla metà) hanno incassato più che le opere d’arte contemporanea. I due Claude Monet, uno di Christies e uno di Sotheby’s sono stati entrambi aggiudicati (il primo a circa 18 il secondo a 18,5 milioni di sterline). Dunque la vecchia Europa sembra ancora legata alla tradizione, alla cultura di un mercato dell’arte legato per antonomasia più al concetto di solidità che a quello del rischio. In realtà i risultati delle vendite di Impressionist & Modern Art mostrano nuovi record per autori pienamente novecenteschi (come d’altro canto è accaduto per i nostri Morandi e Magnelli). Mentre sul versante della Contemporary Art le aste londinesi appena svoltesi hanno incoronato, se ce n’era bisogno, Damien Hirst. Reduce fresco dall’esibizione del teschio incastonato di diamanti, l’ex cattivo ragazzo della British School è ora di fatto l’artista vivente più pagato al mondo. Grazie ai 9,6 milioni di pound sborsati per il suo mega armadietto zeppo di sculturine a mo’ di pasticche medicinali. Per farvi un’idea più precisa di tutto quello che è accaduto andate pure alle pagine dei “risultati” e dei “record”. Sempre aggiornatissimi dalla nostra redazione. L’aspetto che qui volevo sottolineare è un altro. Ossia che man mano che passa il tempo il nostro Paese resta sempre più emarginato dai circuiti internazionali d’arte che contano. Per i curatori e gli opinionisti internazionali l’Italia resta semplicemente un territorio di conquista, quando si tratta di curare una Biennale o una mostra con i fiocchi (per altro rare). Per il resto è out. Da noi critici, mercanti, artisti, giornalisti ed editori specializzati non fanno altro che disquisire sull’aria fritta. E litigare tra loro. Varrà di più l’arte concettuale o la pittura? Qual è la strada da percorrere per nuove ricerche estetiche? La vecchia Public Art, la nuova video-art o l’antichissima scultura? Così, mentre tutti parlano su tutti (male), dal resto del mondo continuano a prenderci in giro. Come mai, altrimenti, nelle vendite internazionali gli artisti emergenti che compaiono nei cataloghi delle aste non sono quasi mai italiani? E, se ci fate caso, quei pochi che lo sono di fatto non vivono più da molti anni da queste parti. Qualcuno potrà pure pensare si tratti soltanto di pura speculazione. Che il pallino è nelle mani del management delle major mondiali del mercato. Ma anche se così fosse poco importa. Gli appassionati, i collezionisti, gli studiosi, finanche i semplici investitori è a quei cataloghi che guardano. E non per semplice cortigianeria o stupida moda. Se osservate la storia delle vendite all’asta negli ultimi centocinquant’anni capirete che la maggior parte dei grandi artisti (da Monet a Picasso, da de Kooning a Basquiat) sono divenuti celebri in tutto il mondo grazie a questo circuito. O comunque hanno amplificato a dismisura il peso delle loro ricerche. Perchè allora noi continuiamo a non capire questa semplicissima verità? Perchè ostiniamo a crederci grandi artisti, sommi critici, bravi opinionisti quando di fatto contiamo poco o nulla. Provate a chiedere a Christie’s o a Sotheby’s quanti italiani hanno nei loro riservatissimi file di opinion-connoisseur-vip! Sino a qualche anno or sono pensavo che le cause risiedessero nell’obsoleta nostra cultura, sia relativa al concetto di mercato dell’arte e alla legislazione conseguente, che alle filanti ombre dell’idealismo crociano che ha contaminato e ancora troppo contamina la visione del mondo della nostra classe intellettuale dedita alle questioni dell’arte. Ora mi sto convincendo ci sia qualcosa di più. Una sorta di provincialismo e di deficit genetico molto più profondo di quel che a prima vista non appare. Ed è questo tipo di oscurantismo, di cecità, di ignoranza -collettiva e un po’ di noi tutti italiani appassionati d’arte- che è giunto il momento di smascherare e di combattere. Siamo ormai vicini al punto di non ritorno. Dobbiamo farlo. In fretta

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