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A Milano il Calabrone 2, per chi ama i sapori decisi

gli spaghetti alla chitarra gli spaghetti alla chitarra
gli spaghetti alla chitarra
gli spaghetti alla chitarra

A Milano, girando per ristoranti e trattorie, capita spessa d’imbattersi nell’esposizione orgogliosa dell’identità regionale: cucina siciliana, tipicità pugliesi, bovini piemontesi e vini rossi toscani, per poi scendere nel dettaglio fino alla sfogliatella napoletana e ai carciofi alla romana. Niente di più facile, turisti e buongustai ci hanno fatto l’abitudine.

Indubbiamente, in questa foresta urbana di segnali stradali, qualche indicazione inaspettata fa piacere: chi non sarebbe curioso di mangiare la zuppa della Valpelline (Val d’Aosta) in corso Sempione e i tubettini con le maruzzelle (Molise) in via Brera? Un’idea alternativa può essere quella di dedicarsi alla Calabria, nota per il mare di Tropea o di Cirò Marina, un po’ meno per le asprezze montane della Sila grande e della Sila piccola, pressoché ignota se non parliamo del Parco nazionale del Pollino. Si tratta di un’estesa area montuosa e boschiva suddivisa tra Basilicata e Calabria, d’inebriante bellezza, non foss’altro che per questo: gli insediamenti umani sono rari. Poca gente tra i piedi, pochi turisti, scarse possibilità di autodistruzione.

Da San Sosti, comune del Parco del Pollino, arriva fino a Milano Matteo Spinelli a portare una ventata di genuinità calabrese nei pressi della stazione di Lambrate, in via Muzio Scevola: il ristorante si chiama “Il Calabrone 2”, tra l’ironico e il tipico, ma vedremo che Matteo bada al sodo, più che a insegne ed etichette.

“Io parlerei di cucina mediterranea”, dice Matteo, “più che calabrese: della mia terra conserviamo la passione per i condimenti genuini ed i sapori decisi, e per qualche ingrediente unico ed inimitabile, come la ‘nduja, i pomodori secchi, i funghi del Parco (prodotti da Buscema Francesco Eredi, azienda di Crotone), la soppressata calabrese, i salumi di Suino nero di Calabria, la ricotta affumicata. E poi c’è la testa dura, quella non può mancare.”

la Tavolozza di Calabria
la Tavolozza di Calabria

L’elogio sorridente della cocciutaggine è un buon segnale: fa capire che Matteo Spinelli e Luciano Gallo, l’altro socio dell’impresa, riescono a distinguere i pregi dai difetti anche quando si guardano allo specchio.
La Tavolozza di Calabria (copyright Gabaldi) che apre la conversazione è l’antipasto tradizionale che servirebbero in ogni casa calabrese in cui si onori l’ospite, e oltre alle specialità di cui sopra comprende anche i peperoncini cruschi: questo contorno calabro-lucano, che sta vivendo un momento di meritata notorietà, si ottiene facendo essiccare gli ortaggi al sole, prima di farli saltare in padella. I peperoncini sono croccanti come chips, con una nota iniziale quasi dolce, e amarognoli nel finale: danno un calore insolito e rustico alla fase iniziale del pasto.
Come si farebbe in una casa ospitale, vado a dare un’occhiata alle cucine, dove lo chef Luciano Gallo sta facendo saltare gli spaghetti alla chitarra in una grande padella.

Lo chef Luciano Gallo
Lo chef Luciano Gallo

“Il concetto di casa e l’aggettivo casareccio”, continua Matteo, “sono centrali nel nostro ristorante, e ci hanno assicurato un buon flusso di clientela fin dal 2005, anno di apertura. Oggi più di ieri i clienti apprezzano la qualità e hanno imparato a riconoscerla: la gente viene qui anche perché le torte, gli spaghetti alla chitarra, il pane, la pizza li facciamo in casa, sempre, col lievito madre, e cerchiamo di valorizzare sapori robusti e tradizionali. Il nostro è un locale per feste in famiglia, per pranzi di lavoro e per cene tra amici- qui a Lambrate siamo fuori dai flussi turistici e, per scelta, dal ‘fighettismo’ milanese. Io e Luciano proponiamo una cucina calabrese che sa adattarsi alle esigenze di una metropoli dove si vive e si lavora da seduti: se dalle mie parti l’olio è abbondante, i grassi non mancano, il piccante lascia il segno, al “Calabrone 2” c’è un ripensamento di tutto questo in chiave più leggera, perché la cucina del contadino non si può riproporre tale e quale”.

Eppure gli spaghetti alla chitarra (abbondanti) con ‘nduja e ricotta affumicata riportano alla domenica del paesino collinare, grazie alla fragranza intensa di olio extravergine, al grasso di maiale stemperato nel piccante e all’affumicato gentile del formaggio fresco. Potrebbe essere proprio questo il sigillo identificativo dela cucina di Matteo e Luciano, ossia l’odore penetrante della festa in famiglia, che ti colpisce quando entri in una casa e subito percepisci, all’olfatto, che una grande tavolata ti sta aspettando. Chiamasi opulenza casareccia, da un lato, ma anche gusto deciso che lascia il segno nella memoria e diventa un’esperienza. Gusto deciso, giammai invadente, tiene a precisare Matteo Spinelli.

Propio come Volvito, il Cirò rosso classico superiore di Caparra & Siciliani che accompagna la chitarrata e le  melanzane alla parmigiana, dotato di un’aromaticità che richiama subito i fiori appassiti e la ciliegia matura, e in bocca è robusto, avvolgente, con un finale quasi sapido: non stanca e non aggredisce, nonostante i suoi quattordici gradi se ne possono bere un paio di bicchieri, a patto di non mettersi al volante subito dopo. In menù anche la pizza, il pesce e i crostacei: voci di corridoio sottolineano che i piatti tradizionali, come gli spaghetti allo scoglio e la frittura mista di pesce e verdurine, non tradiranno le aspettative. Si faranno ricordare, insomma, per freschezza delle materie prime e ottimo rapporto qualità-prezzo.

“Si riesce a farsi servire,” aggiunge Matteo, “una cena completa, bevande incluse, a quaranta euro. L’ambiente è informale, non abbiamo investito su arredamenti e interni alla moda, ma quanto a qualità e freschezza ci difendiamo più che bene.”

Ed è tale la convinzione di Matteo, da vera “testa dura” calabrese, che non si può proprio dissentire, specie dopo aver assaggiato: forse la cucina casareccia ha qualcosa di trascinante e di convincente in sé. Resta il fatto che la Calabria gastronomica a Milano appartiene ancora alla sfera dell’insolito, e pertanto vale la pena farsi un giro al “Calabrone 2” per distanziarsi un po’ dal fighettismo milanese imperante: si troverà una cucina tradizionale, di buon senso, che senza provocare l’indigestione ripropone i piatti della festa di paese, e riesce senz’altro ad arricchire il panorama gastronomico della metropoli lombarda.

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