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Jean-Michel Basquiat. A trent’anni dalla scomparsa, un ricordo di SAMO

Jean-Michel Basquiat - Untitled, 1981 The Eli and Edythe L. Broad Collection, Los Angeles © 2011 Jean-Michel Basquiat - Untitled, 1981 The Eli and Edythe L. Broad Collection, Los Angeles © 2011
Jean-Michel Basquiat
Jean-Michel Basquiat

A trent’anni dalla scomparsa, un ricordo di Jean-Michel Basquiat, uno dei più grandi esponenti del graffitismo americano. Incompreso e generalmente poco amato, nonostante le apparenze, se ne andò in solitudine, in compagnia di un’ultima dose d’eroina.

Roma. Dalle marchette nei vicoli dell’East Village a una brevissima liaison con Madonna, quando ancora nessuno dei due era arrivato alla fama; dai graffiti clandestini per le strade di New York, alla breve permanenza nella band Gray, al fianco dell’amico Vincent Gallo, un altro che avrebbe fatto strada. La vita di Jean-Michel Basquiat (1960-1988) è stata breve ma intensa, con eccessi d’ogni sorta, momenti d’abiezione e momenti di poesia, sempre all’insegna di un’arte viscerale, rabbiosa, a tratti rancorosa, eppure anche poetica, ma soprattutto sincera. Andy Warhol lo scopre per caso nel 1978, mentre vende cartoline da lui stesso illustrate; apprezza quel tratto ruvido, “naif”, e lo introduce nella scena artistica “che conta”.

La consacrazione arriva nel 1980, quando partecipa alla collettiva Times Square Show, sponsorizzata da Collaborative Projects Incorporated, mentre l’anno successivo prende parte alla retrospettiva New York/New Wave, insieme ad altri artisti come Robert Mapplethorpe, Keith Haring, Andy Warhol e Kenny Scharf. Nella New York degli yuppies così ben raccontata da Bret Easton Ellis e da Oliver Stone, Basquiat è un momento di rottura, la messa in discussione di un’America che non aveva ancora risolte le proprie contraddizioni. A cominciare dalla questione razziale, che aveva nella comunità afroamericana la vittima predestinata; e lui stesso ne faceva le spese, quando i taxisti si rifiutavano di prenderlo a bordo, anche quando era ormai diventato ricco e famoso. Il suo tratto primitivo, tribale, rabbioso, dà vita a figure che sono guerriglieri, a metà fra Malcolm X, Jesse Owens e Charlie Parker, inseriti in un contesto urbano sfumato nell’astrattismo, ma non per questo meno comprensibile.

Jean-Michel Basquiat - Untitled, 1981 The Eli and Edythe L. Broad Collection, Los Angeles © 2011
Jean-Michel Basquiat – Untitled, 1981 The Eli and Edythe L. Broad Collection, Los Angeles © 2011

Differentemente da Andy Warhol – del quale fu amico, e nei cui confronti conserverà sempre uno strano senso di subalternità -, la Pop Art di Basquiat non è patinata, non ha niente a che fare con lo star system; ha invece l’odore della strada, dei vicoli sporchi del Bronx, della solitudine. Un po’ come Hopper, ma con uno stile completamente diverso, fumettistico contaminato dal jazz, che era anche questo un modo per rivendicare le radici afroamericane. Attraverso quelle cromie accese, violente, è come se Basquiat, seguendo l’ideale scia del bebop di Parker, impiegasse nella linea cromatica soltanto gli intervalli più alti dei colori, anziché delle note, spingendo al limite quelle che era stata l’audacia di Matisse.

E quando i suoi quadri raggiunsero quotazioni milionarie, per mano di un mercato cui interessavano le opere e non la persona, Basquiat entra in crisi. Il successo gli appare una menzogna, acuisce quella fragilità che si porta dentro sin dalla difficile infanzia, e lo spinge a dissipare il denaro accumulato: i completi di Armani sporchi di vernice, utilizzati nel lavoro in atelier, divennero uno dei suoi simboli di riconoscimento. La solitudine in cui sprofonda, attorno al 1985 lo spinse nel baratro dell’eroina.

Jean-Michel Basquiat nel proprio atelier, 1983 © Roland Hagenberg
Jean-Michel Basquiat nel proprio atelier, 1983 © Roland Hagenberg

Di Basquiat si apprezzava il fenomeno dell’artista maledetto, ma in realtà lui era ben altro: un paladino della causa afroamericana, un attento osservatore di una società alienante e diseguale, troppo fragile, però, per far sentire con forza la sua voce. Le sue opere, pur vendute a cifre considerevoli, non furono mai completamente comprese, mai si volle vedere la disperata poesia che le accompagna, nessun critico si espresse sulla valenza loro valenza sociale. Probabilmente fu questa incomprensione a scoraggiare Basquiat, che forse sentì l’inutilità della propria arte. E invece, al pari di Raymond Carver (per coincidenza, scomparso il 2 agosto del 1988, appena dieci prima di lui), ha saputo raccontare il lato disperato degli Stati Uniti della scintillante epoca di Reagan. Con un carattere più forte, avrebbe probabilmente dato ancora di più. Ma non per questo possiamo oggi dimenticarlo, perché la sua arte è ancora profondamente attuale, e contiene una poesia che non morirà mai.

Jean-Michel Basquiat - Crowns, 1981
Jean-Michel Basquiat – Crowns, 1981
Jean-Michel Basquiat, Untitled (Ober), 1986. Mugrabi Collection
Jean-Michel Basquiat, Untitled (Ober), 1986. Mugrabi Collection
LOT 3
JEAN-MICHEL BASQUIAT
UNTITLED
Estimate 1,500,000 — 2,500,000 GBP
PRICE REALIZED: 3,892,250 GBP
LOT 33 B
Jean-Michel Basquiat (1960-1988)
Red Rabbit
acrylic and oilstick on canvas 64 x 69 in. (162.6 x 175.3 cm.)
ESTIMATE $5,000,000 – $7,000,000
PRICE REALIZED 6,612,500

LOT 8
Jean-Michel Basquiat (1960-1988)
Multiflavors
acrylic and oilstick on canvas with tied wood supports 60 ½ x 61in. (153.7 x 154.5cm.)
ESTIMATE £10,000,000 – £15,000,000 ($13,759,999 – $20,639,999)
PRICE REALIZED GBP 12,046,250
LOT 32
JEAN-MICHEL BASQUIAT
CABRA
Estimate 9,000,000 — 12,000,000 USD
PRICE REALIZED 10,953,500
Jean-Michel Basquiat
Jean-Michel Basquiat

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