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Costruzione del mistero. L’Astrattismo di Paul Klee a Monaco, fra Bauhaus e universo onirico

Paul Klee - Sguardo silenzioso, 1932 © Hickey-Robertson, Houston Paul Klee - Sguardo silenzioso, 1932 © Hickey-Robertson, Houston
Paul Klee - Sguardo silenzioso, 1932 © Hickey-Robertson, Houston
Paul Klee – Sguardo silenzioso, 1932 © Hickey-Robertson, Houston

Circa 150 opere, delle quali 130 in prestito, per una mostra pensata in esclusiva per la Pinakothek der Moderne. Dagli inizi venati di Simbolismo, passando per una breve frequentazione del Cubismo, fino ad arrivare agli anni all’interno del Bauhaus, il percorso dell’artista elvetico è raccontato dalla mostra Paul Klee. Costruzione del mistero, incentrata sulla sua produzione degli anni Venti. Fino al 10 giugno 2018. www.pinakothek.de

Monaco di Baviera. La quiete alpestre e idilliaca di Münchenbuchsee, nel cantone di Berna dove era nato nel 1879, doveva apparire soffocante al giovane pittore, che d’istinto decise di emigrare in Germania, e precisamente a Monaco di Baviera, all’epoca una delle capitali del movimento della Secessione. Paul Klee vi giunse nel 1898, stabilendosi a Schwabing, il quartiere degli artisti e all’Accademia di Belle Arti fu allievo di von Stuck, esponente del Simbolismo tedesco. E quello che avrebbe potuto rimanere un percorso pittorico figurativo in ambito secessionista, ebbe però una svolta decisiva nel 1911, a seguito dell’incontro con Auguste Macke, Franz Marc e Vasilij Kandinskij; quest’ultimo in particolare lo introdusse nel gruppo del Blaue Reiter prima, e del Bauhaus dopo.

Paul Klee - Dopo il disegno, 1919 © Zentrum Paul Klee, Bern, Bildarchiv
Paul Klee – Dopo il disegno, 1919 © Zentrum Paul Klee, Bern, Bildarchiv

Altrettanto importante era stato l’incontro a Parigi con Robert Delaunay, pittore cubista dalla tavolozza luminosa, che gli permise di conoscere da vicino anche quell’avanguardia. Infine, un viaggio in Tunisia nel 1914, al pari di quanto accaduto per gli orientalisti oltre mezzo secolo prima, gli fece raggiungere la completezza artistica; la particolare luce levantina gli fece capire l’importanza di una tavolozza luminosa, e lo guidò nell’uso del colore; come riportò lo stesso Klee nel suo diario: “Io e il colore siamo una cosa sola. Sono un pittore”. Come si vede, ebbe modo di costruire un percorso artistico traendo ispirazione da pittori e movimenti molto diversi fra loro, sugli insegnamenti dei quali riuscì a incastonare la sua scettica visione dell’umanità. Cresciuto nel momento della crisi del Positivismo e dell’angoscioso irrompere della modernità in un’Europa nazionalista che si preparava alla Grande Guerra, Klee fu uno spirito libero con una tenace fede nel potere dell’arte di e, in ultima analisi, di alleviare, almeno in un una certa misura, le sofferenze dell’umanità.

Paul Klee - Saluti, 1922 © Allen Phillips Wadsworth Atheneum
Paul Klee – Saluti, 1922 © Allen Phillips Wadsworth Atheneum

Gli inizi, nei primi anni del Novecento, avevano però risentito del clima difficile del periodo, e Klee si mosse all’interno delle riflessioni angosciose della Secessione; lo fece però a suo modo, con un segno già minimalista: l’Eroe alato (1905) riprende infatti l’atmosfera mitologica secessionista, ma la solennità di Klimt o von Stuck è scomparsa, perché riesca a fare di Icaro un antieroe, impossibilitato a volare perché dotato di una sola ala. E lo stesso volto è una maschera ghignante che tutto può comunicare, fuorché l’ascetica determinazione del Superuomo di Nietzsche.

