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Corporeità, temporalità, dimensione sensoriale. The Cleaner, il corpo immateriale di Marina Abramović

Marina Abramović, The Cleaner Marina Abramović, The Cleaner
Marina Abramović, The Cleaner
Marina Abramović, The Cleaner

Continua ad affascinare la mostra di Marina Abramović, The Cleaner, inaugurata il 21 settembre, inserendosi con forza nello spazio rinascimentale di Palazzo Strozzi a Firenze. La grande retrospettiva, curata da Arturo Galansino, raccoglie più di 100 opere realizzate dagli anni Sessanta a oggi.

La corporeità, la temporalità e la dimensione sensoriale divengono gli strumenti di un’insolita ricerca artistica.

L’elemento corporeo si presenta come canale di conoscenza dell’esterno e di se stessi; il tempo si dilata e le performance durano ore, giorni, protraendosi potenzialmente “all’infinito”; la ricerca del silenzio è resa impossibile dalla forte sensorialità di urla, lamentele e violenti impatti fisici.

Il corpo, protagonista indiscusso di queste performance, si mostra spesso nella sua condizione più naturale e sincera, la nudità. Come in Imponderabilia, performance in cui lo stretto passaggio tra due corpi nudi crea un imbarazzante gioco di sguardi mettendo in soggezione il fruitore. Il comportamento umano è determinato dalla predominanza di elementi imponderabili al di là della sensibilità estetica.

Marina Abramović, The Cleaner
Marina Abramović, The Cleaner

Si esplora il potenziale, tutto ciò che possa andare oltre il limite, del tempo, dello spazio, del tollerabile fisicamente/corporalmente.

La serie Relation dà forma alla simbiosi dualee allo stesso tempo unitaria di Marina Abramović e del suo compagno Ulay, unione simbolicamente rappresentata, in Relation in time, da un nodo che lega i loro lunghi capelli. Le performance, ipnotiche e isterizzanti, mettono in scena una creatura a due teste. La fusione sensoriale/corporea e spirituale si realizza in un crescendo ritmato di urla, schiaffi e respiri. Tutto comincia nel silenzio, sotto lo sguardo duplice e univoco dei due amanti, nell’attesa dell’evento.

Perché questo è la Performance Art: il farsi evento dell’opera d’arte.

Marina Abramović, The Cleaner
Marina Abramović, The Cleaner

Da qui l’incoerenza con il mezzo di diffusione obbligatoriamente scelto, il video, canale narrativo capace di ripetere all’infinito una storia, che contrasta con la natura stessa della performance, unica e irripetibile.

I vissuti, repressi e rimossi, di colui che agisce e di colui che osserva, vengono rievocati con forza e riemergono angoscianti a fior di pelle.

Nel carattere partecipativo delle performance i visitatori osservano e sono osservati, assistono e “sentono”, in una dimensione fortemente empatica.

Marina Abramović, The Cleaner
Marina Abramović, The Cleaner

Il rischio della morte e la paura del dolore respingono e attraggono in modo fatale.

Come in Rest Energy in cui Marina Abramovićtiene tra le mani un grande arco, la cui corda viene tesa daUlay con una freccia puntata verso il petto di lei. La tensione, palpabile e misurabile attraverso i battiti cardiaci dei due performer amplificati dai microfoni, rende insopportabile ed eterna l’attesa dei 4 minuti e 20 secondi.

Ben presto la ricerca di una corporeità ricca di Senso spinge l’Abramović a confrontarsi con altre culture in cui la spiritualità e l’immateriale prevalgono sulla corporeità. La presenza dell’uomo, prima violentemente fisica e corporea, diventa successivamente eterea, immateriale, fonte misteriosa di energia.

Le pratiche di meditazione, la cultura degli aborigeni australiani e dei monaci tibetani, portano l’artista a ricercare la fissità e l’immobilità del corpo, involucro dei movimenti dell’anima. Così in NightseaCrossing, una traversata nella notte dell’inconscio, alla ricerca dell’”invisibile”.

Protagonista della performance è il silenzio, presenza capace di rendere informe la materia.

È il 1988 quando Marina e Ulay separano le loro strade: nel silenzio di 90 giorni di cammino sulla muraglia cinese, al di sotto della quale giganteschi draghi magici comunicano la loro energia ai viandanti attraverso le piante dei piedi, avviene l’incontro che sancisce l’addio dei due amanti, in The Lovers.

I due vasi rossi, uno dalla superficie lucida che riflette la luce, l’altro dalla superficie opaca che l’assorbe, rappresentano ormai l’afasia, l’impossibilità di trovare un canale di comunicazione tra i due amanti.

Marina Abramović, The Cleaner
Marina Abramović, The Cleaner

Marina Abramović, ormai sola, comincia un percorso di redenzione e purificazione: in Cleaning The Mirror si confronta con uno scheletro umano in una sorta di rispecchiamento tra la vita e la morte, come accade in alcuni rituali tibetani.

Il silenzio è inesorabilmente interrotto dal rumore di una spazzola usata per pulire le ossa di un cadavere. La spazzola viene ripetutamente immersa nell’acqua e torna quindi a sporcare il cadavere. Imbrattata di morte, l’artista cerca disperatamente se stessa per tornare alla vita.

Il confronto con la morte torna nella performance, a lungo controversa, BalcanBaroque, premiata con il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia nel 1997. In quell’occasione l’Abramović trascorse sette ore al giorno, per quattro giorni, a sfregare ossa sanguinolente che marcivano e si riempivano di vermi. La performance, disgustosa e allo stesso tempo ipnotica, vuole essere un grido di protesta contro tutte le guerre, a partire da quelle balcaniche che colpirono la terra d’origine dell’artista.

Marina Abramović, The Cleaner
Marina Abramović, The Cleaner

Il cammino di purificazione psichica porta l’Abramović alla creazione di oggetti interattivi; grazie alle ricerche sulla medicina tibetana e cinese,l’artista scopre forti corrispondenze tra i minerali e le diverse parti del corpo umano: il quarzo e gli occhi, le punte di ametista e i denti del giudizio, il ferro il sangue, il rame i nervi. I Transitory Objects sottolineano un duplice aspetto: da un lato l’energia, che scaturisce nell’acquisizione di una consapevolezza contemplativa e ristoratrice, dall’altro l’aspetto transitorio di oggetti che vanno abbandonati, una volta raggiunta la consapevolezza desiderata. L’obiettivo paradossale è dunque il raggiungimento di un’arte senza oggetti.

La mostra si chiude con la celebre performance The Artist isPresent, realizzata al MoMa di New York nel 2010, durante la quale  l’Abramović ha fissato negli occhi ogni spettatore che decidesse di sedersi di fronte a lei. A detta dell’artista, questa performance l’ha cambiata profondamente, a dimostrazione del fatto, come dice lei stessa, che sia stato il suo lavoro a cambiare la sua vita e non l’opposto. Questa performance ha saputo invertire ruoli e identità mettendo a nudo l’interiorità di coloro che vi hanno preso parte. Il pubblico osserva se stesso e l’osservatore diventa osservato.

In quell’occasione l’arte ha permesso all’artista di rincontrare il suo compagno di una vita dopo quasi 30 anni: un breve tempo, interminabile e toccante, in uno scambio di sguardi profondi e commossi; dichiarazione quanto mai sincera di come l’arte possa unire nell’amore.

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