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Così simili, così diversi. Fratelli metafisici, De Chirico e Savinio a confronto alla Villa dei Capolavori

De Chirico Savinio, Fondazione Magnani-Rocca 2019, Giorgio de Chirico, Cavalli in riva al mare (Les deux chevaux), 1926 *
De Chirico Savinio, Fondazione Magnani-Rocca 2019, Giorgio de Chirico, Cavalli in riva al mare (Les deux chevaux), 1926
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Mito e romanticismo. Parigi e la Grecia. Metafisica e surrealismo. Giorgio de Chirico e Alberto Savinio. Due fratelli a confronto, tra somiglianze e differenze. Dal 16 marzo al 30 giugno alla Fondazione Magnani-Rocca di Mamiano di Traverstolo (Parma).

Centauri, cavalli, manichini. Re e Re Magi. Uomini senza volto e surreali tombe di folli poliedri ammassati in riva al mare popolano (temporaneamente) le stanze della Villa dei Capolavori, nella campagna parmense (Mamiano di Traversetolo per la precisione). Per tutta l’estate, fino al 30 giugno. Figurine surreali messe in scena da loro, De Chirico e Savinio, una delle coppie di fratelli d’arte più celebri del Novecento, così simili e al tempo stesso così diversi. Concettuale l’uno, ironico l’altro. Giorgio serio, Alberto dissacrante. La Fondazione Magnani-Rocca, tempio dell’arte moderna e non solo, ospita un confronto serrato tra due artisti che, con le proprio opere e teorie, hanno gettato le basi della pittura metafisica, uno dei movimenti d’avanguardia più importanti del secolo scorso. Otto le sezioni in cui la mostra si articola, ognuna dedicata a un tema con cui entrambi gli artisti si sono confrontati durante la loro carriera -il mito, la Grecia, la città, i suoi abitanti, cavalli e centauri, la natura morta, il ritratto e il teatro-. Due strade che si incontrano e si distanziano a intervalli irregolari quelle di Giorgio e Alberto de Chirico, diventato Savinio quando prende in mano il pennello. Un gioco di citazioni e divergenze, sempre orchestrato da un confronto serrato tra quel fratello maggiore che fin dall’adolescenza si è dedicato alla pittura, e il fratello minore, più piccolo di tre anni, che approda all’arte dopo un iniziale esordio come scrittore e musicista. Sarà proprio nei suoi testi che per la prima volta comparirà l’uomo senza volto poi tradotto in immagine dal fratello. La nascita degli iconici manichini, tema per eccellenza del movimento metafisico, si deve dunque tanto a de Chirico, che dipingendoli ne ha reso grande la fama, quanto a Savinio, che ne ha dato la prima teorizzazione scritta.

Il sodalizio artistico tra i due va in scena a Parigi, dove avevano già vissuto insieme alla madre prima della Grande Guerra, quando però era solo Giorgio ad occuparsi di tele e colori. Savinio vi fa ritorno nel 1926, nel pieno del fermento artistico che sarà la fucina di avanguardie letterarie e artistiche. La fama di de Chirico è in continua ascesa e il suo stile si va definendo, segnato dal passaggio dalle fredde architetture delle città deserte alla dolcezza dei paesaggi mediterranei abitati da elementi naturali e statue classiche. Giorgio è il primo a cui il fratello mostra i suoi primi esperimenti pittorici, che si concretizzeranno poi in uno stile nuovo e personale, a tratti anche lontano da quello di de Chirico.