La mostra bavarese racconta Klee visto come “artista pensante” che nei suoi dipinti esplora i confini del razionale e li trascende nella ricerca di una connessione con la dimensione onirica ed enigmatica, che già si ritrova nelle tele degli esordi, e in quelle degli anni dal 1914 al 1918, che aprono la strada all’Espressionismo Astratto. Tutto il percorso di Klee fu dedicato a trovare una risposta della creatività artistica all’avanzare della civiltà tecnologica, difendendo “a spada tratta” l’importanza dell’intuizione, della libera associazione di pensieri; infatti, pur frequentando l’ambiente del Bauhaus (fondato nel 1919), la sua visione artistica divergeva da quella di Walter Gropius e Hannes Meyer, entrambi fondatori e dirigenti della scuola del Bauhaus, i quali enfatizzavano la stretta connessione fra arte e tecnologia, con la prima che doveva essere specchio della seconda. Pur non allontanandosi dal Bauhaus dal punto di vista stilistico, Klee batteva un sentiero concettuale completamente diverso; la purezza geometrica della linea rimase un punto di riferimento, utilizzata però per composizioni dal sapore onirico, che creano affascinanti effetti di straniamento, un po’ come accade con le pitture di Chagall.

Paul Klee - Nave di avventurieri, 1927 © Bayerische Staatsgemäldesammlungen Foto Sibylle Forster
Paul Klee – Nave di avventurieri, 1927 © Bayerische Staatsgemäldesammlungen Foto Sibylle Forster

Il dinamismo compositivo conferisce alle tele un’atmosfera teatrale. Infatti, uno dei concetti centrali del pensiero artistico di Klee è la tragicommedia dell’esistenza umana, un po’ come nel teatro del contemporaneo Bertolt Brecht, dovuto alla scissione della mente dal corpo; da un lato si trova l’intelletto, che cerca di raggiungere altezze incommensurabili; dall’altra il corpo, che la forza di gravità ancora irrimediabilmente al suolo. Per Klee, il contrasto fra la situazione di fatto e l’utopia è stato il punto di partenza per riflettere su cosa significhi essere un artista.

La seconda fase della sua carriera, negli anni Trenta, fu segnata dall’aggravarsi della sclerodermia, una malattia autoimmune che lo perseguitava dalla nascita e che condizionò anche la sua sensibilità artistica. A partire dalla metà del decennio, la sua pittura è caratterizzata da una tavolozza assai scura, che riflette un comprensibile malessere esistenziale, aggravato dalla difficile situazione europea. La forma geometrica diviene protagonista quasi assoluta, ma non con la linearità di Mondriaan, ad esempio, bensì distorta, legata al mondo dell’onirico e dell’astratto; da tele che ricordano antichi pavimenti musivi, a scenari a metà fra paesaggio dell’immaginario e scenografia teatrale, luoghi dove perdersi “nel mezzo del cammin di nostra vita”, tentativi di trasferire su una dimensione più accettabile la violenza dei tempi e della guerra imminente.

Paul Klee - Montagne in inverno, 1925 © Kunstmuseum Bern
Paul Klee – Montagne in inverno, 1925 © Kunstmuseum Bern

Infatti, Nella nuova “scenografia” geometrica, il senso del movimento che Klee imprime alle figure e al colore, crea una forte spinta nella profondità dell’immagine che riflette la disperata situazione personale dell’artista stesso, letteralmente sospeso fra la vita e la morte (la malattia lo ucciderà pochi anni più tardi), sia un’esistenza terrena di limbo, a causa dell’esilio in Svizzera cui era stato costretto dopo l’ascesa al potere del nazismo in Germania nel 1933, e la conseguente messa la bando della cosiddetta “arte degenerata”, categoria in cui rientravano anche le opere di Klee.

Il suo astrattismo non è un semplice esercizio di stile, bensì una continua riflessione sulla condizione dell’essere umano, e per questo ricorda da vicino anche la narrativa di Hermann Hesse, che al lato spirituale affiancava anche una certa indagine dell’onirico. Un artista, Klee, dalla poetica profonda, cui la morte prematura nel 1940 ha impedito di vedere il secondo Novecento, e di arricchire ulteriormente la storia dell’arte con le sue riflessioni.

Informazioni utili: https://www.pinakothek.de/it

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