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Il futuro nel presente. Transumanesimo e Arte. Alla ricerca di una coscienza collettiva

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La nuova teoria del Transumanesimo apre inediti interrogativi su una presunta e futura coscienza collettiva della specie umana. Forse l’arte può aiutare a comprenderli meglio. Ecco alcuni spunti di riflessione

Che cos’è il transumanesimo? “Il transumanesimo è un movimento culturale che sostiene l’uso delle scoperte scientifiche e tecnologiche per aumentare le capacità fisiche e cognitive e migliorare quegli aspetti della condizione umana che sono considerati indesiderabili, come la malattia e l’invecchiamento, in vista anche di una possibile trasformazione post umana”. Come al solito Wikipedia è senza fronzoli.

Nel numero de La Letturadel 22 luglio scorso Chiara Valli e Donatella Di Cesare articolano un’interessante riflessione intorno a questa strana dottrina post new age. Il sommario del servizio è particolarmente incisivo: “Per natura siamo esseri imperfetti, macchine fragili. Abbiamo capacità cognitive circoscritte: perciò da sempre abbiamo inventato mezzi per non affaticarci, non sentire dolore, riparare tessuti e organi danneggiati, rallentare o fermare il decadimento. Ora questa logica viene portata all’estremo da chi si pone traguardi come il potenziamento intellettivo o addirittura l’immortalità cibernetica: è una prospettiva ambiziosa e affascinante che può lasciare sgomenti”.

LA FUTURA COSCIENZA COLLETTIVA
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A ben vedere però, tutta la teoria del transumanesimo ha anche a che fare con l’arte che si occupa del futuro e diviene particolarmente interessante quando illumina il suo fine. Quello di sciogliere il patologico narcisismo dei singoli nella domanda: “qual è la destinazione della specie?”. Voglio dire che se, per migliorarmi, prescindo dai pre-giudizi antichi e morali sulla contaminazione e l’ibridismo, allora inizio la creazione di un percorso verso una coscienza collettiva e universale, forse in qualche modo prefigurata da Google. Ciò che si compie infatti è una ricerca, una tensione utopica contro la morte, le malattie e il degrado, anche a costo di contaminare la natura umana con la tecnologia.

Il risultato che si ottiene è un corpo pluri-singolare, composto da “aggiunte miglioranti” al nostro sé. Un occhio artificiale senziente, una protesi o il “vissuto” stesso del mio smartphone come il prolungamento “efficace” dell’io (controllo a distanza, prevedo, espando il calcolo del mio intelletto), corrispondono alla costruzione di una specie post-umana, oltre l’homo sapiens. E’ un fatto. Ma dentro quale (inedita) coscienza critica io posso considerare e valutare la portata di questa trasmutazione? Ecco la radice del quesito. Il punto non è il corpo, seppure modificato e sempre modificabile, ma la coscienza che avrò di esso. Unendomi ad altro da me sarò costretto a partorire una coscienza oltre il mio sé. Quale sarà il senso di questa nuova coscienza modificata?

La prima osservazione conta sul fatto che questo tipo di neo-coscienza riguarda un vivere il proprio corpo ove (grazie alle modifiche o agli inserti) i problemi legati alle necessità materiali saranno ridotti. Le aggiunte o modifiche alla mia corporeità avvengono proprio in ragione del superamento di alcuni limiti. Che sono tutti materiali e sensibili. E’ vero che in futuro si sperimenteranno modifiche finalizzate al potenziamento della percezione o riflessione, ma il punto di non ritorno dall’umano sarà quando la contaminazione riguarderà non più la materia, o financo gli stati percettivi, ma l’allargamento e la modificazione della coscienza stessa. In questo senso già oggi alcune riflessioni e teorie sull’arte offrono ampi argomentazioni al riguardo.

L’ARTE COME PRIMA ESPERIENZA UNIVERSALEtransumanesimo

Nel 1910 e 1912, insieme all’amico critico Roger Fry, Clive Bell aveva organizzato a Londra due grandi mostre sul post-impressionismo. L’attenzione di pubblico e critica verso artisti come van Gogh, Gauguin o Cézanne non era predisposta al meglio in quegli anni.

