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Into the wild in Merano. Tra nostalgia e coscienza, alla ricerca del buon selvaggio

Luca Trevisani, Il secco e l'umido Luca Trevisani, Il secco e l'umido
Luca Trevisani, Il secco e l'umido
Luca Trevisani, Il secco e l’umido

Into the wild. Into the Kunst. Into Merano. Prosegue l’indagine sulla natura dell’istituzione meranese, dopo le peregrinazioni tessili di Helen Mirra e le architetture vegetali di Gianni Pettena. Prosegue idealmente anche la passeggiata botanica del medico meranese Heinz Tappeiner, tra le colonne di pietra dei portici, direzione Museo d’arte della città. Il colto verdeggiare panoramico che “corona” l’abitato, si addentra tra i corridoi ad archi ribassati del centro, per riporsi sotto vetro alle pareti (le tavole dell’erbario di Tappeiner) e disporsi tra le nature assemblate da Christina Rekade nei tre bianchissimi e luminosi piani squadrati del Kunst, di cui è direttrice da un paio di anni. La fissità cristallizzata dei frammenti vegetali del prezioso erbario proveniente da Innsbruck, ispira la dinamica riflessione che genera la mostra e instilla fluida linfa alle cinque ricerche contemporanee. Una composizione di linguaggi differenti -video, installazione, scultura, pittura- raccolti nella celebre citazione cinematografica Into the wild. Trama: raccontare attraverso diverse prospettive e percezioni la “nostalgia della natura”. Passione e tensione relativa e ancestrale, accompagnata alla mitica (e surreale) “bontà selvaggia” originale. Sospesa nelle speculazioni pedagogiche, sociologiche e artistiche da secoli. Dispersa nei silenzi polari delle terre artiche o intrappolata nelle calze appese a frammenti animali in veste di effimeri trofei, qui e ora in mostra. Dialettica sulla rappresentazione odierna della natura, prodotto dei suoi figli ed “Emili”. Una proposta eterogenea, fruibile fino all’8 aprile, che si districa tra delicate e frangibili trasparenze semi sensuali di nylon (appena citate) di Luca Trevisani, abbandonate lascive su corna e bambù, e “felici” tropici di Stefano Pedrini, oceani visti dall’artista valtellinese a spasso per l’Australia col suo van: fotografia celebrale e sintetica di quello che dal retro del mezzo, si propina e propone di volta in volta all’esterno. Uno schermo trapezoidale (quello della “finestra” del bagagliaio della casa mobile) dove incorniciare il rigoglio vegetale. A tratti antropologicamente “magico”, di stampo aborigeno. Matrice. Fusti e fogliame che si fanno sintesi nelle diagonali, orizzontali e verticali attraverso i quali imprimere serialmente le formazioni naturali. Quelle che crea in batteria, denunciandone il consumo infimo e assurdo del mondo occidentale, l’artista zurighese Gina Folly. Escrescenze vive di funghi “dell’immortalità” che si diramano come polipi dalle scatole -fatte spedire direttamente dalla Cina e coltivate come “opere” a casa- pronte per essere assorbite dalla folle volontà umana di eternità patologica. Tentacoli senape-marroncini che dialogano con le palme schierate, scansionate e schiacciate alle pareti di Trevisani, impressionate su lavorazioni art déco di Ernesto Basile. Raggi di palma come soli astratti. Fantasma di foglie che non ci sono più. Un “chiedere alla natura che cosa pensa della nostra visione della natura”. Come le antenne con pavone al piano di sotto, e il cortometraggio al piano di sopra, sull’ultimo Rinoceronte Bianco vivente, in Sudan. Scortato e ammansito come un cucciolo. Lui che di anni ne avrebbe 75. Cronaca di un’estinzione vissuta (e da vivere) in diretta. Documentata con pudore, senza mai palesare interamente e frontalmente il viso della bestia, oscillando tra tutela della dignità dell’essere e vergogna dell’essere, umano (che ha sterminato la sua genia per il corno, ritenuto un potente afrodisiaco). Coscienza e autocoscienza. Luogo dialettico eletto da Linda Jasmin Mayer nel Parallel Worlds portato in scena a Merano. L’eternità dei ghiacci e dei silenzi dell’Artico sciolti nel perenne contrapporsi relativo di natura e mondo interiore. Mutevole percezione. La ricerca di un contatto e di un “senso” che sveli e riveli l’essere e la natura in sè, noi stessi. Desiderio di unità con la “madre”, o più semplicemente desiderio di ridare vita, ordine e senso alla materia organica distante e dimenticata. Dall’altra parte del mondo, come dietro casa. Vedi l’artista argentina Alek O e le sue passeggiate “botaniche” (e si torna dove tutto è cominciato con Tappeiner) fuori dalla propria abitazione a Como. Alla ricerca di piante non autoctone e di oggetti abbandonati. Meticolosamente colti, raccolti e disposti in pattern secondo griglie geometriche. Natura perduta trasformata in composizione artistica. Infusione di nuova linfa.

Linda Jasmin Mayer Parallel Worlds Credit Linda Jasmin Mayer Fotograf Linda Jasmin Mayer
Linda Jasmin Mayer Parallel Worlds Credit Linda Jasmin Mayer Fotograf Linda Jasmin Mayer
Stefano Pedrini (Into the wild)
Stefano Pedrini (Into the wild)
Gina Folly e Luca Trevisani
Gina Folly
Into the wild
Into the wild
Alek O, Victor, 2017, pressed leaves on paper , 155 (h) x 112 (w) x 5,5 (d) cm each, photo by Andrea Rossetti, courtesy Gallery Frutta, Rome
Alek O, Victor, 2017, pressed leaves on paper , 155 (h) x 112 (w) x 5,5 (d) cm each, photo by Andrea Rossetti, courtesy Gallery Frutta, Rome
Stefano Pedrini (Into the wild)
Stefano Pedrini (Into the wild)

Tutte le informazioni: http://www.kunstmeranoarte.org

Into the wild in Merano. Tra nostalgia e coscienza, alla ricerca del buon selvaggio

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