De Chirico Savinio, Fondazione Magnani-Rocca 2019, Alberto Savinio, I remagi (Les Rois Mages), 1929
Alberto Savinio, I Remagi (Les Rois Mages), 1929

Il miscuglio culturale di cui i due pittori sono figli emerge chiaramente nell’arte di entrambi. Dopo un’infanzia passata in Grecia, alla morte del padre i de Chirico si trasferiscono in Germania con la madre. La terra natia diventa per entrambi un tenero ricordo, la cui immagine è velata dalla malinconia di una partenza che non avrà ritorno. Sulla tela compare una Grecia che non è solo culla dei due fratelli, ma di un’intera civiltà, del pensiero politico e filosofico, dell’arte e della scienza. Il mito, a cui è dedicata la prima sezione della mostra, diventa il mezzo scelto per dar voce ai temi e ai drammi dell’uomo e della società contemporanea. Simili possono sembrare i soggetti e lo stile, ma l’approccio dei due è completamente diverso. De Chirico serio e razionale, Savinio irriverente e fantasioso. Alberto riprende il mito in modo quasi parodistico, coronando i corpi muscolosi di dei ed eroi sono con minuscole testoline. Interessato allo studio dei vari tipi di carattere, arriva a creare personaggi a metà tra uomo e bestia, ibridi le cui fattezze animali diventano simbolo della personalità del soggetto.

L’inventario di simboli e citazioni mitologiche giunge al culmine con un confronto pittorico tra i fratelli e Böcklin, gigante dell’arte simbolista. La versione del mito di Prometeo dell’artista svizzero diventa esplicito modello di uno dei primi quadri di de Chirico (1909), che riprende il tema e l’iconografia del dipinto, in cui la figura del titano si distingue a fatica dal cupo paesaggio che domina la tela. A distanza di 20 anni dal fratello (1929), anche Savinio affronta il tema di Prometeo, giungendo però a un risultato completamente diverso da quelli dei suoi predecessori. Sotto un cielo invaso da un’accozzaglia di forme -simbolo del fuoco donato agli uomini- si staglia una figura tanto possente quanto impacciata, sormontata da un piccolo ovale che funge da testa. Le tre opere dialogano tra loro per la prima volta in assoluto, permettendo una riflessione su quelli che sono stati i modelli ispiratori su cui i due fratelli hanno lavorato e si sono confrontati.

Giorgio de Chirico, Piazza d'Italia, 1949, De Chirico Savinio, Fondazione Magnani-Rocca 2019
Giorgio de Chirico, Piazza d’Italia, 1949

Accanto a centauri e cavalli, frutto del substrato greco e mediterraneo che accompagna gli artisti, si stagliano le immagini dei paesaggi cittadini. Se per Savinio la città è un’enorme macchina che cresce fino a collassare su se stessa, in cui i volumi impazziti sono inframezzati da radi elementi naturali, diversa è la visione che ne da de Chirico. I paesaggi urbani sono il fondale in cui va in scena quella malinconia tipica dei giorni d’autunno decantata da Nietzsche. Le ombre si allungano e il silenzio cala in una città deserta, in cui il pittore sembra l’unica presenza, un veggente il cui compito è documentare questa dimensione eterea permeata da un enigma eterno. Nelle opere di de Chirico apollineo e dionisiaco si rincorrono e si fondono, in un gioco di forza che riprende la lotta parallela tra la cultura greca e il romanticismo tedesco per la conquista della tela.

Alberto Savinio, Tombeau d’un roi maure, 1929, De Chirico e Savinio, Fondazione Magnani Rocca 2019
Alberto Savinio, Tombeau d’un roi maure, 1929

Il confronto continua con il tema della natura morta e del ritratto -che permette di ricostruire una sorta di albero genealogico della famiglia e degli affetti dei due-, per concludersi infine con una sezione dedicata ai bozzetti realizzati da entrambi per diverse produzioni teatrali, che è possibile ammirare grazie a un generoso prestito degli archivi del Teatro alla Scala.

*Giorgio de Chirico, Cavalli in riva al mare (Les deux chevaux), 1926

Informazioni utili 

De Chirico e Savinio. Una mitologia moderna

Fondazione Magnani-Rocca, via Fondazione Magnani-Rocca, Mamiano di Traversetolo (Parma)

Dal 16 marzo al 30 giugno 2019

Da martedì a venerdì, 10.00 – 18.00

sabato e domenica 10.00 – 19.00

 

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