Da un saggio critico sulla pittura di Cézanne (intitolato “Il nuovo Rinascimento”) deriva la prima edizione del 1914 di “Art”. Un vero e proprio manifesto, in cui Bell propone una teoria riguardo cosa sia e cosa significa l’arte visiva. Nigel Warburton -professore di filosofia in Gran Bretagna- nel suo saggio “La questione dell’arte” spiega che per Bell “alcuni oggetti, creati dalle mani dell’uomo, sono dotati |…| del potere di produrre un’emozione estetica in osservatori sensibili |…| Il potere di produrre un’emozione estetica è inerente alla forma significante, che è una combinazione di linee, forme e colori posti in relazione tra loro”.

Dieci anni dopo il nostro Roberto Longhi, nelle sue magistrali lezioni liceali svolte al liceo romano “Tasso” quando aveva solo ventiquattro anni, rifletteva che mentre noi “guardiamo il mondo, di solito, per le necessità pratiche che ci spingono a muoverci nello spazio, o tutt’al più per la rievocazione nostalgica di qualche istante della nostra vita sentimentale (tendenza poetica), il pittore invece vede il mondo da un punto di riguardo ben limitato e intenso, ch’è poi il suo modo pittorico di vedere e a qual modo riduce inevitabilmente il caos sterminato della realtà visiva”. Bene, per le medesime ragioni, spiega Warburton, secondo Clive Bell “L’arte, dunque, non riguarda la vita, anche quando sembra che sia così. La sola conoscenza rilevante che l’osservatore deve possedere è un senso della forma, del colore e dello spazio”.

Ossia “certi dipinti possono essere belli anche se rappresentano persone o fatti brutti: certe immagini visive possono essere belle anche se non rappresentano proprio nulla”. Per Bell dunque l’emozione estetica non appartiene alla vita sensibile tout court ma è qualcosa di più profondo. Egli suggerisce che la “forma significante” sia in grado di fornirci uno sguardo sulla struttura del mondo quale realmente è, “uno sguardo oltre il velo delle apparenze”. In questo senso, sottolinea Warburton, Bell “si avvicina molto all’idea di Arthur Schopenauer secondo la quale le opere d’arte, e in particolare quelle musicali ci possono fornire una comprensione della natura ultima della realtà, conducendoci molto più in profondità rispetto al livello superficiale della pura apparenza”. Sin qui, penserete, nulla più che una semplice “Ipotesi metafisica”, come appunto Bell intitola il capitolo del suo saggio in cui si addentra in questo suggestivi pensieri.

Che c’entra allora tutto questo con il transumanesimo? E in particolare con il tema centrale della pre-visione di una coscienza collettiva, nascente dai futuri corpi uniti dalla tecnologia dell’ibridismo?

LE NUOVE PORTE DELLA PERCEZIONEtransumanesimo

Verso la metà degli anni Cinquanta del XX secolo il sociologo Aldous Huxley compie su stesso delle prove sperimentali che lo inducono a formulare una teoria sul tema della coscienza collettiva. Il testo da cui è possibile trarre l’esito di questi esperimenti è famosissimo e fu un cult tra i giovani anni Sessanta e Settanta. Si intitola “Le porte della percezione”, fu pubblicato nel 1954 e tradotto in italiano per i tipi della Arnoldo Mondadori nel 1958. La dedica iniziale riporta una frase del poeta inglese William Blake che dice “Se le porte della percezione fossero sgombrate, ogni cosa apparirebbe com’è, infinita”. Huxley decise, sotto controllo medico, di assumere della mescalina e descrivere questa esperienza.

Un giovane psichiatra Humphry Osmond lo convinse a questa sperimentazione. Nel 1952 Osmond e il suo collega John R. Smythies, che lavoravano nel St. George’s Hospital a Londra, scioccarono la comunità medica internazionale mettendo in evidenza la somiglianza tra la molecola della mescalina e quella dell’adrenalina e avanzarono l’ipotesi che la schizofrenia fosse causata dal rilascio nel cervello di un allucinogeno probabilmente derivato dall’adrenalina. Osmond e i suoi collaboratori  sostennero che nessuno avrebbe dovuto curare le persone affette da schizofrenia se non la avesse sperimentata personalmente. Pertanto, siccome, secondo il loro parere, l’uso della mescalina faceva vedere ad una persona sana il mondo come attraverso gli occhi di uno schizofrenico, consigliarono l’uso della mescalina ai medici e agli infermieri come strumento per capire meglio i loro pazienti. Tralasciamo gli esiti della letteratura scientifica e concentriamoci sugli esiti di questa coscienza alterata. E sulla tesi finale di Huxley.

