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Torna a splendere la Santa Caterina di Antonio Campi. La luce che ispirò Caravaggio in mostra al Museo Diocesano

Antonio Campi, Santa Caterina visitata in carcere dall’imperatrice Faustina, 1584
Antonio Campi, Santa Caterina visitata in carcere dall’imperatrice Faustina, 1584

Un secolo di buio, e di nuovo la luce. La Pala di Santa Maria degli Angeli di Milano, dipinta da Antonio Campi, raffigurante Santa Caterina visitata in carcere dall’imperatrice Faustina torna a splendere (dopo 5 mesi di lavoro) nei suoi contrasti chiaroscurali, giungendo per l’occasione -fino al 13 gennaio 2019- al Museo Diocesano prima di tornare nella sua collocazione originaria.

Risale al 1584 l’enorme tela (400×500 cm) realizzata dal maestro cremonese. L’opera faceva parte di un ciclo pittorico dedicato a Santa Caterina che comprendeva, oltre alla visita in carcere, anche la scena raffigurante il suo martirio. Entrambe le pale decoravano la cappella della famiglia della contessa Porzia Landi Gallarati nella quale si trovava anche quella teatrale di Gaudenzio Ferrari, oggi alla Pinacoteca di Brera. Il soggetto condensa due momenti distinti riportati da Jacopo da Varazze nella Legenda aurea -raccolta agiografica compilata tra il 1260 e il 1298- in cui vengono narrate le due visite alla Santa da parte dell’imperatrice Faustina e degli angeli. Faustina era la moglie di Massenzio, l’imperatore che si autoproclamò nel 306 d.c. e che fece rinchiudere in carcere la giovane Caterina poiché aveva cercato di convertirlo. Una notte, però, l’imperatrice, accompagnata dal capitano della guardia Porfirio e dal suo seguito, andò a visitare la Santa. Questi rimasero folgorati dalla luce sovrannaturale emanata dagli angeli e si convertirono al cristianesimo.

Raffaello, Liberazione di San Pietro, 1513-1514. Stanza di Eliodoro (Stanze Vaticane)

La cifra stilistica che contraddistingue la tela è la minuziosa resa dei particolari e soprattutto l’uso straordinario e innovativo della luce. L’opera nella sua primogenita collocazione era posizionata a 1,30 metri di altezza e nonostante Antonio Campi ne fosse consapevole sin dall’inizio del lavoro mostrò tutta la sua maestria dedita ai dettagli: dalle vesti dei personaggi agli escrementi del cagnolino al centro in basso, dalla resa dei capelli dei due ragazzi che aprono la fila in direzione della Santa ai giochi di luce che orchestrano la dinamica all’interno della scena. A questo ultimo elemento, infatti, è dovuto il più grande riconoscimento. Nella tela sono presenti tre diverse fonti di luce, quella naturale della luna, quella artificiale delle lanterne e quella sovrannaturale degli angeli che folgora gli astanti. Il gioco luministico richiama la celebre Liberazione di San Pietro affrescata da Raffaello nel 1514 per la Stanza di Eliodoro (Stanze Vaticane) a cui sicuramente il Campi fece riferimento. A sua volta lo stesso gioco -come nota Roberto Longhi agli inizi del Novecento- venne ripreso come modello imprescindibile da Caravaggio:

«[…] non troveresti una composizione, una macchina luminosa dalla quale Caravaggio mostri di aver tratto suo pro più che da questa del Campi, e per due volte: prima, giovanissimo, nella Vocazione di San Matteo, più tardi, anzi da ultimo, nella Decollazione del Battista a Malta».
(Roberto Longhi, Questi caravaggeschi: I precedenti, 1928-29)

Dal primo piano, nel particolare delle ombre delle grate ribaltate sul pavimento, al lontano loggiato che si intravede sullo sfondo l’azione è attraversata da una linea immaginaria costituita dal gioco di mani che si sussegue e si intreccia. La teatralità della scena è arricchita dall’uso dei pigmenti sapientemente utilizzati e mescolati a seconda della quantità di luce che investe i personaggi -e che ha entusiasmato i chimici che hanno collaborato al lavoro-.

Il dettaglio più eloquente è la manica sinistra dell’imperatrice la cui resa è data dall’unione di tre colorazioni orientate sul blu -azzurrite come base, smaltino, blu di lapislazzuli- più i cristalli di malachite dall’inteso verde. Grazie al restauro, condotto da Delfina Fagnani, sono tornati visibili particolari oscurati dal tempo e dalla polvere come il secondo cane a destra dietro il ragazzo vestito di giallo, la dama con la lanterna in disparte rispetto alla scena principale e fonte di luce artificiale e, infine, le rifiniture delle architetture realizzate secondo le più ligie regole prospettiche.

Michelangelo Merisi detto Caravagiio, Vocazione di San Matteo, 1599-1600. Cappella Contarelli, San Luigi dei Francesi, Roma

La tela, sebbene identificata stilisticamente come pre-caravaggesca, si inserisce a pieno titolo nella pittura cinquecentesca per il puntuale disegno di impostazione e la ricca e varia cromia. Inoltre, per quanto riguarda l’iconografia, la scelta di inserire un soggetto religioso in un’ambientazione ricca di connotati legati al tempo presente del pittore è tipica del XVI secolo, sopratutto dopo gli anni ’70 del Cinquecento, in cui le esigenze della Controriforma richiedevano immediatezza del messaggio da veicolare. Santa Caterina visitata in carcere dall’imperatrice Faustina è una delle opere di Antonio Campi di cui sappiamo di più, sia grazie ai documenti d’archivio di Cremona di quegli anni, sia per le informazioni che lo stesso pittore apporta sulla parte inferiore della tela: data, firma e una simpatica allusione al “fecit” latino che si trova proprio sotto gli escrementi del cagnolino che scodinzola ai piedi dell’imperatrice.

Michelangelo Merisi detto Caravaggio, Decollazione di San Giovanni Battista, 1608. Oratorio di San Giovanni Battista dei Cavalieri, Concattedrale di San Giovanni, La Valletta

Informazioni utili

Antonio Campi. Il restauro della Pala di Santa Maria degli Angeli a Milano
Museo Diocesano Carlo Maria Martini (ingresso da piazza Sant’Eustorgio 3)
30 novembre 2018 – 13 gennaio 2019

Da martedì a domenica dalle 10 alle 18, chiuso lunedì (eccetto festivi).
La biglietteria chiude alle ore 17.30.

Informazioni: tel. 02.89420019\02 89402671;
info.biglietteria@museodiocesano.it

www.chiostrisanteustorgio.it

Nuova luce per Antonio Campi. La Santa Caterina restaurata al Museo Diocesano di Milano

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