L’ADENOCROMO E GLI ESPERIMENTI DI HUXLEYtransumanesimo

Ecco il resoconto dell’esperimento huxleyano. “E’ piacevole -chiese qualcuno”. “Ne’ piacevole ne’ spiacevole -risposi-. E’.”

Più avanti: “i rapporti di spazio avevano cessato di avere gran peso e la mia mente percepiva il mondo in termini diversi dalle categorie di spazio. In tempi normali l’occhio si interessa di problemi come Dove?, A quale distanza? Qual è la posizione in relazione a che cosa?”

Huxley si rende conto che “Nell’esperienza della mescalina le domande implicite alle quali l’occhio risponde sono di un altro ordine. Posto e distanza cessano di avere grande interesse. La mente percepisce in termini di intensità di esistenza, profondità di significato, relazioni entro uno schema. Io vedevo libri, ma non mi interessava affatto la loro posizione nello spazio. Ciò che notai, ciò che colpì la mia mente fu il fatto che tutti splendevano di luce viva e che in alcuni la gloria era più manifesta che in altri. Sotto questo aspetto, la posizione e le tre dimensioni erano fuori causa. Non è che, senza dubbio, la categoria di spazio fosse stata abolita (…). Lo spazio era sempre là, ma aveva cessato di predominare. La mente si interessava, soprattutto, non di misure e di collocazioni, ma di essere e di significato. E con l’indifferenza per lo spazio venne una indifferenza ancora più completa per il tempo. ‘Sembra che ve ne sia in gran quantità’ fu quanto risposi all’investigatore che mi chiese cosa provassi circa il tempo. Grande quantità, ma quanto esattamente, era del tutto irrilevante (…)”.

E ancora: “L’investigatore diresse la mia attenzione dai libri ai mobili (…). I tre pezzi formavano un intricato schema di orizzontali, verticali e diagonali (…). Tavolino, sedia e scrivania si unirono in una composizione che somigliava a qualcosa di Braque o di Juan Gris (…). Guardavo i miei mobili, non come l’utilitarista che deve sedere sulla sedia, scrivere alla scrivania e alla tavola, e non come il fotografo o lo scienziato che registra, ma come l’esteta puro il cui interesse è solo per le forme e per i loro rapporti entro il campo visivo (…). Mentre guardavo, però, questa vista puramente estetica da cubista fu sostituita da ciò che posso descrivere soltanto come la visione sacra della realtà (…) ero tornato in un mondo dove tutto brillava di Luce Interiore, ed era infinito nel suo significato. Per esempio, le gambe di quella sedia, com’era miracolosa la loro lucida levigatura! Passai diversi minuti -o erano secoli?- non soltanto a fissare quelle gambe di bambù, ma essendo effettivamente quelle gambe o piuttosto essendo io stesso in loro; o per essere ancora più preciso (perché ‘Io’ non ero implicato nella questione, né in un certo senso lo erano ‘esse’) essendo il mio Non-io nel Non-io che era la sedia”.

Una preliminare osservazione porterebbe a dire che una produzione in eccesso di adenocromo (artificiale o naturale) sviluppa una percezione che pare incarnare la tesi di Clive Bell e Roberto Longhi. Ossia la capacità intrinseca della forma significante di offrire “uno sguardo oltre il velo delle apparenze”.

 

LA TEORIA BERGSONIANA DELL’INTELLETTO IN GENERE

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Umberto Boccioni, Visioni simultanee, oil on canvas, 60.5 × 60.5 cm, Von der Heydt Museum

Huxley è molto colpito da questa esperienza e, una volta terminata, cerca in qualche modo di elaborare intellettualmente ciò che ha provato.

“Riflettendo sulla mia esperienza -scrive- mi trovai d’accordo con l’eminente filosofo di Cambridge dottor C.D. Broad” il quale sosteneva che “faremmo bene a considerare molto più seriamente di quanto finora siamo stati indotti a fare, il tipo di teoria che Henri Bergson espose relativamente alla memoria e alla percezione dei sensi.

L’ipotesi bergsoniana è che la funzione del cervello e del sistema nervoso e degli organi dei sensi sia principalmente eliminativa e non produttiva. Chiunque è capace in ogni momento di ricordare ciò che gli è accaduto e di percepire tutto ciò che accade dovunque nell’universo. La funzione del cervello e del sistema nervoso è di proteggerci contro il pericolo di essere sopraffatti e confusi da questa massa di conoscenza in gran parte inutile e irrilevante, cacciando via la maggior parte di ciò che altrimenti percepiremmo o ricorderemmo in ogni momento, e lasciando solo quella piccolissima e particolare selezione che ha probabilità di essere utile in pratica”.

Secondo questa singolare teoria, prosegue Huxley, “ciascuno di noi è l’Intelletto in Genere. Ma in quanto animali, è nostro compito sopravvivere a ogni costo (…). La maggior parte della gente, per la maggior parte del tempo, conosce soltanto ciò che passa attraverso la valvola di riduzione e viene consacrato come genuinamente reale dal linguaggio del luogo. Alcune persone, tuttavia, sembrano nate con una specie di scorciatoia che evita la valvola di riduzione. In altre, temporanee scorciatoie possono essere ottenute (…). Attraverso queste scorciatoie permanenti o temporanee passa, non la percezione di tutto ciò che avviene dovunque nell’universo (poiché la scorciatoia non abolisce la valvola di riduzione che ancora esclude il contenuto totale dell’Intelletto in Genere), ma qualcosa di più, e soprattutto qualcosa di diverso dal materiale utilitario accuratamente scelto che le nostre ristrette menti individuali considerano come il completo o per lo meno sufficiente quadro della realtà”.

Aumentando la visione globale nella percezione, nota Huxley, si abbassa contemporaneamente il senso della volontà. Con l’assunzione della mescalina sembrerebbe che alcuni enzimi che regolano la fornitura di glucosio alle cellule del cervello vengano inibiti. “Quando il cervello lavora a zucchero ridotto, l’io denutrito si indebolisce, non si può preoccupare di intraprendere le azioni necessarie, e perde tutto l’interesse in quei rapporti di spazio e di tempo che significano tanto per un organismo soggetto a mantenersi nel mondo.

Quando l’Intelletto in Genere cola in fretta nella valvola non più permeabile, ogni specie di cose biologicamente inutili cominciano ad accadere. In alcuni casi vi possono essere percezioni extrasensorie. Altre persone scoprono un mondo di irreale bellezza. Ad altri inoltre si rivela la gloria e l’infinito valore e significato dell’esistenza nuda, dell’avvenimento dato e non concettizzato”. Tutto ciò sembra essere capitato, nella storia dell’umanità, ad alcuni santi e martiri o artisti. Altre persone, haimé,  da ciò hanno subito traumi psichici socialmente invalidanti come la schizofrenia o la tossicodipendenza. Ma questi sono problemi che non riguardano la presente analisi.

 

CONCLUSIONI

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René Magritte, The Treachery of Images, 1928-1929 Oil on canvas, 63.5 cm × 93.98 cm Los Angeles, County Museum of Art, Los Angeles, California

Ciò che a noi qui interessa è illuminare alcune zone sperimentali di accesso a questo tipo sconosciuto di coscienza collettiva e universale che necessariamente deriverà dai futuri corpi umani, ibridi e modificati. Il transumanesimo deve gioco forza cominciare sin da ora a porsi il fondamentale quesito sul tipo e sull’essenza di quest’inedita coscienza, derivante da una transumanità correlata alla tecnologia. Se mille persone hanno innesti controllabili a distanza da macchine sarà inevitabile pensare a una interconnessione tra loro. Fisica in un primo tempo. Ovviamente, quando tali interconnessioni si moltiplicheranno, genereranno dei riflessi percettivi correlati. Costruendo esperienze sensibili modificabili collettivamente.

Sì, forse Google è veramente la Vestale della futura e collettiva coscienza transumana. Ma il punto nevralgico -tutto da immaginare- non è la custodia del fuoco, compito sacro delle sacerdotesse antiche. Ma la natura stessa di quest’inedita e ancora sconosciuta fiamma.

 

 

 

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